Fin dalla fine del XX sec. in ambito accademico sono apparsi lavori che ruotavano attorno al concetto di benessere (well-being), sia per definirne le caratteristiche sia per trovare gli indicatori più opportuni (cioè definire indici di benessere). In letteratura è possibile trovare una serie di questi studi cui hanno fatto seguito una miriade di iniziative (molte delle quali extra-accademiche). Infatti, negli ultimi anni è apparsa evidente la parziale scorrelazione fra benessere (qualità della vita) e prodotto interno lordo, cioè fra benessere e ricchezza; è per esempio del 2009 la partenza dell’iniziativa della Commissione Europea Beyond GDP; questa evidenza si è tradotta nel tentativo di definire indici altrettanto chiari e maneggevoli come il vecchio PIL.
Purtroppo i diversi tentativi risentono dell’impostazione culturale degli autori e quindi, probabilmente, non è possibile definire un indice di benessere assoluto perché, anche ammesso che le componenti siano le stesse, possono variare i pesi dati a esse.
In altri termini, dagli sforzi fatti, dovrebbe essere ormai chiaro che
non esiste un indice di benessere totalmente oggettivo.
Chiariamo quindi subito cosa si intenda per personale:
l’indice di benessere personale indica la possibilità, data da un Paese alla propria popolazione, di vivere in base alle proprie inclinazioni.
Oltre che fornire risultati attendibili, la nostra ricerca vuole anche fissare metodi e terminologie in un settore dove regna a tutt’oggi una certa anarchia.
Questo articolo vuole pertanto essere anche una guida e un punto di partenza per chi vuole definire ulteriori indici di benessere; per quanto detto, l’indice che definiremo sarà parametrico e sarà personalizzabile, variando i pesi dei vari fattori nel modello pubblico scaricabile dal sito.
Roberto Albanesi – Direttore del sito Internet www.albanesi.it.
Maria Grazia Albanesi – Dipartimento di Ingegneria Industriale e dell’Informazione, Università di Pavia.
Fatta salva la bontà dei dati, si può studiare un indice dal punto di vista temporale (si fissa il luogo, per esempio l’Italia, e si vede come l’indice è variato nel tempo) oppure spaziale (si fissa il tempo e si analizzano tanti Paesi).
Gli indici di tipo temporale possono contenere tantissimi fattori perché, di fatto, non è poi così difficile misurarli per un dato luogo. Si pensi, per esempio, al fattore “qualità dei servizi” (oppure ancora più in dettaglio a quello “raccolta differenziata”); se per un singolo Paese il concetto di “servizio” può essere facilmente definito, diventa improbo confrontare servizi per Paesi dove per esempio uno stesso problema viene risolto con servizi diversi!
Un indice di benessere personale di tipo temporale vuole misurare come il benessere di una stessa area geografica (di solito abbastanza omogenea, per esempio una nazione) sia mutato nel tempo.
Gli indici di tipo spaziale necessariamente considerano un minor numero di fattori, in genere molto importanti, la cui misura è disponibile per un certo numero di Paesi. Ovviamente un indice di benessere spaziale deve avere a disposizione per l’insieme di Paesi considerato (che chiameremo “target”) i dati riguardanti tutti i fattori su cui è basato. Non è strettamente necessario che i dati derivino tutti dalla stessa fonte, né che siano tutti relativi allo stesso anno: ovviamente l’unicità della fonte e dati più recenti (per alcuni fattori la misurazione non può essere fatta per l’anno in corso o per il precedente perché troppo onerosa) e più vicini fra loro danno migliori garanzie sui risultati.
Un indice di benessere personale di tipo spaziale vuole comparare il benessere di diverse aree geografiche.
Da un punto di vista pratico gli indici di benessere spaziali sono più utili di quelli temporali perché chi vive in una data area ha spesso la netta sensazione dell’aumento o del calo del benessere della popolazione. Diciamo che un indice temporale può dare oggettività a impressioni che possono essere fuorviate dai propri stati politico, economico o sociale. Gli indici spaziali servono invece per dare indicazioni sui Paesi che più di altri hanno saputo migliorare la qualità della vita dei loro cittadini e quindi sono indici che hanno, o dovrebbero avere, una grande valenza politica.
Il primo problema che si pone è quello di avere dati affidabili. Riteniamo che gli unici dati veramente affidabili siano quelli raccolti da grandi organizzazioni (ONU, OCSE, FMI ecc.) o da istituti e soggetti (come l’ISTAT) che comunque non si limitano a campioni di scarse dimensioni e di dubbia scelta come invece accade in molti studi condotti da ricercatori indipendenti.
Principio di unicità
Dall’analisi di lavori precedenti appare chiaro che molto spesso sono stati scelti fattori comunque correlati e spesso “significativamente” correlati. Ciò è praticamente inevitabile: per esempio il fattore “ricchezza” risulta comunque correlato all’aspettativa di vita (nel nostro modello il coefficiente di correlazione è 0,60).
Un approccio squisitamente statistico porterebbe pertanto a un’esclusione massiccia di molti parametri, di fatto riconducendo solo al PIL. Non a caso, il considerare il PIL come indicatore di benessere era un’approssimazione abbastanza buona, ma oggi non più sufficiente.
Dato per scontato che una correlazione (spesso moderata o addirittura forte) con il PIL esista per molti indicatori, diventa necessario
non inserire fattori che facciano riferimento alla stessa variabile fondamentale della vita del cittadino.
Per variabili fondamentali s’intendono quei concetti che tutti giudicano necessari per vivere bene. Nel nostro modello ne indichiamo nove:
- ricchezza
- distribuzione del reddito
- democrazia
- salute
- lavoro
- istruzione
- ordine pubblico
- ambiente
- tempo libero.
Per esempio, considerando la variabile salute, il tasso di sedentarietà potrebbe essere un indicatore importante, ma la sedentarietà può solo essere condannata come fattore che accorcia la vita; per cui la percentuale di sedentari non è molto significativa se si considera già l’aspettativa di vita. Moltissimi indicatori salutistici sono cioè raccolti (e pesati giustamente) nell’aspettativa di vita.
Uno dei difetti più gravi degli indici di benessere è inserire più fattori facenti riferimento a una stessa variabile fondamentale, di fatto ipervalutandola.
Scelta di fattori globali (assoluti)
Un’altra osservazione molto importante riguarda la globalità dei fattori scelti. Affinché l’indice sia interessante per tutti i cittadini è necessario che il fattore riguardi positivamente ogni cittadino, cioè sia valutato positivamente (o perlomeno non negativamente) dalla stragrande maggioranza dei cittadini.
Non ha senso inserire indicatori che in qualche modo sono legati a situazioni anche molto comuni (ma non condivise da tutti) o, peggio, a ideologie politiche o religiose. Per esempio, nel Prosperity Index 2014 sono stati considerati fattori come il numero di matrimoni, quando il matrimonio non è certo istituzione approvata da tutti per il raggiungimento della massima qualità della vita!
Per esempio, chi vive nelle metropoli potrebbe richiedere che queste non siano trafficate, siano poco inquinate ecc. Sebbene queste siano valutazioni plausibili, è altrettanto ovvio che la scelta di vivere in una grande città non è condivisa da tutti i componenti un Paese; si pensi all’immensa Australia, sarebbe assurdo penalizzarla considerando l’inquinamento (eventuale) di una città come Melbourne. Fra l’altro, gli effetti dell’inquinamento entrano già nella vita media tipica della nazione considerata e l’inquinamento delle metropoli è già “incluso” quindi nell’indicatore aspettativa di vita.
Occorre prestare molta attenzione al fatto che l’uso di molti fattori, molti dei quali non globali, non nasconda l’aspettativa che il proprio studio venga preso maggiormente sul serio semplicemente perché considera più variabili.
L’indice che definiremo sarà di tipo spaziale e, come detto, sarà della forma:
IBP = f (target, p1, …, pn)
ove target sarà un insieme di Paesi e p1, …, pn i parametri considerati.
Ormai sono decine gli indici presenti in letteratura e la loro descrizione sarebbe poco utile. Più utile è invece analizzare i dubbi relativi ai lavori già svolti riguardo agli indici spaziali, dubbi che sono alla base della nostra ricerca. Sostanzialmente i principali difetti presenti nei lavori precedenti sono tre.
Principio di unicità non rispettato – Spesso è il punto debole di tutti quegli indici che sono ancora troppo legati al fattore ricchezza del Paese. Per esempio, la metratura delle abitazioni o il numero di auto circolanti è ovviamente fortemente correlato alla ricchezza che quindi viene sovrastimata nel computo globale (in parole povere, viene contata più volte). Rispetto, per esempio, alla classifica proposta dall’Economist sempre su dati OCSE (I Paesi dove si vive meglio) c’è sostanziale concordanza con il nostro indice (l’Italia è 21-esima) eccetto che per tre Paesi: Australia (al primo posto per l’OCSE), Stati Uniti (al secondo) e Gran Bretagna (al decimo). Le differenze si ottengono esagerando l’importanza del fattore economico, utilizzando fattori riconducibili in modo estremamente evidente al grado di ricchezza della nazione, cioè alla stessa variabile fondamentale.
Analogamente, molti indici introducono caratteristiche sulla salute che sono già riassunte nell’aspettativa di vita. Che senso ha introdurre il fattore X che penalizza la nostra salute (per esempio la percentuale di soggetti in sovrappeso) se tale fattore di fatto abbassa (o dovrebbe abbassare, se non lo fa è un errore il considerarlo!) l’aspettativa di vita che è già conteggiata?
Fattori non globali – Di solito sono presenti in tutti quegli indici che utilizzano più di 10-12 variabili; la ricerca della precisione porta all’introduzione di fattori discutibili, nel senso che non è detto che siano correlati positivamente al benessere di tutta la popolazione; per esempio, il numero di matrimoni oppure la superficie dei parchi nazionali ecc. Peggio ancora quando si dà del benessere una valutazione ideologica, per esempio confondendolo con altri concetti come la prosperità.
Pochi Paesi – Altre classifiche (come quella del Barilla Center for Food & Nutrition che compara solo 10 Paesi fra cui l’Italia) sono poco interessanti perché si limitano a studiare pochi Paesi, di solito partendo dal nostro e raffrontandolo con quelli che usualmente si ritengono i migliori. Si noti che in questo caso la finalità è leggermente diversa perché diventa prioritario capire cosa in Italia manca per essere al top (il punto di vista è cioè fissato dal nostro Paese).
Caratteristiche di un indice di benessere
Il nostro lavoro parte dal flessibile indice di Decancq e Lugo (2010):
L’indice è definito come una media (di ordine β) in m-dimensioni (gli m fattori considerati) ove Ij( xj) è il fattore j-esimo relativo al Paese i ( i = 1,…, n ).
I pesi w sono da considerarsi non negativi e vanno settati opportunamente.
Il fattore β indica l’aggregazione fra i vari fattori; esistono principalmente due metodi di aggregazione, con β=1 o β =0, a seconda che si consideri una media aritmetica o geometrica dei termini.
Il metodo lineare additivo (β=1) prevede una piena compensazione fra le dimensioni (cioè fra i fattori considerati); in altri termini, una cattiva performance in una dimensione può essere “compensata” da un’ottima performance in un’altra. Questo metodo può funzionare bene in quegli indici dove le dimensioni sono molte, di fatto tutto sommato equivalenti e più o meno tutte sopra una soglia di sufficienza. Può essere un metodo valido per gli indici di tipo temporale.
Il metodo moltiplicativo (β=0) è più adatto per quegli indici in cui un buon risultato in un fattore non può sostituire un pessimo risultato in un altro; è sicuramente più adatto a quegli indici che si basano su pochi e importantissimi fattori.
Nello studio di Decancq e Lugo esiste un’approfondita analisi dei vari metodi di scelta dei pesi w, ma il risultato finale appare deludente poiché di fatto tali pesi sembrano influenzare troppo e in maniera non oggettiva gli indici finali. Per questo motivo, nel nostro modello i vari fattori I vengono trasformati o normalizzati anche per pesarne la reciproca importanza; in altri termini, i nostri pesi w sono unitari, perché il “peso” del singolo fattore è già considerato nella trasformazione del fattore stesso.
Il nostro Indice di Benessere Personale (IBP, Albanesi, 2014)
Ricapitolando, il nostro progetto è differente da altri simili per i seguenti tre motivi:
- Rispetta il principio di unicità. Considerare decine di fattori può essere sinonimo di completezza (ammesso che siano tutti globali), ma sicuramente ingenera una confusione sui pesi (cioè sull’importanza) da usare per i vari fattori. Si vedrà che bastano (semplificazione) una decina di parametri (quelli relativi alle variabili fondamentali) per ottenere classifiche simili a quelle ottenute con modelli molto più complessi. Inoltre, più fattori si utilizzano e più si rischiano interminabili discussioni sull’utilità di questo o di quell’altro.
- Ha un approccio personalizzabile. Nonostante l’uso di dati ufficiali, nessuno può ritenere il risultato oggettivo: si cambia la formula di gestione dei vari fattori, si cambia l’importanza degli stessi e cambia il risultato. Noi forniremo un modello personalizzabile cosicché, se non si è convinti dei pesi attribuiti ai singoli fattori, allora, cambiandoli, si potrà vedere cosa cambia. Realisticamente, la classifica potrà variare, ma di poco.
- Ha un approccio personale. Gli indici presenti in letteratura continuano a considerare fattori che sono facilmente contestabili nell’ambito del benessere personale; pertanto è necessario orientarsi a indici che siano positivi per la stragrande maggioranza della popolazione.
L’IBP parte dalla situazione economica dei vari Paesi (come detto, la ricchezza è una condizione facilitante) e la modula con altri importanti fattori. L’unità di misura dell’IBP resta quindi sempre il dollaro (il reddito pro capite mediato da tutti gli altri fattori).
Il target sono i 34 Paesi dell’OCSE in quanto i dati si basano quasi totalmente su quelli forniti dall’OCSE.
Si noti che l’OCSE fornisce molti dati (ma non tutti) anche per Paesi come Cina, India, Russia e Brasile. Basta utilizzare il nostro modello anche con dati approssimati per comprendere che la qualità della vita di questi Paesi è ancora molto distante dai migliori Paesi dell’OCSE (per esempio la Cina ha un indice di democrazia di 3 contro valori superiori al 9 di molti Paesi europei; la Russia ha una sensazione di sicurezza di 0,44, la metà di quella norvegese, e il Brasile di solo 0,57; l’aspettativa di vita in India è di soli 66 anni, il 20% in meno circa che in Italia). Bastano 3 o 4 indici decisamente bassi per far precipitare l’IBP a valori non interessanti.
Ovviamente il risultato che uscirà dalla nostra elaborazione sarà una media sulla popolazione del singolo Paese.
L’indice è così definito:
IBP=R*IG*ID*AV*O*IS*S*A*TL.
I vari fattori modulano quindi al ribasso (ogni fattore è rappresentato da un valore compreso fra 0 e 1) il reddito iniziale:
- più il valore dell’indice relativo a un fattore è vicino all’unità, più l’IBP resta invariato;
- più i valori (dei 34 Paesi) degli indici relativi a un fattore sono stretti attorno a un valore (minore varianza) e meno il fattore è importante nella definizione dell’IBP.
La difficoltà del lavoro sta nel definire i singoli parametri in modo che abbiano pesi ragionevoli; d’altro canto, per come è impostato il lavoro, chi non è d’accordo con i pesi proposti, può variarli semplicemente variando la formula di un fattore e ripetendo poi l’elaborazione.
Formula del fattore
Scelti i fattori su cui basare l’indice, i dati forniti dall’OCSE per quel fattore sono pesati attraverso una formula in modo tale che abbiano un peso ragionevole nella valutazione dell’indice di benessere personale.
Varianza dei dati
Dato un fattore, esso è tanto più importante quanto più alta è la varianza dei suoi valori nell’insieme considerato dei Paesi. Nel nostro modello i fattori meno importanti sono quello dell’aspettativa di vita e quello ambientale (varianza 0,001) mentre il più importante è risultato essere quello relativo all’ordine pubblico e di sicurezza dei cittadini (varianza 0,011) perché, evidentemente, fra i Paesi analizzati ne esistono alcuni la cui situazione è veramente critica.
Ovviamente, variando la formula del fattore, può cambiare la varianza e quindi l’importanza legata al fattore stesso.
L’importanza delle classifiche parziali
I dati sono ovviamente delle medie e non è detto che il singolo soggetto si ritrovi nella classifica globale (che comunque è utile come punto di partenza). Ci può essere chi dà un’importanza fondamentale alla sicurezza e chi all’ambiente. Inoltre possono essere considerati fattori che non sono stati inclusi nella ricerca; si consideri per esempio il clima: ovviamente una media sul singolo Paese (si pensi agli USA, all’Australia o anche alla nostra Italia) ha veramente poco senso, viste le enormi differenze da regione a regione. Chi dà un’importanza fondamentale al clima si accorgerà facilmente che le nazioni nella top ten sono tutte Paesi relativamente freddi; quindi opterà per la migliore zona climatica di una di esse oppure passerà al primo Paese con un clima mite e piacevole (Australia).
I fattori
Vediamo i vari fattori.
Reddito pro capite in dollari (R) – Cioè il PIL diviso il numero di abitanti del Paese. Può essere considerato il punto di partenza per la definizione della qualità della vita dei cittadini. Il dato OCSE si riferisce al 2012 poiché per il 2013 molti Paesi non hanno ancora reso disponibili i dati.
NOTE – Il dato della Turchia fornito dall’OCSE è troppo vecchio (2006); è stato utilizzato quello del Fondo monetario Internazionale (sempre per lo stesso anno). Occorre notare che i dati dell’OCSE e quelli del FMI differiscono: se è mantenuta la classifica generale, le variazioni dei dati dell’FMI possono variare dallo 0 al 10% circa. Per esempio, per l’Italia l’OCSE dà 33.469 dollari, mentre l’FMI solo 29.812 (purtroppo non c’è proporzionalità nella variazione, probabilmente dovuta a una diversa contabilizzazione dei fattori economici in gioco).
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Indice di Gini complementare (IG) – L’indice di Gini permette di capire come è distribuita la ricchezza di un Paese; i dati sono quelli dell’OCSE (2011). L’indice di correzione che tale indice apporta all’IBP è definito come:
IG=1-Indice di Gini del Paese.
Esempio: se un Paese ha come indice di Gini 0,30, IG sarà di 0,7.
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Indice di democrazia normalizzato (ID) – Riassume in sé tutti i diritti civili del cittadino; viene utilizzato l’indice di democrazia 2013 dell’Economist. L’indice di democrazia normalizzato è definito come:
ID=Indice dell’Economist/10.
Esempio: se un Paese ha come indice di democrazia 7,80, ID varrà 0,78.
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Aspettativa di vita normalizzata (AV) – Un fattore generale che permette di valutare la possibilità di un cittadino di un Paese di vivere a lungo (i dati sono quelli dell’OCSE 2012, tranne che per gli USA e il Canada la cui fonte OCSE è del 2011). L’indice di aspettativa di vita normalizzato è definito come:
AV=anni/83.
Esempio: se un Paese ha come aspettativa di vita 83 anni AV sarà uguale a 1.
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Indice di occupazione (O) – Considera le percentuali di disoccupazione totale e giovanile (15-24 anni); il primo dato è relativo al primo trimestre 2014 (OCSE); il secondo è sempre dell’OCSE, ma relativo a tutto il 2012.
L’indice di occupazione è definito come:
O=(1-perc. disoccupazione generale)*(1-perc. disoccupazione giovanile/5).
Un’alta percentuale di disoccupazione giovanile non è un buon segnale per il futuro del Paese e modula il dato generale, contando per un quinto del peso effettivo. Ovviamente la costante di modulazione (nel nostro caso 5) rappresenta l’importanza che si vuole attribuire alla disoccupazione giovanile rispetto a quella globale.
Esempio: se un Paese ha come tasso di disoccupazione generale il 12% e un tasso di disoccupazione giovanile del 35%, O = 0,8184.
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Indice d’istruzione (IS) – La cultura è fondamentale per la civiltà di un popolo. Il fattore IS considera la percentuale della popolazione fra i 25 e i 34 anni che ha un’educazione superiore alla secondaria; il termine usato dall’OCSE è tertiary (si veda il link) e corrisponde alla nostra laurea nelle sue varie forme; il dato è dell’OCSE e si riferisce al 2012 (tranne quello del Cile che è del 2011). Tale dato comprende anche altri fattori interessanti (come, per esempio, quello dell’abbandono scolastico; evidentemente chi abbandona non arriva al conseguimento del titolo di studio nell’intervallo di età considerato) che giudicati di per sé potrebbero essere fuorvianti (la percentuale di abbandono può essere determinata dalla difficoltà dei laureati di trovare lavoro oppure dalle ottime prospettive di lavori senza laurea).
L’indice IS è definito come:
IS=1-(0,7-% di giovani con titolo terziario)/2.
La costante 0,7 si ottiene considerando la miglior performance nell’area OCSE (Corea del Sud). Esempio: se un Paese ha solo 30 giovani su 100 con titolo terziario, IS = 0,80.
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Indice di sicurezza (S) – Il fattore sicurezza sociale può essere calcolato in vari modi, ma il modo più omnicomprensivo di farlo è di usare un parametro contenuto nel rapporto Society Safety at a Glance 2014 dell’OCSE: la sensazione di sicurezza notturna (cioè nel passeggiare da soli di notte).
I dati dell’OCSE riguardano la percentuale di persone che si sentono sicure; il dato media le differenze geografiche da zona a zona del singolo Paese, il tipo di urbanizzazione (metropoli, città, piccolo paese ecc.), la sicurezza, l’efficienza della polizia ecc.
L’indice di sicurezza è definito come:
S=percentuale delle persone che si sentono sicure.
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Indice dell’ambiente (A) – Per quanto riguarda l’ambiente, viene considerato il grado di antropizzazione del Paese secondo la banale considerazione che più un luogo è antropizzato, più è difficile difendere la natura. Il fattore da considerare sarebbe il fattore di antropentropia, ma tale fattore è molto difficile da calcolare per tutti i 34 Paesi; viene pertanto utilizzata la densità di popolazione corretta con il fattore di urbanizzazione. infatti, come mostrano diversi studi, il fattore di antropentropia cresce quanto più la popolazione è sparsa sul territorio; per esempio, in un Paese di 10 milioni di abitanti, meglio una grande città come New York e il resto della nazione incontaminato che una miriade di paesini (10.000 da 1.000 abitanti ciascuno) che richiedono strade e infrastrutture per i collegamenti, aumentando l’antropizzazione del Paese e quindi la distruzione dell’ambiente.
Poiché il peso della difesa della natura nei riguardi della qualità della vita non è da tutti considerato importante (abbiamo già chiarito che per ambiente intendiamo la difesa della natura, non tanto i fattori che rendono migliore la vita nelle grandi città come il verde pubblico, il traffico, l’inquinamento ecc., perché tali fattori da un lato non sono disponibili in modo chiaro e preciso e dall’altro riguardano comunque solo una parte della popolazione), il nostro indice di correzione sarà comunque non particolarmente “pesante”; i meno ambientalisti non avranno difficoltà nello scorporarlo dal valore finale dell’IBP.
L’indice dell’ambiente è definito come:
A=1-d/10.000-(1-u)*RADQ(d)/100
dove d è la densità del Paese e u la percentuale di urbanizzazione. Praticamente la formula ottiene un A molto buono se la densità è bassa, mentre se non lo è, aumenta l’importanza della percentuale di urbanizzazione. Il primo fattore 10.000 che divide la densità indica la densità massima teorica ottenibile in una grande città, mentre il fattore RADQ(d)/100 serve per modulare l’importanza della percentuale di urbanizzazione.
Esempio: per l’Italia si ha una densità di 203 ab./kmq (dati ONU 2012) e un dato di urbanizzazione 2013 (dato World Bank) di 0,69. A risulta uguale a 0,936.
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L’indice di tempo libero (TL) – Un parametro fondamentale per la valutazione della qualità della vita. Si prendono in esame le ore lavorate per lavoratore (dati OCSE 2013); in teoria si dovrebbe anche considerare l’età pensionabile, ma tale dato non è omogeneo fra i Paesi. In ogni caso, la differenza di qualche anno fra i vari Paesi nell’età pensionabile non compensa le profonde differenze che ci sono nelle ore lavorate nei 30-35 anni di vita lavorativa.
L’indice per il tempo libero è definito come:
TL = 1- ore lavorate per lavoratore/5.000.
Esempio: per l’Italia si hanno 1.752 ore lavorate il che significa TL risulta uguale a 0,65.
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La classifica finale dell’IBP dei Paesi OCSE
Norvegia | 25.990 |
Lussemburgo | 15.240 |
Svizzera | 14.717 |
Danimarca | 13.347 |
Svezia | 13.212 |
Canada | 12.266 |
Paesi Bassi | 11.720 |
Islanda | 10.933 |
Germania | 10.299 |
Austria | 10.271 |
Finlandia | 9.866 |
Australia | 9.636 |
USA | 9.197 |
Giappone | 8.609 |
Belgio | 8.536 |
Francia | 7.377 |
Regno Unito | 7.193 |
Irlanda | 7.082 |
Nuova Zelanda | 6.722 |
Slovenia | 6.396 |
Corea del Sud | 5.438 |
Spagna | 4.961 |
Italia | 4.597 |
Israele | 4.263 |
Rep. Ceca | 3.887 |
Estonia | 3.432 |
Polonia | 3.164 |
Portogallo | 3.065 |
Rep. Slovacca | 2.799 |
Ungheria | 2.392 |
Grecia | 1.850 |
Cile | 1.780 |
Messico | 1.173 |
Turchia | 1.019 |
I risultati confermano altre classifiche dando però un valore quantitativo ai distacchi. La disastrosa posizione dell’Italia (superata anche dalla Slovenia) è aggravata dal fatto che il valore dell’IBP è di ben 6 volte circa inferiore a quello della Norvegia. Per avere un risultato del genere è chiaro che il nostro Paese perde su tutti i fronti, come si può vedere dalle singole classifiche parziali.
Mediocre anche il risultato dei Paesi asiatici, Giappone e Corea del Sud.
Potete inviare commenti ed elaborazioni del modello a wbdirez@albanesi.it.
Per consultare le classifiche relative ai vari fattori e la valutazione Stato per Stato si passi alle prossime pagine.