Grandi opere è la magica locuzione usata da politici e imprenditori per infinocchiare la gente sulla necessità di interventi nella maggior parte dei casi del tutto inutili, anzi con la sola utilità di arricchire i pochi che le gestiscono.
Recentemente, Boccia (presidente di Confindustria) e Sangalli (presidente di Confcommercio) si sono espressi a favore delle grandi opere perché solo così “si può far crescere il Paese e si crea occupazione”. Sia Boccia, con quella faccia da eterno bambino che però non ha mai giocato a pallone, sia Sangalli, vecchio volpone democristiano, passato indenne dal terremoto della Prima Repubblica, riciclandosi nel sindacato, non hanno saputo fornire uno straccio di bilancio di convenienza, ma hanno ripetuto sino alla noia ritornelli come quello soprariportato fra virgolette.
E purtroppo questo lavaggio del cervello sembra funzionare su una parte della popolazione che non comprende che le grandi opere, pur durando anni, a volte decenni, occupano un numero limitato di persone, sia direttamente sia indirettamente. Perorare le grandi opere è equivalente a dire: finanziamo il primo vero progetto spaziale italiano, entro dieci anni l’Italia andrà sulla Luna; creeremo nuovi posti di lavoro, ci sarà un balzo tecnologico ecc. Molti capiscono che andare sulla Luna non serve a granché all’Italia, esattamente come altre grandi opere, molte delle quali saranno sottoutilizzate.
Se non siete ancora convinti, provate a chiedervi come mai Boccia & C. non vedono lo sfascio in cui è il Paese. Che senso ha costruire una nuova autostrada, un nuovo ponte, quando ponti e viadotti crollano e strade comunali e provinciali sono piene di buche? Che senso ha costruire quando gran parte dell’Italia crolla per dissesto idrogeologico? Chi parla di grandi opere è in malafede anche nell’uso della locuzione che dovrebbe essere sostituita da opere utili; utilità che deve essere accertata da un’analisi costi/benefici.
Sapete perché Boccia & C. continuano a spingere sulle grandi opere? Perché i proventi di queste finiscono nelle tasche dei grandi imprenditori, non certo del ceto medio o dell’operaio; certo, anche i sindacati, per una manciata di posti (circa 10.000, stima loro: un nulla nel mare della disoccupazione) ancora una volta si allineano ai grandi imprenditori svendendo la dignità dei lavoratori. Supponiamo di avere 10 miliardi: li usate per una nuova autostrada oppure per rimettere a posto le strade comunali e provinciali di una regione? Il punto è che la seconda soluzione produrrebbe benefici locali e gli “utili” non arriverebbero alle grandi aziende che gestiscono le grandi opere nel Paese.
Morale: una persona ragionevole sceglie di ricostruire ciò che sta crollando, non di costruire nuove, e probabilmente sottoutilizzate, grandi opere.