Con decisionismo si indica propriamente la scuola di pensiero che si rifà a Carl Schmitt. Il filosofo tedesco sosteneva che all’origine del diritto c’è una decisione incondizionata, un concetto derivato a sua volta dalla filosofia di Hobbes secondo cui la legge è fatta dall’autorità e non dalla verità.
Ovviamente, quando l’autorità (il governo per ciò che concerne uno Stato) è democratica, la legge si avvicina molto alla giustizia, almeno secondo il sentire della maggioranza che l’ha eletta.
Forse a molti non è chiaro che la globalizzazione ha mutato nettamente il modo di fare politica e quindi la figura del politico. Come vedremo c’è uno stretto legame fra decisionismo e attualità.
Cominciamo con il dire che i più grandi Stati del mondo sono retti da governi decisionisti, più o meno democratici: USA (Trump), Russia (Putin) e Cina (Xi Jinping). Scendiamo un po’ più in basso e nel G8 troviamo anche Francia (Macron) e Italia (governo M5S-Lega) che sono retti da governi che hanno una netta maggioranza e che possono decidere senza quel macigno che è rappresentato dai compromessi con l’opposizione. Il punto è che la globalizzazione impone scelte molto più rapide che sono incompatibili con la vecchia politica. Certo, le scelte di un governo decisionista possono essere sbagliate, ma, in un regime democratico, se producono effetti negativi, il governo è mandato a casa.
Non bisogna pertanto confondere il decisionismo con l’autoritarismo o, peggio, con la dittatura (come spesso le opposizioni cercano di far credere, magari citando esempi di decisionismo poco democratico, come la Turchia di Erdogan): alla prossima tornata i democratici avranno l’opportunità di sconfiggere Trump, ma si spera che, qualunque sia il loro eventuale candidato vincente, sposi una linea decisionista. In Francia Macron ha perso il 40% dei consensi da quando è stato eletto e diventa improbabile una sua rielezione.
Alcuni poi confondono il decisionismo con il populismo, senza capire che sono due concetti scorrelati, come dimostra la Francia di Macron.
Il decisionismo politico può portare a più vivaci scontri fra i Paesi, ma anche a una maggiore chiarezza nei rapporti: solo pessimisti estremi possono pensare che ci sia un rischio di guerra fra Italia e Francia o che il rischio di conflitto fra Russia e Stati Uniti sia maggiore rispetto a quello degli anni ’70-’80. In sostanza, il decisionismo, in presenza di un livello sufficiente di democrazia e di un accettabile tenore di vita della popolazione, è sicuramente un fatto positivo, una specie di marcia in più con cui l’auto del Paese può correre più veloce. Solo chi ha paura di correre e di progredire può pensare che sarebbe meglio andare a piedi con la vecchia e “sicura” politica.