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Il tuono (Pascoli)

Il tuono è una poesia di Pascoli, che la inserì nella sezione Tristezze della quinta edizione di Myricae (1900), come testo successivo a Il lampo.

In Pascoli è ricorrente la descrizione dei fenomeni della natura, che egli osserva – da poeta-fanciullo qual è – con meraviglia e inquietudine.

Dopo l’apparizione del lampo, descritta nel testo immediatamente precedente, in questa lirica il poeta racconta il fragore improvviso suscitato dal tuono, che lascia spazio al silenzio, interrotto da un suono rassicurante: la ninna nanna cantata da una madre a un bambino in culla.

Il tuono è una ballata minima di endecasillabi con schema di rime A BCBCCA.

Testo

E nella notte nera come il nulla,

a un tratto, col fragor d’arduo dirupo

che frana, il tuono rimbombò di schianto:

rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,

e tacque, e poi rimareggiò rinfranto, 5

e poi vanì. Soave allora un canto

s’udì di madre, e il moto di una culla.

Il tuono (Pascoli) – Parafrasi

 

E nella notte nera come il nulla,

all’improvviso, con il fragore di una rupe

scoscesa che frana, il tuono rimbombò di colpo:

rimbombò, riecheggiò a tratti, rotolò cupamente,

e tacque, e poi risuonò come fa l’onda che rifluisce dopo essersi infranta sugli scogli,

e poi svanì. Allora si udì il canto

di una madre, e il movimento di una culla.

Il tuono - Pascoli

Il tuono è una poesia di Giovanni Pascoli, che la inserì nella sezione Tristezze della quinta edizione di Myricae (1900), come testo successivo a Il lampo.

Il tuono (Pascoli) – Analisi

Il tuono e Il lampo, poste una dopo l’altra nella raccolta, descrivono due momenti contigui: all’apparizione del lampo, segue il fragore improvviso del tuono. Il legame tra i due testi è esplicitato anche dalla ripresa, a incipit de Il tuono, del sintagma «nella notte nera» presente nel verso di chiusura de Il lampo.

A differenza della poesia che la precede, però, Il tuono ha una conclusione consolatoria e protettiva, poiché gli ultimi due versi presentano l’immagine della madre che canta una ninna nanna al bambino in culla. Se la «casa» (v. 5) de Il lampo rappresentava il “nido”, il rifugio protettivo, che però appariva e spariva subito dopo, qui l’immagine della madre e del bambino suggerisce una quiete più duratura.

Un’altra differenza che si rintraccia tra le due poesie è che Il lampo è costruita su una serie di impressioni visive, mentre ne Il tuono prevalgono quelle uditive, come dimostrano i termini onomatopeici utilizzati: «fragor» (v. 2), «rimbombò» (vv. 2-3), «rimbalzò», «rotolò cupo» (v. 3), «rimareggiò rinfranto» (v. 4).

Il tuono – Figure retoriche

Per quanto riguarda le figure retoriche, frequente è l’allitterazione: quella della /n/ al v. 1 («nella notte nera come il nulla»), della /r/ al v. 2 («a un tratto, col fragor d’arduo dirupo») e al v. 4 («rimbombò, rimbalzò, rotolò»).

Al v. 1 troviamo anche una similitudine: il colore nero, riferito alla notte, viene paragonato al vuoto assoluto. Il «nulla» del primo verso rima con la «culla» del verso finale, a simboleggiare che l’angoscia del vuoto ha lasciato spazio alla serenità del nido.

Al v. 4 troviamo la figura dell’enumerazione per asindeto, che raggruppa una serie di parole come un elenco («rimbombò, rimbalzò, rotolò») e, in questo caso, velocizza il ritmo della poesia.

Sempre al v. 4 possiamo notare la presenza della figura dell’onomatopea (rimbombò) e di quella della sinestesia («rimbombò, rimbalzò, rotolò»; sono associate infatti la sensazione uditiva e quella visiva).

L’enumerazione, stavolta per polisindeto, la troviamo anche ai vv. 5-6 («e tacque, e poi rimareggiò rinfranto, / e poi vanì»), dove si rintraccia anche un anticlimax, come dimostrano i termini posti dal poeta in ordine decrescente di intensità: questo non solo segna lo svanire del tuono, ma anche il passaggio dall’atmosfera negativa e angosciosa a quella positiva e rassicurante del finale.

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