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Il 5 maggio

Il 5 maggio (Il cinque maggio) è un’ode scritta da Alessandro Manzoni nel 1821 alla morte di Napoleone, avvenuta appunto il 5 maggio 1821 sull’isola di Sant’Elena dove l’imperatore era in esilio.

Manzoni apprese della morte di Napoleone solo nel luglio di quello stesso anno e ne rimase molto colpito. Dall’evento prese ispirazione per scrivere una poesia che fosse non solo una commemorazione, ma soprattutto una riflessione storica ed etica per mettere in risalto la fragilità umana e la misericordia divina.

Il 5 maggio

Statua di Napoleone Bonaparte, protagonista della poesia Il 5 maggio

Testo

La poesia Il 5 maggio è un’ode composta da 18 strofe di versi settenari. Le rime seguono lo schema rimati secondo lo schema ABCBDE.

Ei fu. Siccome immobile,

Dato il mortal sospiro,

Stette la spoglia immemore

Orba di tanto spiro,

Così percossa, attonita 5

La terra al nunzio sta,

Muta pensando all’ultima

Ora dell’uom fatale;

Nè sa quando una simile

Orma di piè mortale 10

La sua cruenta polvere

A calpestar verrà.

Lui folgorante in solio

Vide il mio genio e tacque;

Quando, con vece assidua, 15

Cadde, risorse e giacque,

Di mille voci al sonito

Mista la sua non ha:

Vergin di servo encomio

E di codardo oltraggio, 20

Sorge or commosso al subito

Sparir di tanto raggio:

E scioglie all’urna un cantico

Che forse non morrà.

Dall’Alpi alle Piramidi, 25

Dal Manzanarre al Reno,

Di quel securo il fulmine

Tenea dietro al baleno;

Scoppiò da Scilla al Tanai,

Dall’uno all’altro mar. 30

Fu vera gloria? Ai posteri

L’ardua sentenza: nui

Chiniam la fronte al Massimo

Fattor, che volle in lui

Del creator suo spirito 35

Più vasta orma stampar.

La procellosa e trepida

Gioia d’un gran disegno,

L’ansia d’un cor che indocile

Serve, pensando al regno; 40

E il giunge, e tiene un premio

Ch’era follia sperar;

Tutto ei provò: la gloria

Maggior dopo il periglio,

La fuga e la vittoria, 45

La reggia e il tristo esiglio:

Due volte nella polvere,

Due volte sull’altar.

Ei si nomò: due secoli,

L’un contro l’altro armato, 50

Sommessi a lui si volsero,

Come aspettando il fato;

Ei fe’ silenzio, ed arbitro

S’assise in mezzo a lor.

E sparve, e i dì nell’ozio 55

Chiuse in sì breve sponda,

Segno d’immensa invidia

E di pietà profonda,

D’inestinguibil odio

E d’indomato amor. 60

Come sul capo al naufrago

L’onda s’avvolve e pesa,

L’onda su cui del misero,

Alta pur dianzi e tesa,

Scorrea la vista a scernere 65

Prode remote invan;

Tal su quell’alma il cumulo

Delle memorie scese!

Oh quante volte ai posteri

Narrar se stesso imprese, 70

E sull’eterne pagine

Cadde la stanca man!

Oh quante volte, al tacito

Morir d’un giorno inerte,

Chinati i rai fulminei, 75

Le braccia al sen conserte,

Stette, e dei dì che furono

L’assalse il sovvenir!

E ripensò le mobili

Tende, e i percossi valli, 80

E il lampo de’ manipoli,

E l’onda dei cavalli,

E il concitato imperio,

E il celere ubbidir.

Ahi! forse a tanto strazio 85

Cadde lo spirto anelo,

E disperò: ma valida

Venne una man dal cielo,

E in più spirabil aere

Pietosa il trasportò; 90

E l’avviò, pei floridi

Sentier della speranza,

Ai campi eterni, al premio

Che i desidéri avanza,

Dov’è silenzio e tenebre 95

La gloria che passò.

Bella Immortal! benefica

Fede ai trionfi avvezza!

Scrivi ancor questo, allegrati;

Chè più superba altezza 100

Al disonor del Golgota

Giammai non si chinò.

Tu dalle stanche ceneri

Sperdi ogni ria parola:

Il Dio che atterra e suscita, 105

Che affanna e che consola,

Sulla deserta coltrice

Accanto a lui posò.

Il 5 maggio – Parafrasi

Egli (Napoleone) non c’è più, è morto. Come le sue spoglie senza memoria, dato l’ultimo respiro, rimasero immobili,

prive di una così grande anima,

così la terra rimase scossa e incredula alla notizia della sua morte,

pensando in silenzio all’ultima

ora dell’uomo che ha segnato il destino;

e non sa quando una simile

impronta di un piede d’uomo

verrà a calpestare la sua polvere insanguinata.

Il mio ingegno poetico lo vide trionfante sul trono e non si espresse;

quando, con continui cambiamenti di sorte,

fu sconfitto, tornò grande e fu piegato definitivamente,

non ha mischiato la sua voce al suono di mille voci:

immune dalla lode servile

e dalle offese vili,

ora (il mio ingegno poetico) si risveglia commosso dinnanzi all’improvviso

scomparire di un raggio così luminoso;

e innalza sulla tomba un canto

che forse non morirà mai.

Dall’Italia (Alpi) all’Egitto, (Piramidi)

dalla Spagna (Manzanarre) alla Germania (Reno),

ogni progetto di quell’uomo mai esitante era seguito dalla sua realizzazione;

si manifestò dall’Italia meridionale (Scilla) alla Russia (Tanai: è il fiume Don),

dall’uno all’altro mare.

È stata una gloria reale? Lascio ai posteri

la difficile decisione: noi

ci inchiniamo a Dio, l’Alto

Creatore, che volle imprimere in Napoleone

un’impronta più vasta del suo spirito creatore.

La tempestosa e trepidante

gioia di un grande progetto,

l’ansia di un animo che, indomabile,

obbedisce, pensando già al comando;

e lo raggiunge e ottiene un riconoscimento

in cui era folle sperare;

egli sperimentò tutto: la gloria,

più grande dopo il pericolo,

la fuga e la vittoria,

il regno e il pesante esilio:

due volte fu sconfitto (a Lipsia e Waterloo),

due volte tornò sul trono.

Egli pronunciò il suo nome (si proclamò imperatore): due secoli (il 1700 e il 1800),

armati l’uno contro l’altro,

sottomessi si volsero a lui,

come aspettando la sua decisione sul loro destino;

egli impose il silenzio e si sedette in mezzo ai due secoli come arbitro.

E scomparve, e finì i suoi giorni nell’ozio, in un’isola così piccola (Sant’Elena),

fatto oggetto di grandissima invidia

e di profonda compassione,

di odio implacabile

e di amore incondizionato.

Come incombe e si abbatte sulla testa del naufrago l’onda,

la stessa onda su cui poco prima scorreva lo sguardo del poveretto, alto e proteso ad avvistare

invano rive lontane;

simile scese su quell’anima la grande quantità di ricordi!

Oh, quante volte cominciò a raccontare di se stesso

e sulle pagine destinate a durare eternamente

si posò la sua mano stanca!

Oh, quante volte, al silenzioso

terminare di un giorno ozioso,

chinati gli occhi lampeggianti,

incrociate le braccia sul petto

si fermò e l’assalì il ricordo dei giorni passati!

E ripensò agli accampamenti sempre spostati, alle trincee colpite,

e al lampeggiare delle armi dei soldati,

all’assalto della cavalleria,

agli ordini concitati

e all’immediato ubbidire.

Ahimè, forse l’animo spossato si lasciò andare ad uno strazio così grande

e si disperò; ma giunse dal Cielo una mano forte

e, mossa a compassione, lo trasportò in un’atmosfera più serena;

e lo indirizzò, attraverso i fiorenti sentieri della speranza,

ai luoghi eterni, verso il premio (il Paradiso)

che supera tutti i desideri dell’uomo,

dove la gloria terrena, ormai passata, è dimenticata, non conta più.

Bella immortale! Fede portatrice di bene, abituata ai trionfi!

Scrivi anche questo trionfo, rallegrati;

perché nessun uomo più grande di Napoleone

si è mai chinato ad adorare la disonorante Croce (il Golgota è il luogo della crocifissione di Cristo).

Tu (Fede) dagli stanchi resti mortali,

allontana ogni parola cattiva;

quel Dio che fa disperare e fa risorgere,

che dà dolore e consolazione,

sul letto di morte abbandonato da tutti,

riposò accanto a lui.

Il 5 maggio

La tomba di Napoleone a Parigi

Analisi

Con l’ode Il 5 maggio Manzoni non intende glorificare la figura di Napoleone o esprimere un giudizio su di essa: ripercorre brevemente la sua vita e ciò che l’ha resa straordinaria e la utilizza come esempio della grandezza di Dio, da cui dipendono le vicende umane. Manzoni esprime così la propria concezione della storia umana come disegno divino. Per questo motivo la fede deve essere una guida e una consolazione nella sofferenza, come deve essere stata per Napoleone durante l’esilio. L’imperatore si era infatti convertito al cattolicesimo verso la fine della sua vita.

La poesia si apre con un’affermazione netta che annuncia la morte di Napoleone in maniera grave ed efficace: il passato remoto serve a indicare come definitivamente conclusa non solo la vita dell’imperatore, ma l’epoca di cui è stato protagonista. Questo tempo verbale viene infatti usato anche nel resto dell’ode per parlare delle imprese del condottiero. Il tempo presente, invece, viene usato per fare riferimento al momento in cui Manzoni scrive e per le affermazioni che riguardano Dio e la fede, valide in ogni tempo perché eterne.

Il poeta definisce Napoleone uom fatale, perché dotato da Dio del potere di cambiare il destino di popoli e nazioni. Manzoni però ci tiene a sottolineare di non essere mai stato fra quelli che lo adulavano quando era in vita, né fra quelli che lo insultavano; anche ora che scrive di lui non lo fa per giudicare (ai posteri l’ardua sentenza) ma per riconoscere un simbolo della potenza divina e tramandarne la memoria. Rievoca quindi alcune delle campagne militari di Napoleone e sottolinea che questo generale attraversò sia vittorie sia sconfitte, segnando un’intera epoca a cavallo tra due secoli.

Nonostante i successi e la gloria, la fine di Napoleone è misera e solitaria: alla fine dell’ode Manzoni lo descrive prigioniero a Sant’Elena, preda dei ricordi, sofferente. A salvarlo dalla disperazione arriva la mano di Dio, che tramite la fede gli dà speranza conducendolo verso la beatitudine eterna. In definitiva, sottolinea il poeta, l’unica cosa che conta davvero è proprio la vita dopo la morte in Dio: anche il più grande degli uomini deve sottomettersi e affidarsi a Dio.

Figure retoriche

L’ode Il 5 maggio si apre con una similitudine: Siccome immobile… così percossa (vv. 1-5). Ne troviamo un’altra ai vv. 61-67 (Come sul capo… tal su quell’alma).

Ci sono poi numerose metafore: v. 4 (orba di tanto spiro), v. 22 (sparir di tanto raggio), vv. 27-28 (il fulmine / tenea dietro al baleno), vv. 47-48 (due volte nella polvere,/due volte sull’altar), v. 75 (chinati i rai fulminei).

La struttura sintattica è alterata dalle anastrofi: per esempio v. 13 (a calpestar verrà), v. 17 (di mille voci al sonito), v. 18 (mista la sua non ha), v. 27 (di quel securo il fulmine), v. 35 (del creator suo spirito). Lo stesso fanno alcuni iperbati: vv. 13-14 (lui folgorante in solio / vide il mio genio e tacque), vv. 67-68 (tal su quell’alma il cumulo / delle memorie scese), vv. 77-78 (e dei dì che furono l’assalse il sovvenir), vv. 89-90 (e in più spirabil aere / pietosa il trasportò).

Tre anafore accelerano il ritmo della poesia nel raccontare le vicende della di Napoleone: vv. 25-30 (dall’Alpi alle Piramidi, / dal Manzanarre al Reno […], da Scilla al Tanai, dall’uno all’altro mar), vv. 47-48 (due volte… due volte), vv. 62-63 (l’onda … l’onda).

Ai vv. 33-34 viene usata un’antonomasia (Massimo Fattore) per definire Dio.

Manzoni utilizza poi tre sineddochi: al v. 6 la terra per indicare tutti gli uomini, al v. 10 orma di piè mortale per indicare l’uomo, al v. 56 sì breve sponda per indicare l’isola di Sant’Elena.

Dal v. 57 al v. 60 si sviluppano due antitesi: immensa invidia–pietà profonda, inestinguibil odio–indomato amor.

Vi sono infine in tutta la poesia numerosi enjambement che contribuiscono a dare solennità e ritmo: ultima/ora (vv. 6-7), simile/orma (vv. 9-10), subito/sparir (vv. 21-22), Massimo/Fattore (vv. 33-34), la procellosa e trepida/gioia (vv. 37-38), tacito/morir (vv. 73-74), mobili/tende (vv. 79-80), benefica/fede (vv. 97-98).

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