La catacresi è una figura retorica che consiste nell’impiego traslato e/o improprio di un termine o di una locuzione; non si tratta però di un errore, ma di un utilizzo dettato, il più delle volte (anche se non sempre), dalla mancanza, nella lingua di un termine specifico. Si vedano, a mo’ di esempio, questi versi del poeta Pablo Neruda tratti dalla sua “Ode al tavolo”:
Sopra le quattro zampe del tavolo
sviluppo le mie odi,
dispiego il pane, il vino
e l’arrosto
(la nave nera
dei sogni),
o dispongo forbici, tazze, chiodi,
garofani e martelli.
Zampe del tavolo è un classico esempio di catacresi; non esiste infatti nella lingua italiana un termine specifico per indicare le quattro assi che sorreggono il piano del tavolo.
La catacresi può essere in sostanza considerata una metafora ormai così invalsa che non la si considera nemmeno più come tale; a dispetto della sua denominazione molto tecnica (catacresi deriva dal greco katàchresis il cui significato letterale è abuso) è una figura retorica comunissima nel parlare comune e che sopperisce, il più delle volte, a quella che in latino è nota come inopia verborum (vale a dire assenza di parole); riprendendo la traduzione dal greco, si può dire che la catacresi abusa di un termine allargandone il significato estendendolo a un punto tale da arrivare persino, in circostanze particolari, vicino alla contraddizione; a proposito di quest’ultimo caso si pensi a quando, per affermare che Tizio ha un brutto modo di scrivere, diciamo che ha una “brutta calligrafia”; nessuno avrebbe da ridire, ma il termine calligrafia, in senso stretto, designa una bella scrittura, una scrittura elegante; in questo caso si è quindi fatto un uso abusivo di un termine, ovvero si è fatto ricorso a una catacresi.
Nota – Più raramente, la catacresi è detta abusione.
Catacresi – Esempi
Sono moltissimi gli esempi di catacresi che si possono fare traendoli dal parlare comune; si pensi per esempio all’espressione letto del fiume; appare ovvia l’estensione del significato del termine letto che, in sé, indica un mobile adibito al riposo delle persone; in questo caso, il ricorso a un senso traslato non è dettato dalla mancanza di una parola specifica; si potrebbe infatti utilizzare il termine alveo che, in idrografia, indica la parte di terreno che è occupata da un corso d’acqua. Per inciso, sembra che l’espressione “letto d’acqua” sia stata utilizzata la prima volta da uno scrittore del XIII sec., Brunetto Latini.
Fra gli esempi di catacresi non può mancare l’espressione “tramonto sul mare”; si tratta di un’espressione ricorrente, normalissima, ma non si può non notare, a un più attento esame, l’estensione del significato del termine tramonto che deriva da tramontare il cui significato, in senso ristretto, è andare oltre i monti.
È una catacresi anche l’espressione collo della bottiglia, elegante metafora ormai normalizzata dall’uso comune; peraltro, con un’espressione simile, collo di bottiglia, non si indica soltanto la parte alta e più stretta di una bottiglia bensì, figuratamente, quel fenomeno che si verifica allorquando quando le prestazioni di un sistema sono ridotte o rallentate da un singolo componente.
Usiamo la catacresi in tantissime circostanze, spesso senza rendercene conto; si pensi alla frase “voglio proprio vedere quello che mi risponderà Tizio”; il significato della frase è chiarissimo, ma il termine più appropriato in questo caso sarebbe sentire, non vedere.
Esempio più aulico di catacresi è il seguente: “mi ripigneva là dove ‘l sol tace” (Dante, Inferno, Canto I). Non è una caratteristica del sole quella di parlare e quindi nemmeno quella di tacere, ma il significato della frase è comunque chiaro: il sole “tace” dove c’è buio (nel caso specifico, il poeta fa riferimento alla selva oscura). Nell’espressione ‘l sol tace si riconosce anche il ricorso alla sinestesia, figura retorica che associa due sfere sensoriali differenti (in questo caso, la sensazione visiva, ovvero l’oscurità, è rappresentata da Dante tramite una sensazione relativa all’ambito uditivo, il silenzio).
Altri esempi di catacresi riscontrabili nella nostra letteratura sono i seguenti:
ch’eran d’atra caligine condensi,
notte mi parve ed a lo sguardo fioco
s’offerse il vacillar d’un picciol foco.
Si tratta di un passo tratto dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso; in questo caso il termine fioco sta per “offuscato”.
Altro esempio di catacresi lo si rinviene in questo passo tratto dalla poesia Sogno di Giovanni Pascoli:
Sentivo una gran gioia, una gran pena;
una dolcezza ed un’angoscia muta.
Non è proprio dell’angoscia il mutismo, ma è chiaro l’intento del poeta di descrivere un’angoscia così grande da non permettere nemmeno di parlare.
Da Bruto Minore di Giacomo Leopardi traiamo questo ulteriore esempio di catacresi:
Men duro è il male
che riparo non ha? dolor non sente
chi di speranza è nudo?
In questo caso, il termine più appropriato sarebbe “privo”, ma è indubbia l’efficacia poetica del termine utilizzato da Leopardi.
Ritornando a esempi meno poetici di catacresi si possono citare espressioni come le seguenti:
- stare a cavallo di un muretto
- calzare i guanti
- sedersi ai piedi di un albero
- lingue di fuoco
- albero motore.
“Tramonto sul mare” è uno dei classici esempi di catacresi
Pronuncia
Sono possibili due pronunce:
catacrèsi o, alla greca, catàcresi.
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