Veglia è un componimento poetico di Giuseppe Ungaretti e compare per la prima volta nella raccolta Il porto sepolto (1916); adesso fa parte della seconda sezione Il porto sepolto nella raccolta L’Allegria.
L’allegria fu pubblicata nel primo dopoguerra. Il poeta rivive l’esperienza della Prima guerra mondiale, dalla quale nascono profondi tratti di fratellanza e umanità. Nonostante il dolore e la morte siano predominanti nel conflitto, da essi nasce un amore per la vita e un ottimismo che è in piena sintonia con il titolo dell’opera.
La poesia è preceduta da un’indicazione di luogo e tempo: Cima Quattro il 23 dicembre 1915; si tratta di una postazione militare sul monte San Michele.
In questi pochi versi il poeta racconta la nottata trascorsa accanto al cadavere di un compagno. L’incontro, anche fisico, con la morte gli fa sentire un attaccamento alla vita mai conosciuto prima.
Testo
Si tratta di versi liberi privi di punteggiatura raggruppati in due strofe (una di 13 e l’altra di 3 versi).
Cima Quattro il 23 dicembre 1915
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca 5
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata 10
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto 15
attaccato alla vita
Veglia (Ungaretti) – Parafrasi
Rimanendo un’intera nottata
disteso vicino
a un compagno
ucciso
con la sua bocca
contratta
rivolta verso la luna piena
con il gonfiore
delle sue mani
penetrato
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
In Veglia Ungaretti racconta la nottata trascorsa accanto al cadavere di un compagno. L’incontro, anche fisico, con la morte gli fa sentire un attaccamento alla vita mai conosciuto prima.
Veglia (Ungaretti) – Analisi e figure retoriche
I pochi versi di Veglia rivelano tutta la crudeltà e l’orrore della guerra: attraverso una serie di participi passati («buttato», «massacrato», «digrignata», «volta», «penetrata») il poeta descrive la condizione del compagno d’armi ucciso, con il volto caratterizzato da un ghigno dovuto alla violenza della morte illuminato dalla luna piena e le mani paonazze per l’assenza di circolazione. Eppure, dal v. 12, l’atrocità del contesto bellico lascia spazio a sentimenti d’amore e di attaccamento alla vita, che nascono proprio come contrapposizione dell’io al dolore e alla morte.
Nelle Note a L’Allegria Ungaretti, in riferimento alle poesie del Porto sepolto e all’esperienza della guerra, spiega: «Ero in presenza della morte, in presenza della natura, di una natura che imparavo a conoscere in modo nuovo, in modo terribile. Dal momento che arrivo ad essere un uomo che fa la guerra, non è l’idea di uccidere o di essere ucciso che mi tormenta: ero un uomo che non voleva altro per sé se non i rapporti con l’assoluto, l’assoluto che era rappresentato dalla morte, non dal pericolo, che era rappresentato da quella tragedia che portava l’uomo a incontrarsi nel massacro. Nella mia poesia non c’è traccia d’odio per il nemico, né per nessuno: c’è la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione. C’è volontà d’espressione, necessità d’espressione, c’è l’esaltazione, nel Porto sepolto, quell’esaltazione quasi selvaggia dello slancio vitale, dell’appetito di vivere, che è moltiplicato dalla prossimità e dalla quotidiana frequentazione della morte. Viviamo nella contraddizione». Sta proprio in questo il significato dell’Allegria di naufragi: dopo la distruzione e l’orrore, emerge lo slancio vitale.
Fra le figure retoriche presenti in Veglia si possono ricordare le seguenti:
- l’allitterazione della lettera t nei vv. 1-2 (intera, nottata, buttato)
- i numerosi enjambement (vv. 1-2; 2-3; 3-4; 4-5; 5-6; 6-7; 8-9; 9-10; 10-11; 12-13; 14-15; 15-16)
- la metonimia ai vv. 8-9 (con la congestione / delle sue mani sta per mani congestionate, gonfie)
- la metafora (la congestione / delle sue mani /penetrata / nel mio silenzio).
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