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Spesso il male di vivere ho incontrato

Spesso il male di vivere ho incontrato è l’incipit di uno dei più noti componimenti poetici di Eugenio Montale. Fa parte della sezione Ossi di seppia, omonima della raccolta che uscì nel 1925, la prima del poeta.

In questo testo si esprime il dolore universale affidandolo a oggetti del mondo non umano: il tentativo di rappresentare lo stato d’animo attraverso elementi concreti (oggetti, animali, piante) sarà una caratteristica costante nella produzione montaliana, anche se subirà, nelle raccolte successive, una progressiva complicazione, poiché il rapporto tra oggetto concreto sentimento diventerà sempre meno comprensibile. Questo procedimento poetico, che riprende quello del correlativo oggettivo del poeta angloamericano Thomas Stearns Eliot, consiste appunto nel «costruire oggetti che sprigionino il sentimento senza dichiararlo».

In Spesso il male di vivere ho incontrato, a differenza delle poesie successive, lo stato d’animo che il poeta vuole esprimere – il male di vivere appunto – è rivelato in modo esplicito. Per «male di vivere» Montale intende la sofferenza universale, che tocca tutti gli uomini, anche se molti di essi vivono incuranti di fornire un senso alla propria esistenza; il poeta, invece, è consapevole delle catene che la caratterizzano e che imprigionano l’uomo in una condizione di dolore e angoscia. A questa negatività, tuttavia, il poeta cerca di opporsi e resistere, guardando alla vita con consapevolezza e mantenendo sempre la propria dignità. In alcuni momenti è possibile che l’uomo riceva sollievo – temporaneo ed effimero – alla propria sofferenza.

Si tratta di due quartine di endecasillabi, a eccezione dell’ultimo verso che è un alessandrino, con rime ABBA CDDA.

Spesso il male di vivere ho incontrato – Il testo

Spesso il male di vivere ho incontrato:

era il rivo strozzato che gorgoglia,

era l’incartocciarsi della foglia

riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio                                   5

che schiude la divina Indifferenza:

era la statua nella sonnolenza

del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

Parafrasi

Spesso ho visto la sofferenza connaturata all’esistenza:

era il ruscello le cui acque gorgogliavano incontrando un ostacolo sul loro percorso,

era la foglia secca che si accartoccia,

era il cavallo troppo sfruttato che stramazza al suolo.

Non conobbi bene al di fuori del miracolo

che consente di accedere alla divina Indifferenza:

era la statua nell’ora sonnolente

del meriggio, e la nuvola e il falco che vola lontano.

Spesso il male di vivere ho incontrato – Commento

Il poeta vede nella realtà circostante alcuni segni del dolore universale, il «male di vivere»: un ruscello che non riesce a defluire perché ostacolato, una foglia secca che a causa di questa condizione si accartoccia, un cavallo che muore perché troppo sfruttato.

Il bene che ha conosciuto è quello che, come per miracolo, deriva dal distacco dal mondo, dall’indifferenza, definita «divina» perché nella filosofia stoica si trattava dell’impassibilità propria degli dei a cui doveva tendere i saggi. Questo bene legato all’indifferenza è rappresentato attraverso tre correlativi oggettivi: la statua immobile e fredda, la nuvola destinata a svanire, la libertà del falco nel cielo.

Il verso incipitario fa subito riferimento al «male di vivere», che è caratteristica non solo di ogni essere vivente, ma anche degli elementi naturali e inorganici. I due punti servono a far capire che il poeta vuole spiegare cosa intende con questa espressione: la sofferenza univerale la si ritrova in immagini che ci trasmettono l’idea di sforzo, aridità, stanchezza, culminando nella forte espressività del termine «stramazzato», che fa riferimento alla morte.

Il male è ovunque, in ogni aspetto dell’universo, ma il poeta ha conosciuto anche il bene, a cui dedica la seconda quartina. Non si tratta di sensazioni piacevoli, ma della temporanea ed effimera sospensione del dolore, cioè nella capacità di non percepirlo: questa idea di bene è rappresentata, negli ultimi due versi, da immagini che trasmettono immobilità e distacco (statua, nuvola, falco che vola lontano).

L’opposizione tra male e bene diventa anche opposizione tra basso e alto: le immagini del male fanno riferimento a ciò che sta a terra, mentre per trovare il bene è necessario alzare il proprio sguardo.

Nella prima quartina i suoni che il poeta utilizza sono duri e aspri (strozzato, gorgoglia, stramazzato), mentre nella seconda quartina i suoni sono pià dolci e il ritmo è più lento.

Spesso il male di vivere ho incontrato

“Spesso il male di vivere ho incontrato” è l’incipit di uno dei più noti componimenti poetici di Eugenio Montale. Fa parte della sezione Ossi di seppia, omonima della raccolta che uscì nel 1925, la prima del poeta.

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