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Meriggiare pallido e assorto

Meriggiare pallido e assorto è un componimento poetico di Eugenio Montale; fa parte della sezione Ossi di seppia, la seconda dell’omonima raccolta (1925). Si tratta, quasi sicuramente, del componimento più antico del libro, forse già composto nel 1916. Fu pubblicato per la prima volta sulla rivista Il Convegno nel 1924.

Centrale è la descrizione del paesaggio ligure, colto in estate nell’ora del meriggio, con il mare in lontananza. Il poeta ascolta e osserva un paesaggio rispetto al quale l’uomo rimane estraneo, come se una «muraglia / che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia» lo separasse e lo rendesse consapevole del destino di dolore che gli è riservato («sentire con triste meraviglia / com’è tutta la vita e il suo travaglio»).

A livello metrico la poesia è composta da quattro strofe: tre quartine e la strofa finale di cinque versi. I versi sono endecasillabi, decasillabi e novenari.

Per quanto riguarda lo schema delle rime, la prima e la terza strofa sono in rima baciata (schema AABB, EEFF), la seconda è in rima alternata (CDCD) con il v. 7 che è ipermetro; nella quarta si registrano rima alternata (GHGGH) e consonanze.

Testo

Di seguito il testo della poesia.

 

Meriggiare pallido e assorto

presso un rovente muro d’orto,

ascoltare tra i pruni e gli sterpi

schiocchi di merli, frusci di serpi.

 

Nelle crepe del suolo o su la veccia                         5

spiar le file di rosse formiche

ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano

a sommo di minuscole biche.

 

Osservare tra frondi il palpitare

lontano di scaglie di mare                                       10

mentre si levano tremuli scricchi

di cicale dai calvi picchi.

 

E andando nel sole che abbaglia

sentire con triste meraviglia

com’è tutta la vita e il suo travaglio                        15

in questo seguitare una muraglia

che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

 

Meriggiare pallido e assorto – Parafrasi

Di seguito la parafrasi di Meriggiare pallido e assorto.

 

Trascorrere il meriggio, pallido e pensieroso,

vicino al muro di un orto rovente [per il calore del sole],

ascoltare tra i rovi e le sterpaglie

i versi secchi dei merli e il fruscio delle serpi.

 

Nelle crepe del terreno arido o sulla pianta della veccia*

osservare le file delle formiche rosse

che ora si interrompono, ora si riavvicinano

sopra a piccoli mucchi di terra**.

 

Osservare tra le fronde degli alberi

il lontano agitarsi dei riflessi del mare

mentre si alza il canto tremolante

delle cicale dalle alture prive di vegetazione.

 

E camminando nella luce abbagliante del sole

rendersi conto con triste stupore

che la vita e le sue sofferenze

sono come questo camminare lungo un muro

che sulla cima ha aguzzi cocci di bottiglia.

 

*  La veccia (Vicia sativa) è una pianta erbacea che appartiene alla famiglia delle Fabacee.

** Le biche sono mucchi di covoni di grano; qui indicano, per analogia con la loro forma, i mucchi di terra.

Meriggiare pallido e assorto - Testo - Parafrasi - Analisi - Figure retoriche

Meriggiare pallido e assorto è un componimento poetico di Eugenio Montale; fa parte della sezione Ossi di seppia, la seconda dell’omonima raccolta (1925).

Meriggiare pallido e assorto – Analisi del testo

Potremmo dividere il testo di Meriggiare pallido e assorto in due parti: nella prima (vv. 1-12) il poeta descrive il paesaggio circostante, mentre la seconda (vv. 13-17) ha carattere riflessivo.

Gli elementi del paesaggio rimandano a una condizione – interiore ed esistenziale – di aridità, isolamento e sofferenza: «rovente muro d’orto», «pruni», «sterpi», «crepe del suolo», «calvi picchi», «muraglia», «cocci aguzzi»; lo stesso avviene con i suoni, aspri e striduli: «schiocchi di merli», «frusci di serpi», «tremuli scricchi / di cicale».

Il «sole che abbaglia» del v. 13 è ciò che non permette di vedere, di comprendere, ciò che sta intorno: «tutta la vita e il suo travaglio» rimangono un mistero e l’esistenza è come una «muraglia» – emblema di chiusura e costrizione – che non permette di spingersi oltre (la sommità del muro è costellata di «cocci aguzzi»).

Meriggiare pallido e assorto – Figure retoriche

Per quanto riguarda le figure retoriche presenti in Meriggiare pallido e assorto, si segnalano onomatopee (schiocchi e frusci al v. 4, scricchi al v. 11), enjambement (vv. 9-10 e vv. 10-11), l’ossimoro triste meraviglia al v. 14), le analogie minuscole biche – tra i mucchietti di terra fatti dalle formiche e i mucchi di covoni di grano – e calvi picchi – tra le alture senza vegetazione e la testa degli uomini senza capelli –, la metafora cocci aguzzi di bottiglia che sta a rappresentare le difficoltà dell’esistenza). Frequenti sono le allitterazioni della /s/, della /r/, della /t/ e della /p/. Da notare anche la figura retorica della consonanza (abbaglia, meraviglia, travaglio, muraglia e bottiglia).

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