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La sera fiesolana

La sera fiesolana è una poesia di Gabriele d’Annunzio; fu scritta e pubblicata sulla rivista Nuova Antologia nel 1899; apre la raccolta Alcyone (1903). Il paesaggio descritto è quello della campagna fiesolana (d’Annunzio, nel 1898, si era trasferito a Settignano, dove rimase fino al 1910), attraversata dall’Arno. Il poeta si trova insieme alla donna amata (Eleonora Duse) e aspetta che scenda la sera, in una giornata di giugno dopo la pioggia. I due amanti risultano in secondo piano rispetto alla natura, che risulta centrale.

Originariamente ognuna delle tre strofe della poesia era accompagnata da un sottotitolo che ne spiegava il contenuto: “la natività della luna”, “la pioggia di giugno”, “le colline”.

Si tratta di tre strofe di 14 versi di varia lunghezza alternate da tre “laudi” di tre strofe ciascuna.

La sera fiesolana – Testo

Di seguito il testo de La sera fiesolana.

 

Fresche le mie parole ne la sera

ti sien come il fruscìo che fan le foglie

del gelso ne la man di chi le coglie

silenzioso e ancor s’attarda a l’opra lenta

su l’alta scala che s’annera                                              5

contro il fusto che s’inargenta

con le sue rame spoglie

mentre la Luna è prossima a le soglie

cerule e par che innanzi a sé distenda un velo

ove il nostro sogno si giace                                            10

e par che la campagna già si senta

da lei sommersa nel notturno gelo

e da lei beva la sperata pace

senza vederla.

 

Laudata sii pel tuo viso di perla,                                    15

o Sera, e pe’ tuoi grandi umidi occhi ove si tace

l’acqua del cielo!

 

Dolci le mie parole ne la sera

ti sien come la pioggia che bruiva

tepida e fuggitiva,                                                           20

commiato lacrimoso de la primavera,

su i gelsi e su gli olmi e su le viti

e su i pini dai novelli rosei diti

che giocano con l’aura che si perde,

e su ‘l grano che non è biondo ancóra                            25

e non è verde,

e su ‘l fieno che già patì la falce

e trascolora,

e su gli olivi, su i fratelli olivi

che fan di santità pallidi i clivi                                       30

e sorridenti.

 

Laudata sii per le tue vesti aulenti,

o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce

il fien che odora!

 

Io ti dirò verso quali reami                                              35

d’amor ci chiami il fiume, le cui fonti

eterne a l’ombra de gli antichi rami

parlano nel mistero sacro dei monti;

e ti dirò per qual segreto

le colline su i limpidi orizzonti                                        40

s’incùrvino come labbra che un divieto

chiuda, e perché la volontà di dire

le faccia belle

oltre ogni uman desire

e nel silenzio lor sempre novelle                                     45

consolatrici, sì che pare

che ogni sera l’anima le possa amare

d’amor più forte.

 

Laudata sii per la tua pura morte,

o Sera, e per l’attesa che in te fa palpitare                       50

le prime stelle!

La sera fiesolana – Parafrasi

Di seguito la parafrasi de La sera fiesolana.

 

Durante questa sera le mie parole ti diano freschezza

come il fruscio che fanno le foglie

del gelso nella mano di chi le coglie

in silenzio e nonostante l’ora tarda continua lentamente il suo lavoro

sull’alta scala che diventa scura

appoggiata al fusto dell’albero che diventa color argento

con i suoi rami spogli

mentre la luna è prossima a spuntare nel cielo

azzurro e sembra che stenda davanti a sé un chiarore

dove il nostro sogno d’amore si abbandona

e sembra che la campagna si senta già

invasa dal gelo notturno sotto la sua luce

e grazie a lei trovi il riposo sperato

anche senza vederla.

 

O Sera, tu sii lodata per il tuo viso

perlaceo, e per i tuoi grandi occhi umidi nei quali si raccoglie in silenzio

l’acqua caduta dal cielo!

 

Durante questa sera le mie parole

ti siano dolci come il rumore leggero della pioggia

tiepida e rapida,

commosso saluto della primavera,

sui gelsi, sugli olmi, sulle viti

e sui pini con i nuovi germogli rosati

che giocano con il vento che passa e svanisce,

e sul grano che ancora non è maturo

ma nemmeno più verde,

e sul fieno che è stato tagliato dalla falce

e sta mutando colore,

e sugli olivi, sui fratelli olivi

che rendono le colline pallide come i santi

e sorridenti.

 

O Sera, tu sii lodata per le tue vesti profumate,

e per la cintura che ti cinge come il ramo del salice

cinge il fieno odoroso!

 

Io ti dirò verso quali regni

d’amore ci inviti il fiume, le cui sorgenti

perenni gorgogliano all’ombra

degli alberi secolari nel silenzio sacro dei monti;

e ti dirò per quale segreto

le colline s’incurvino contro i limpidi orizzonti

come labbra che un divieto impedisca

di dischiudersi, e perché la volontà di rivelare il loro segreto

le renda belle

oltre ogni desiderio umano

e sempre nuove portatrici

di conforto, al punto che sembra

che ogni sera l’anima le possa amare

di un amore più forte.

 

O Sera, tu sii lodata per il tuo semplice svanire,

e per l’attesa che fa brillare in te

le prime stelle!

La sera fiesolana - Analisi - Parafrasi - Testo - Figure retoriche

La sera fiesolana è una poesia di Gabriele d’Annunzio; fu scritta e pubblicata sulla rivista Nuova Antologia nel 1899; apre la raccolta Alcyone (1903).

La sera fiesolana – Analisi

Il poeta si trova insieme alla donna amata (la sua presenza è percepibile attraverso pochi elementi: il «ti» che dal v. 2 si ripete in ogni strofa, «nostro sogno» v. 10, «ci chiami» v. 36) alla fine di una giornata, com’è rivelato fin dal titolo. I due soggetti sono avvolti dai rumori e dagli elementi della natura: il «fruscio che fan le foglie del gelso» (vv. 2-3) colte dalla mano silenziosa del contadino (l’altra presenza umana del testo oltre ai due amanti), il chiarore della luna che sta sorgendo, la freschezza notturna.

La prima strofa è seguita da una “lauda” alla Sera personificata e ai suoi «grandi umidi occhi»; qui la metafora non è perfettamente chiara: il poeta si riferisce all’umidità serale o alle pozze d’acqua piovana che la luce lunare illumina.

Il riferimento alla pioggia, che durante il giorno «bruiva tepida e fuggitiva» (vv. 19-20) è ripreso anche nella seconda strofa ed è definita «commiato lacrimoso de la primavera» (v. 21) poiché è come se essa fosse l’evento atmosferico di passaggio tra la primavera e l’estate. I due amanti sono attraversati, come gli alberi circostanti, da una leggera brezza e circondati dalle colline «sorridenti».

Nella terza strofa torna l’immagine delle colline e il poeta promette di rivelare all’amata il segreto per cui esse s’incurvino e sembrino «labbra che un divieto chiuda» (vv. 41-42).

La sera fiesolana si chiude con la “lauda” alla “morte” della Sera, che lascia spazio alla notte e alle stelle.

Le tre “laudi” che si alternano alle altrettante strofe della lirica rimandano al modello della lauda medievale, in particolare al Cantico delle creature di san Francesco, come dimostrano l’espressione «Laudata sii» e per l’esaltazione della natura circostante.

Si ha un potente intreccio tra presenza umana e natura, un’anticipazione di quel panismo che in alcune poesie di Alcyone diventa centrale ed essenziale; gli elementi della natura vengono qui umanizzati: non solo la Sera che nelle tre “laudi” viene personificata, ma la campagna che sembra sentire il gelo notturno e sperare nella pace serale, la primavera che rivolge il suo commiato, i germogli degli alberi che sono paragonati a «rosei diti» (v. 23) che giocano con la brezza, il fieno che ha patito il passaggio della falce, gli olivi, «fratelli» (v. 29) che costellano le colline che sorridono.

Figure retoriche

Per quanto riguarda le figure retoriche presenti in La sera fiesolana si segnalano principalmente la sinestesia al v. 1 («Fresche le mie parole», in cui si accosta la sensazione uditiva delle parole a quella tattile della freschezza), le metafore ai vv. 8-9 («soglie cerule», a indicare l’orizzonte azzurro), 16 («grandi umidi occhi», a indicare le pozze d’acqua), 23 («rosei diti», a indicare i germogli), le similitudini ai vv. 2, 19, 33, 41.

Ai vv. 1-2 («Fresche le mie parole ne la sera / ti sien come il fruscio che fan le foglie») l’allitterazione di /f/ e /r/ riproduce il suono delle foglie nella mano del contadino, rendendo l’espressione onomatopeica.

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