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L’assiuolo

L’assiuolo è una poesia di Giovanni Pascoli, che la pubblicò per la prima volta sulla rivista Il Marzocco nel 1897 e poi la inserì nella sezione In campagna della quarta edizione di Myricae (1897).

Il poeta descrive un paesaggio notturno nel quale si distingue il canto lamentoso di un assiuolo (assiolo), che è un uccello rapace simile alla civetta. Il canto angoscioso dell’animale diventa l’occasione per una riflessione sulla vita e sulla morte dell’uomo.

Si tratta di tre strofe di sette novenari con che si chiudono con l’onomatopea «chiù» (che riproduce il verso dell’assiuolo), con schema di rime alternate ABABCDCD.

Testo

Dov’era la luna? ché il cielo

notava in un’alba di perla,

ed ergersi il mandorlo e il melo

parevano a meglio vederla.

Venivano soffi di lampi                             5

da un nero di nubi laggiù;

veniva una voce dai campi:

chiù…

 

Le stelle lucevano rare

tra mezzo alla nebbia di latte:                   10

sentivo il cullare del mare,

sentivo un fru fru tra le fratte;

sentivo nel cuore un sussulto,

com’eco d’un grido che fu.

Sonava lontano il singulto:                       15

chiù…

 

Su tutte le lucide vette

tremava un sospiro di vento:

squassavano le cavallette

finissimi sistri d’argento                           20

(tintinni a invisibili porte

che forse non s’aprono più?…);

e c’era quel pianto di morte…

chiù…

L’assiuolo – Parafrasi

 Di seguito la parafrasi de L’assiuolo.

Dov’era la luna? Perché il cielo

nuotava in un’alba dal colore perlaceo,

ecil mandorlo e il melo sembravano

ergersi per vederla meglio.

Dalle nuvole nere, laggiù,

provenivano lampi rapidi come soffi;

dai campi veniva una voce:

chiù…

 

Le stelle risplendevano qua e là

in mezzo al biancore diffuso dalla luna;

sentivo l’ondeggiare del mare simile a quello di una culla,

sentivo un fruscio tra i cespugli;

sentivo un sussulto nel cuore,

che era come l’eco di un grido del passato.

Da lontano risuonava quel singhiozzo:

chiù…

 

Su tutte le cime degli alberi illuminate

soffiava un vento leggero:

le cavallette scuotendo le ali

emettevano un suono simile a quello dei sistri

(erano tintinni a porte invisibili

che forse non si aprono più?…);

e c’era quel pianto luttuoso…

chiù…

L’assiuolo – Analisi

L’assiuolo si apre con un interrogativo sulla luna e con la descrizione di un paesaggio in cui essa sta per sorgere, come dimostra il chiarore dell’atmosfera.

L’ «alba di perla» (v. 2) che si prepara all’apparizione della luna, però, contrasta con i «soffi di lampi» (v. 5) e il «nero di nubi» (v. 6) che appaiono in un indefinito orizzonte («laggiù», v. 6): questa nuova atmosfera, più cupa di quella descritta inizialmente, lascia spazio al suono di «voce dai campi» (v. 7), che altro non è il che il verso dell’assiuolo («chiù»), che non viene citato nel testo ma solo nel titolo.

Anche in questo, come in molti altri testi pascoliani, alcuni elementi e immagini assumono un significato simbolico: qui il verso dell’animale rappresenta sensazioni di angoscia e di morte.

Anche la seconda strofa presenta immagini di serenità, quali il bagliore delle stelle e il rumore delle onde del mare; dal v. 12, però, prende spazio una sensazione di mistero («un fru fru tra le fratte») e di angoscia (un «sussulto» nel cuore del poeta che riconduce a un «grido», a un dolore, passato, molto probabile l’uccsione del padre); di nuovo, in chiusura, torna il verso dell’assiuolo che, però, non è più simile a un canto, ma a un «singulto», un singhiozzo.

La luce lunare torna nella terza strofa, dove illumina le cime degli alberi, che sono mosse da leggere folate di vento, ma l’innocua immagine delle cavallette si carica di un significato funebre: infatti il rumore delle loro ali che sbattono ricorda quello dei sistri, che sono strumenti musicali che producono un suono tintinnante e che erano usati nell’antico Egitto nel culto della dea Iside, a definire il ritorno alla vita dopo la morte. Quest’ultima era la dea della fecondità e della resurrezione (grazie a lei il fratello e marito Osiride è tornato in vita) e la sua divinità era simboleggiata dalla luna.

La poesia, però, mette l’accento sugli elementi più cupi e lugubri, come a stabilire che non è la vita a trionfare: la luna non compare, il poeta è dubbioso e ciò che rimane è solo il verso dell’assiuolo, non più voce né singulto, ma «pianto di morte…» (v. 23).

L'assiuolo - Parafrasi - Figure retoriche

L’assiuolo è una poesia di Giovanni Pascoli, che la pubblicò per la prima volta sulla rivista Il Marzocco nel 1897 e poi la inserì nella sezione In campagna della quarta edizione di Myricae (1897).

L’assiuolo – Figure retoriche

Per quanto riguarda le figure retoriche, nella prima strofa si notano la metafora al v. 2 (il colore dell’alba ricorda quello delle perle), la sinestesia al v. 5 (la sensazione visiva dei lampi è associata a quella uditiva dei soffi), la metonimia al v. 6 (si sostuisce il concetto astratto, «il nero», a quello concreto, cioè le nubi nere) e l’onomatopea «chiù» del v. 8 che diventa anche anafora data la ripetizione in tutte e tre le strofe.

Nella seconda strofa vanno evidenziate la metafora al v. 10 (il chiarore dell’atmosfera ricorda il bianco del latte ed è avvolgente come una nebbia), l’anafora «sentivo» ai vv. 11, 12 e 13, l’onomatopea «fru fru» del v. 12 che indica un fruscio nei cespugli e che allittera la /f/ e la /r/ con «tra» e «fratte»; al v. 14 «com’è eco d’un grido che fu» è similitudine.

Nella terza strofa al v. 18 il soffio del vento sugli alberi ricorda per metafora un sospiro e il «pianto di morte» del v. 23 produce un climax rispetto a «singulto» (v. 15) e «voce» (v. 7).

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