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A Silvia

A Silvia è il titolo di una lirica composta dal poeta recanatese Giacomo Leopardi. Dopo un periodo di silenzio, nel 1828 Leopardi apre una nuova stagione poetica, caratterizzata dai cosiddetti “canti pisano-recanatesi” che, oltre ad A Silvia, comprendono Le ricordanze, il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio. Essi fanno riferimento all’esperienza pisana (1828) e al ritorno a Recanati (novembre 1828), mescolando l’esperienza personale con la riflessione generale sul mondo; in particolare emergono la certezza dell’universalità del dolore e l’indifferenza della Natura nei confronti degli uomini.

Ciò che cambia rispetto al passato è anche la forma metrica: Leopardi, in queste liriche, alterna liberamente versi endecasillabi e settenari (si parla infatti di “canzone libera leopardiana”), per cui non c’è uno schema metrico preesistente, ma quest’ultimo si costituisce con lo sviluppo del discorso. Questi componimenti confluiranno nell’edizione dei Canti del 1831.

In A Silvia il poeta ricorda una ragazza conosciuta nella giovinezza e morta di malattia; tradizionalmente ella viene identificata con Teresa Fattorini, figlia del cocchiere della famiglia Leopardi e morta di tisi nel 1818, quando aveva vent’anni. Il nome poetico fa riferimento a quello della ninfa protagonista del dramma pastorale Aminta di Torquato Tasso.

Il poeta rievoca qui le speranze della giovinezza, che contrastano con l’infelicità connaturata al genere umano. Come i desideri della giovane sono stati frustrati dalla morte prematura prima che si realizzassero, anche quelli del poeta lo sono stati dallo scontro con la realtà della vita adulta.

A Silvia – Testo

La lirica è una canzone libera di endecasillabi e settenari.

Silvia, rimembri ancora

Quel tempo della tua vita mortale,

Quando beltà splendea

Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,

E tu, lieta e pensosa, il limitare 5

Di gioventù salivi?

Sonavan le quiete

Stanze, e le vie dintorno,

Al tuo perpetuo canto,

Allor che all’opre femminili intenta 10

Sedevi, assai contenta

Di quel vago avvenir che in mente avevi.

Era il maggio odoroso: e tu solevi

Così menare il giorno.

Io gli studi leggiadri 15

Talor lasciando e le sudate carte,

Ove il tempo mio primo

E di me si spendea la miglior parte,

D’in su i veroni del paterno ostello

Porgea gli orecchi al suon della tua voce, 20

Ed alla man veloce

Che percorrea la faticosa tela.

Mirava il ciel sereno,

Le vie dorate e gli orti,

E quinci il mar da lungi, e quindi il monte. 25

Lingua mortal non dice

Quel ch’io sentiva in seno.

Che pensieri soavi,

Che speranze, che cori, o Silvia mia!

Quale allor ci apparia 30

La vita umana e il fato!

Quando sovviemmi di cotanta speme,

Un affetto mi preme

Acerbo e sconsolato,

E tornami a doler di mia sventura. 35

O natura, o natura,

Perché non rendi poi

Quel che prometti allor? perché di tanto

Inganni i figli tuoi?

Tu pria che l’erbe inaridisse il verno, 40

Da chiuso morbo combattuta e vinta,

Perivi, o tenerella. E non vedevi

Il fior degli anni tuoi;

Non ti molceva il core

La dolce lode or delle negre chiome, 45

Or degli sguardi innamorati e schivi;

Né teco le compagne ai dì festivi

Ragionavan d’amore.

Anche peria fra poco

La speranza mia dolce: agli anni miei 50

Anche negaro i fati

La giovanezza. Ahi come,

Come passata sei,

Cara compagna dell’età mia nova,

Mia lacrimata speme! 55

Questo è quel mondo? questi

I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi

Onde cotanto ragionammo insieme?

Questa la sorte dell’umane genti?

All’apparir del vero 60

Tu, misera, cadesti: e con la mano

La fredda morte ed una tomba ignuda

Mostravi di lontano.

A Silvia – Parafrasi

 

Silvia, ricordi ancora

quel tempo della tua vita prima che arrivasse la morte,

quando la bellezza splendeva

nei tuoi occhi ridenti e sfuggenti,

e tu, lieta e pensosa,

stavi per raggiungere il limite della giovinezza?

Le stanze silenziose

e le vie dintorno

risuonavano al tuo canto continuo,

mentre sedevi impegnata nelle attività femminili,

assai contenta

di quel futuro indefinito che avevi in mente.

Era un maggio profumato all’epoca: e tu eri solita

trascorrere così la giornata.

Io, lasciando di tanto in tanto,

gli studi piacevoli e le carte faticose,

sui quali si consumava la mia giovinezza

e la parte migliore di me,

dai balconi della casa paterna

porgevo gli orecchi al suono della tua voce

e a quello della mano che veloce

attraversava la tela faticosa.

Guardavo il cielo sereno,

le vie illuminate dal sole e gli orti,

e da qui il mare in lontananza, e da qui le montagne.

Parole umane non possono esprimere

quello che io provavo dentro.

Che pensieri dolci,

che speranze, che cuori avevamo, Silvia mia!

Come ci apparivano allora

la vita umana e il destino!

Quando mi ricordo di una così grande speranza,

mi angoscia un sentimento

doloroso disperato,

e torno a dispiacermi della mia sventura.

O natura, natura,

perché poi non dai quel che prima prometti? Perché inganni così tanto

i figli tuoi?

Tu, prima che l’inverno inaridisse l’erba,

consumata e uccisa da una malattia che non si era manifestata,

morivi, o dolcezza. E non vedevi

il meglio dei tuoi anni;

non ti allietava il cuore

la dolce lode ora dei capelli neri

ora degli sguardi che fanno innamorare e timidi;

né le amiche parlavano di amore con te

nei giorni di festa.

Poco dopo moriva

anche la mia dolce speranza: anche alla mia vita

il destino ha negato di vivere

la giovinezza. Ahi, come,

come sei passata veloce,

cara compagna della mia gioventù,

mia speranza rimpianta!

Questo sarebbe quel mondo che mi aspettavo? Questi

Sarebbero i piaceri, l’amore, le attività, gli eventi

dei quali abbiamo discusso tanto insieme?

Questa è la sorte del genere umano?

Tu, mia povera speranza, sei crollata

all’apparire della verità: e con la mano indicavi

da lontano

la morte fredda e una tomba spoglia.

Analisi

Nella prima strofa, il poeta rievoca la giovane chiamandola per nome, che torna, in anagramma, nel termine «salivi» (v. 6).

La seconda strofa rappresenta la vita di Silvia, ricordata nella stagione primaverile, che rimanda alla serenità e alla leggerezza della giovane. Ella lavora al telaio, canta e immagina speranzosa il futuro.

Con la terza strofa inizia il confronto tra la giovane e l’io poetico: questi descrive la propria giornata adolescenziale, affiancandola a quella di Silvia, impegnata nelle attività già menzionate nella seconda strofa (la tessitura, il canto).

Al v. 16 si rintraccia una metonimia («le sudate carte»): gli studi del poeta sono così faticosi da far sudare, sebbene al v. 15 assegni loro anche “leggiadria”.

La strofa si chiude con una sensazione di ineffabilità: le parole umane non sono capaci di esprimere i sentimenti e le speranze che il poeta provava in quel periodo lontano.

Nella quarta strofa, il poeta unisce il suo destino e quello di Silvia, sottolineando da una parte le comuni speranze (illusioni) nel futuro, ma dall’altra annunciando un evento, non dichiarato esplicitamente, che ha frustrato quelle aspettative. La delusione porta il poeta a protestare contro la Natura, portatrice di sventura per gli uomini.

Nella quinta strofa torna protagonista Silvia, della quale si svela il destino di morte. Il poeta riflette sui beni non vissuti dalla giovane: il piacere di essere ammirata e lodata per la propria bellezza e quello di parlare di amore con le amiche.

La sesta strofa è quella che esprime la disillusione del poeta: la sua giovinezza, a differenza di quella di Silvia, non è stata interrotta bruscamente dalla morte, ma con la fanciulla egli condivide la frustrazione delle proprie speranze a causa dello scontro con la realtà. Quanto desiderato durante l’adolescenza si è rivelato illusorio e tale condizione è propria di tutti gli uomini.

L’interlocutore a cui l’io poetico si rivolge è incerto: potrebbe essere Silvia, ma anche la speranza perduta dal poeta e qui personificata.

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Dopo un periodo di silenzio, nel 1828 Leopardi apre una nuova stagione poetica, caratterizzata dai cosiddetti “canti pisano-recanatesi” che, oltre ad A Silvia, comprendono Le ricordanze, il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio.

A Silvia – Figure retoriche

Numerose sono le figure retoriche presenti in A Silvia (si vedano i link per le definizioni); in particolare si possono ricordare le seguenti:

  • apostrofe (v. 1, Silvia, rimembri ancora; v. 29, o Silvia mia!; v. 36, O natura, o natura)
  • allitterazione (della sillaba vi e delle lettere t, m, n)
  • ossimoro (v. 5, lieta e pensosa)
  • enjambement (vv. 7-8, Sonavan le quiete / Stanze, e le vie dintorno; vv. 49-50, peria fra poco / La speranza mia dolce; vv. 51-52, Anche negaro i fati / La giovanezza. Ahi come; vv. 56-57, questi / I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi; vv. 62-63, ed una tomba ignuda / Mostravi di lontano)
  • chiasmo (vv. 15-16, Io gli studi leggiadri /… e le sudate carte; v. 62, La fredda morte ed una tomba ignuda)
  • metonimia (v. 16, sudate carte; v. 22, faticosa tela; v. 26, lingua mortal; v. 46, sguardi innamorati e schivi)
  • zeugma (vv. 20-21, Porgea gli orecchi al suon della tua voce, / Ed alla man veloce)
  • climax (vv. 28-29, Che pensieri soavi, / Che speranze, che cori, o Silvia mia!)
  • personificazione (vv. 36-38, O natura, o natura / Perché non rendi poi / Quel che prometti allor?).

 

Manuale di cultura generale – Letteratura italiana – A Silvia – Continua

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