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Tampone vaginale

Il tampone vaginale è un esame diagnostico molto diffuso che viene eseguito tramite un tampone ovattato (una specie di cotton-fioc) e il cui scopo è quello di verificare l’eventuale presenza di microrganismi patogeni responsabili di processi infettivi a carico della vagina oppure della cervice uterina; in quest’ultimo caso si dovrebbe parlare più correttamente di tampone cervicale; molto spesso però con l’espressione generica tampone vaginale si indica sia il tampone vaginale vero e proprio sia il tampone cervicale. La prescrizione dell’uno o dell’altro (o di entrambi) viene decisa dal ginecologo in base sia ai disturbi che la donna segnala sia alle osservazioni fatte durante la visita ginecologica.

Tramite il tampone vaginale si esegue una raccolta della secrezione vaginale; una parte di essa viene posta su un vetrino, fissata con alcol metilico e inviata al laboratorio deputato alla sua analisi, un’altra parte invece viene posta in appositi contenitori e sarà utilizzata per effettuare il cosiddetto esame colturale, necessario per evidenziare l’eventuale crescita di batteri o miceti (funghi).

Tampone vaginale: come si esegue

L’esecuzione dell’esame è abbastanza semplice (peraltro esistono anche dei kit acquistabili in farmacia grazie ai quali è possibile effettuare il test in ambito domestico); la donna viene posta, sull’apposito lettino, in posizione ginecologica; il medico, illuminata la zona dove operare il prelievo, provvede, con un tampone in dacron inserito in vagina a una profondità di circa 4-5 cm, all’asportazione di secreto vaginale e di cellule di sfaldamento.

Il tampone vaginale viene generalmente richiesto quando si vuole accertare l’eventuale presenza di processi infettivi a carico del tratto vaginale (uretriti, vaginiti ecc.); solitamente si ricorre a tale esame dopo che la paziente ha segnalato disturbi locali quali prurito e bruciore, dispareunia (dolore durante i rapporti sessuali) o problemi urinari.

L’analisi del tampone vaginale consta di più fasi: in prima battuta si deve verificare il pH vaginale; si ricorda che, solitamente, in condizioni di normalità, il pH vaginale è di circa 4 (un pH acido previene la formazione di processi infettivi).

La fase successiva è quella che viene definita la colorazione di Gram, una procedura che permette di verificare:

  • se vi è la presenza della giusta quantità di cellule e di lattobacilli (in certe quantità la presenza di lattobacilli è fisiologica e non patologica)
  • l’eventuale presenza di leucociti (la presenza di globuli bianchi è indice di un processo infettivo in corso)
  • l’eventuale alterazione della flora batterica
  • l’eventuale presenza di funghi
  • l’eventuale presenza di Trichomonas vaginalis (un protozoo responsabile di numerosi processi infettivi).

L’esame colturale deve verificare l’eventuale presenza di agenti infettivi quali:

  • Streptococcus agalactiae
  • Streptococco beta-emolitico del gruppo D
  • Stafilococco
  • Gardnerella vaginalis
  • Candida.

Per la ricerca dell’eventuale presenza di Neisseria gonorrhoee (il batterio che causa la gonorrea), Chlamydia Trachomatis, micoplasmi, Human Papilloma Virus è più indicata l’esecuzione di un tampone cervicale.

Una volta individuato il microrganismo responsabile del processo infettivo, il medico potrà stabilire la terapia più idonea allo specifico caso.

Nel caso in cui il tampone vaginale risulti negativo, ma permangano i disturbi locali che hanno indotto la paziente a un consulto ginecologico, lo specialista prescriverà l’esecuzione di ulteriori e più specifiche analisi.

Come prepararsi all’esame

Nel caso in cui la paziente stia effettuando una terapia a base di farmaci antibiotici, non si potrà procedere con l’esecuzione del tampone vaginale prima che sia trascorsa almeno una settimana di tempo dalla fine di detto trattamento allo scopo di non falsare i risultati. I trattamenti farmacologici con medicinali non antibiotici (sia locali che generali) devono essere sospesi almeno tre o quattro giorni prima dell’esame.

Il tampone vaginale non dovrà essere eseguito durante il periodo mestruale al fine di non incorrere in falsi negativi; l’esame quindi dovrà essere effettuato o alcuni giorni prima dell’inizio delle mestruazioni oppure, in alternativa, alcuni giorni dopo la loro fine.

La sera precedente l’esame si dovranno evitare sia l’introduzione in vagina di prodotti utilizzati per l’igiene intima sia il bagno in vasca; sono invece consentiti lavaggi esterni.

Nelle 24 ore che precedono l’esecuzione del tampone vaginale ci si dovrà astenere da rapporti sessuali.

Tampone vaginale in gravidanza

aborto spontaneo - tampone vaginaleÈ buona norma, trascorse circa 36 settimane di gravidanza, eseguire sia un tampone vaginale sia un tampone rettale allo scopo di ricercare l’eventuale presenza dello Streptococco beta-emolitico di gruppo B (Streptococcus agalactiae o anche SGB) e impostare una terapia antibiotica; quest’ultimo punto in realtà è controverso dal momento che molti medici non concordano sull’opportunità di effettuare sempre e comunque un tale trattamento; secondo questi ultimi si dovrebbero trattare soltanto i soggetti più a rischio (donne con membrane rotte o che rischiano un parto prematuro ecc.) dal momento che, a fronte di un numero notevole di donne infette, solo pochi bambini finiscono per ammalarsi. Le ultime indicazioni al riguardo, degli statunitensi Center for Desease Control Prevention e American Academy of Pediatrics, sono per il trattamento di tutti i soggetti positivi.

L’infezione da Streptococco beta-emolitico di gruppo B è una delle infezioni che si riscontrano più comunemente nei neonati (è soprattutto responsabile di meningiti e polmoniti); la malattia si sviluppa in 3 bambini per ogni mille nati; il contagio avviene durante il parto quando si ha il passaggio del bambino attraverso la vagina oppure all’interno dell’utero. Come accennato, possono esserci gravi problemi (shock, meningite, polmonite ecc.) e in casi, fortunatamente rarissimi, si possono avere gravi conseguenze a livello cerebrale; l’eventualità di esito fatale è rarissima, ma non nulla. Nel 7% dei casi i risultati dell’esame colturale sono falsamente negativi. Il parto cesareo non elimina il rischio di infezione da Streptococcus agalactiae.

 

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