Il Well-being è la corrente filosofica nata dalle opere di Roberto Albanesi (La felicità è possibile, Migliora la tua intelligenza, Il mistero di Dio, La democrazia del benessere).
Il superamento del concetto classico di filosofia
I recenti sviluppi della filosofia (Carnap, Ayer, Hare e altri) tendono a limitare il campo della stessa per arrivare a qualcosa di concreto dopo tremila anni nei quali praticamente su alcuni temi non si è concluso granché. Indubbiamente la razionalizzazione dell’età moderna ha in parte attenuato l’importanza dei grandi temi della filosofia che negli ultimi decenni del XX sec. preferisce dedicarsi a temi circoscritti.
Se si pensa che al tempo dei greci la filosofia aveva l’ambizione di essere la scienza delle scienze si può ben capire la dimensione di questo fallimento. In termini pratici il fallimento possiamo motivarlo con il progredire stesso della civiltà: il motto “ogni uomo è filosofo” è tanto più vero quanto più l’uomo è colto e civile. Ai tempi di Socrate, Platone o Aristotele il filosofo poteva avere il vantaggio che la maggior parte degli uomini non era in grado di tenergli testa intellettualmente e le scienze avevano un grado di approssimazione tale che spesso non si distinguevano da semplici teorie filosofiche. Oggi le scienze hanno raggiunto un grado di oggettività decisamente maggiore e, almeno nel mondo occidentale, la cultura media è talmente buona che un filosofo che proponga una sua teoria piuttosto generale può essere facilmente controbattuto anche da chi filosofo non è: la soluzione è allora il rifugio della filosofia in campi dove è possibile arrivare a qualche risultato concreto.
Si deve inoltre evidenziare il danno di cui la filosofia classica è responsabile. La presunzione dei pensatori di esprimersi in termini di vero/falso, di giusto/sbagliato in scenari incerti ha fatto sì che questo costume si trasmettesse nella popolazione; ancora oggi nella morale, nella politica e in tutte le discipline incerte l’uomo della strada è solito ritenere che si possa arrivare alla verità, anziché affidarsi più semplicemente, ma concretamente, alla coerenza delle idee. Ciò genera contrapposizioni e intolleranze ingiustificate.
Prima di cominciare, un’immagine riassuntiva.
Il diagramma della felicità
La zoosofia
Per il Well-being la condanna della metafisica e delle correnti che l’hanno sostenuta direttamente o indirettamente, criticandola, ma di fatto ritenendola oggetto d’attenzione, è basata sul fatto che “non serve a nulla filosofare se poi la propria vita è infelice”. Parafrasando Carla Lonzi, è opportuno “sputare su Hegel” per vivere nel mondo reale.
Scopo massimo e unico dell’esistenza è la felicità.
Il Well-being, come l’esistenzialismo, critica ogni forma di filosofia totalizzante, che scorda la specificità dell’uomo, ma a differenza degli esistenzialisti, vede nella scelta non una problematicità che genera angoscia, ma un’opportunità per arrivare al fine dell’esistenza. Il Well-being passa quindi dalla generica filosofia alla zoosofia, al sapere della vita.
La felicità è vista “come l’integrale dello stato emozionale nel tempo“; è quindi un bilancio che somma tutti gli stati emozionali istantanei, stati emozionali che sono le monete con cui ognuno costruisce la sua ricchezza esistenziale.
Poiché lo stato emozionale è intimo del singolo, la filosofia non deve ritenere la strada alla felicità come unica e quindi il Well-being critica ogni forma di assolutismo del tipo “la felicità è…”. Scopo del pensatore è di indicare una strada possibile alla felicità che massimizzi nel tempo gli stati emozionali positivi.
Per la sua definizione di felicità il Well-being è critico anche verso le correnti di pensiero che hanno come aspirazione la serenità che, di fatto, non è che l’assenza di dolore, ma ha uno stato emozionale piatto, contrapposto alla gioia, stato emozionale decisamente positivo (“l’uomo che è felice ha il sorriso dipinto sulla bocca”).
Attraverso le scelte guidate dal Well-being (che è una delle strade!) l’uomo arriva a massimizzare la sua felicità, cioè a ottenere il meglio dalle sue condizioni iniziali e dall’evoluzione da lui non dipendente (per esempio la sua salute, che le scelte fatte possono aiutare, ma senza la certezza di una vita lunga e senza dolore). Il mondo non è leibnizianamente il migliore di quelli possibili, ma con il Well-being il singolo ottiene la miglior vita possibile per quanto gli possa competere.
La razionalità e la raziologia
Lo strumento fondamentale per percorrere la strada che il Well-being propone per la felicità è la razionalità, intesa non in senso logico, ma come raziologia, cioè la scienza che definisce e studia l’intelligenza esistenziale (quella forma di intelligenza che consente di capire il mondo che ci circonda), classificando e descrivendo gli errori raziologici che non ci consentono di comprendere la realtà che ci circonda.
A differenza della filosofia, la raziologia attribuisce alla logica un compito importante, ma anche molto limitato perché gli scenari reali che possono essere gestiti dalla logica sono veramente pochi. Sembra veramente ingenuo il sogno di Leibniz: “quando sorgerà una controversia fra due filosofi, non occorreranno discussioni come non ne occorrono tra due contabili. Basterà infatti prendere in mano la penna, un foglio di carta e dire: calcoliamo!”. In moltissimi scenari reali si deve cioè evitare l’illusione della certezza.
In sostanza
al filosofo è sempre mancata la dimensione numerica e statistica della vita per potere capire la realtà fino in fondo.
La raziologia pertanto affianca alla logica, la statistica e la teoria della scelta razionale per gestire scenari probabilistici (dove si possono definire probabilità e nei quali domina la statistica per arrivare alla scelta migliore) e scenari incerti (dove anche la definizione delle probabilità diventa soggettiva e nei quali alla logica e alla statistica si affianca la teoria della scelta razionale: la scelta meno criticabile è quella coerente, che cioè non ha contraddizioni. Negli scenari incerti la logica e la statistica servono “solo” a trovare la soluzione più coerente).
Per la raziologia l’intelligenza esistenziale ha tre componenti:
- Intelligenza razionale
- Intelligenza affettiva
- Intelligenza acquisitiva
La prima è la fusione di logica, statistica e teoria della scelta razionale; la seconda studia gli errori razionali che derivano direttamente dalla personalità del soggetto; la terza studia la capacità di acquisire dati corretti dal mondo esterno, sia dalla propria esperienza sia dall’esperienza di altri.
La raziologia definisce il senso logico (introducendo un ragionamento per assurdo di tipo socratico), il senso statistico e procede all’analisi degli errori razionali, suddivisi in logici, statistici, affettivi, acquisitivi. Il naturale passaggio dalla logica alla statistica si ha con la definizione della condizione facilitante (penalizzante): A si dice condizione facilitante (penalizzante) di B quando, se A è vero, B ha maggiori (minori) probabilità di essere vero.
Compito della razionalità non è come negli stoici o in Kant il distoglierci dalle passioni, ma di affinare lo spirito critico per evitare condizionamenti, vere e proprie truffe che la società, nei suoi vari nuclei, propina al singolo.
Gli idoli
La base di partenza del Well-being è la constatazione che nelle società occidentali una piccola parte della popolazione vive senza problemi, anche senza possedere grandi condizioni facilitanti (per esempio la ricchezza, intesa erroneamente da molti come condizione sufficiente alla felicità). Studiando questo insieme di persone si scopre che sono immuni dagli idoli che forgiano la società. Questi idoli sono i condizionamenti che vengono accettati acriticamente e dirigono il soggetto su strade obbligate che non portano alla felicità.
Tali condizionamenti possono essere sociali o familiari, ma spesso derivano da ideologie che, a torto, vengono viste come positive.
Ancora oggi il romanticismo porta gli individui verso l’idea che la vita possa essere dolore (“per amore si può soffrire”) e addirittura tragedia. Il Well-being boccia i principali principi del romanticismo (salvando solo il tema della natura, anche se valutata in modo diverso):
- l’uomo non deve essere proiettato verso il passato, ma verso il futuro;
- senza arrivare alla distruzione neopositivistica della tradizione, essa ha un senso solo se i giovani continuano a seguirla, ma muore naturalmente quando questo non accade più;
- l’arte e la religione non sono in grado di guidare l’uomo alla felicità, anche se possono farlo con il singolo, non sono cioè mezzi privilegiati, ma due delle tante strade;
- il sentimentalismo è visto come un potenziale pericolo, dell’individuo la cui spiritualità deve rispettare la gerarchia di Albanesi: la ragione delimita i percorsi entro cui i sentimenti (quelli veri e profondi) possono esprimersi con la massima libertà e senza pericolo alcuno. In sostanza, “il sentimento è un bimbo libero di muoversi e giocare, ma solo in un giardino dove la ragione ha verificato non esserci alcun pericolo”.
Analogamente il Well-being è critico con il marxismo e con il capitalismo, dottrine incapaci di mettere la qualità della vita al centro dell’azione; il marxismo di fatto mira solo alla sopravvivenza del singolo che comunque resta asservito alla società di cui fa parte, mentre il capitalismo è incapace di uscire da una dimensione economica che il più delle volte penalizza non solo i lavoratori, ma anche gli stessi detentori dei mezzi di produzione, diventando paradossalmente la ricchezza un ostacolo alla felicità.
Il Well-being è critico anche verso i condizionamenti che, direttamente o indirettamente, derivano da religioni rivelate, visti come catene che permettono all’uomo di sopravvivere anziché vivere alla grande. La visione della donna, il privilegio degli anziani (“onora il padre e la madre” dovrebbe essere sostituito da “onora i tuoi figli”), la presunzione della superiorità del credente rispetto a chi non crede, le limitazioni sessuali o alimentari ecc. sono tutti macigni inutili verso la felicità.
Sul piano sociale anche concetti classici come famiglia, matrimonio e genitorialità vanno ripensati come non sempre positivi, ma frutto di scelte ponderate che spesso non sono per tutti.
Gli oggetti d’amore
Fulcro del Well-being è il concetto di oggetti d’amore. Per avere tanti stati emozionali positivi occorre amare, l’alternativa, anche in assenza del dolore, è la noia.
L’oggetto dell’amore può essere definito con quello che nel linguaggio comune si chiama passione (per una persona, per un ‘attività ecc.), ma il Well-being filtra le passioni innanzitutto con la consapevolezza che una passione per essere positiva non deve diminuire la qualità della vita (cioè non deve diminuire il bilancio esistenziale) e successivamente con la ricerca di quattro requisiti fondamentali:
- Conoscenza; non c’è amore dove c’è superficialità; la conoscenza è il risultato dello studio approfondito di ciò che si ama.
- Stabilità; l’oggetto d’amore, duraturo nel tempo, contrapposto alla moda del momento, nella quale non c’è stabilità.
- Indipendenza; l’oggetto d’amore è una condizione facilitante la ricerca della felicità, non deve diventare una droga della quale non riusciamo a fare a meno.
- Frequenza; cioè la pratica dell’oggetto d’amore; quando manca la frequenza di fruizione dell’oggetto d’amore, questo cessa di essere tale, diventa un “sogno d’amore”.
Il dolore mette alla prova i veri oggetti d’amore (“se ciò che ami lo dimentichi nei momenti bui, era solo un passatempo, un hobby o un divertimento“) che servono come antidoto naturale; persino la consapevolezza dell’ineluttabilità della morte di Heidegger viene ridimensionata dagli oggetti d’amore perché tramite essi l’uomo “dimentica la morte”.
La capacità d’amare
Purtroppo un oggetto d’amore può svanire ed esistenzialmente il soggetto può cadere nell’angoscia se non possiede una sufficiente capacità d’amare; la capacità d’amare è la capacità di trovare oggetti d’amore: per il Well-being questa è la vera assicurazione per imboccare fino in fondo la strada della felicità.
Alcuni possiedono una grande capacità d’amare, altri meno. Il Well-being identifica nell’osservazione lo strumento per migliorare la propria (“cambia i tuoi occhi, cambierai il tuo cuore!”): l’esercizio è quello di vedere la parte positiva in tutto ciò che si ha attorno. In ogni cosa, quasi ossessivamente. Il positivo che via via viene scoperto ci attrarrà a sé fino a costruire un oggetto d’amore.
La grandezza che la misura è l’energia vitale del soggetto. Il Well-being ritiene molto ristretta la visione di Freud sulla libido e considera l’energia vitale qualcosa di molto più vasto, come l’energia psichica primaria di Jung, vedendola però solo nella sua funzione positiva di creatrice di oggetti d’amore.
La personalità
Necessariamente, sul percorso verso la felicità, la personalità del soggetto può facilitare od ostacolare il cammino. Il Well-being pertanto ritiene di dover esaminare gli aspetti negativi della personalità, partendo da una definizione quasi atomistica di essa.
Per il Well-being la personalità di un singolo soggetto (cioè una personalità reale) è rappresentata da un vettore che lo descrive in funzione delle personalità elementari.
P= v(p1, p2, …, pn)
ove le varie componenti sono i pesi che le varie personalità elementari hanno. Lo studio di una personalità reale passa attraverso l’interazione delle personalità elementari, è cioè lo studio di come in un determinato individuo le personalità elementari si fondano. Si comprende subito che esistono milioni di combinazioni, poiché ogni personalità elementare può pesare in modo differente, proprio come gli atomi possono legarsi in migliaia di modi diversi per formare migliaia di sostanze.
Il concetto di personalità elementare è negativo nel senso che il possederla penalizza la qualità della vita del soggetto; per il Well-being uno studio al positivo non ha senso proprio perché ipotizza che ci siano più strade per arrivare alla felicità; più produttivo studiare quelle che ci fanno deviare dall’obiettivo.
Grazie all’analisi dei dati raccolti, il Well-being definisce 20 personalità elementari e la scoperta più interessante è che, se si limita l’indagine alle sole interazioni che portano al disagio esistenziale, si scopre che quest’ultimo è causato dal superamento di soglie di pericolo.
Ragionando in una logica a due soli valori (0 e 1), un valore unitario di una personalità elementare nel vettore della personalità reale indica che in quella persona la personalità elementare supera la soglia di pericolo, è cioè diventata critica. Un particolare test su 85 domande (Il gioco della vita) viene utilizzato per trovare le personalità critiche.
Le personalità critiche diventano condizioni penalizzanti per la felicità.
Il soggetto che non ha personalità critiche è detto equilibrato e condizione necessaria per massimizzare le proprie possibilità di essere felici è di essere soggetti equilibrati.
L’etica e i valori
I valori che il Well-being porta all’attenzione non sono di natura etica, ma esistenziale.
Infatti l’etica per il Well-being non può essere assoluta e oggettiva (la definizione di un’etica di questo tipo è un tentativo analogo agli sforzi vani della metafisica), ma diventa una dimensione soggettiva, in particolare
un’etica è razionale se è coerente.
Per il Well-being, cioè etica e coerenza coincidono; in tutti i momenti della nostra vita, cioè coerenza fra le azioni e i nostri precetti etici di quel particolare momento in cui l’azione si svolge.
I valori etici sono quelli che, coerentemente, servono soprattutto per evitare personalità critiche, per esempio razionalità, semplicità, bontà, forza calma, forza di volontà anevrotica, onestà, legalità. Ognuno visto in chiave psicologica piuttosto che morale. La stessa autostima viene proposta come fondata non tanto sul risultato (“valgo se ottengo qualcosa”), quanto sui valori morali ed esistenziali (gli oggetti d’amore che l’individuo ha).
Lo stile di vita
Avere una personalità equilibrata è una condizione facilitante alla felicità, ma può non bastare, soprattutto se il soggetto non ha un buon stile di vita. Incredibilmente, la filosofia ha sempre snobbato la dimensione fisica dell’uomo, lasciando alla medicina il compito di interessarsene, senza comprendere che la medicina è sempre stata più interessata a curare che a non fare ammalare. Solo dal XIX sec. si è incominciato ad affiancare la prevenzione alla cura, ma sempre da un punto di vista delle patologie più serie e decisamente invalidanti.
Il Well-being definisce il buon stile di vita (un’espansione del mens sana in corpore sano di Giovenale) in dieci punti, in cui scelte di vita, nutrizione, attività fisica, dimensione psicologica del soggetto, tutte concorrono necessariamente a ottimizzare il risultato.
La società
Per il Well-being ognuno dovrebbe avere tre mondi:
- quello dell’amore (composto da esseri viventi che migliorano significativamente la qualità della nostra vita)
- quello neutro
- quello dell’odio (composto da esseri viventi che la peggiorano, sperabilmente vuoto).
Il grosso problema che nessuna filosofia ha risolto nel secondo millennio è come coniugare l’egoismo individuale con l’amore per gli altri. Le varie soluzioni proposte sono state spesso utopistiche e prive di una reale concretezza. Il problema principale è che nessuno se la sentiva di spezzare in insiemi disgiunti (gerarchicamente ordinati) il mondo degli altri. In realtà chi non migliora la qualità della nostra vita non può essere messo sullo stesso piano di chi invece lo fa, esattamente come per una madre un estraneo non può essere messo sullo stesso piano di un figlio.
La gestione del mondo neutro non spetta perciò al singolo, ma alla società. La solidarietà (esattamente come la giustizia che è gestita dalla società tramite la legge) diventa un sentimento sociale e non un’azione confusamente individuale.
La società deve rimanere in funzione del cittadino e non viceversa e il Well-being identifica nelle democrazie occidentali più avanzate e segnatamente nei Paesi scandinavi (che sono in testa a molte classifiche del benessere, calcolate con indici opportuni di benessere), le società dove ci sono i migliori presupposti per iniziare il cammino verso il futuro.
In particolare, la democrazia del benessere vuole portare al reddito di benessere per tutti i cittadini del Paese, alla riduzione dell’orario di lavoro e alla definizione di un limite sociale di profitto: la ricchezza non viene demonizzata, ma la curva fiscale deve essere disegnata in modo da limitare drasticamente redditi oltre soglie di ricchezza inimmaginabili per la maggior parte dei cittadini.
Il lavoro non viene visto come un valore, ma come una condanna sociale, da un lato necessario per il progresso della società, ma dall’altro limitativo delle inclinazioni e degli oggetti d’amore personali. In sostanza l’efficienza lavorativa del singolo deve consentirgli di minimizzare il suo carico lavorativo, dando comunque il suo giusto e necessario contributo alla società.
Le tensioni sociali sono tanto maggiori quanto più la società è costituita da gruppi non compatibili. Se per un gruppo, X è un diritto mentre, per un altro gruppo, X è un delitto, si arriverà necessariamente allo scontro; se i punti di scontro sono troppi, ecco che le tensioni sociali possono sfociare in tumulti, rivolte, atti di terrorismo ecc. Pertanto il Well-being accanto alle semplicistiche soluzioni dell’integrazione a ogni costo o del razzismo con la prevalenza di un gruppo sull’altro, propone il separatismo e l’autodeterminazione dei popoli.
L’ambiente
Nella filosofia la natura ha sempre avuto un ruolo fondamentale, ma l’ecologia, cioè lo studio e la difesa dell’ambiente, è nata solo alla fine del XIX sec. e l’ambientalismo si è affermato solo negli ultimi decenni del XX sec.
Il Well-being dissente da Rousseau (e dal romanticismo) e non descrive l’uomo allo stato di natura come fondamentalmente buono: la natura ci fa invecchiare e ci fa morire quindi non è certo “buona” con l’uomo né l’uomo può avere il meglio dalla vita rimanendo allo stato naturale, ma è pur vero che nella natura l’uomo trova il valore fondamentale della semplicità che il progresso sociale tende a mettere in ombra.
La salvaguardia della natura è perciò vista come una difesa della semplicità dell’uomo e quindi un valore importantissimo; l’ambientalismo dovrebbe essere fondato sulla riduzione (o comunque sulla stabilità) dell’antropentropia, cioè sulla riduzione della superficie terrestre antropizzata.
Ciò da un lato comporta la necessità di evitare una crescita demografica incontrollata e dall’altro di sviluppare soluzioni (costruire sul costruito, costruzioni verticali, limitazione delle vie di comunicazioni fisiche, privilegiando quelle telematiche ecc.) che risparmino il territorio.
La religione
Troppo spesso il filosofo è rimasto schiavo della religione del tempo e non ha saputo affrontare in modo veramente oggettivo il tema di Dio.
Improbabili dimostrazioni dell’esistenza di Dio o, come nel caso dell’ateismo, della sua non esistenza si sono succedute spesso più per placare lo spirito del pensatore che per affrontare in modo “disinteressato” il problema.
Il Well-being ritiene che le religioni siano nate per il bisogno dell’uomo di creare Dio per opporsi al dolore e alla morte.
Il Well-being si situa nella dimensione dell’agnosticismo consapevole, l’unica veramente seria e non presuntuosa. Partendo dal paradosso di Buechner (1. Dio è onnipotente 2. Dio è buono 3. E allora perché nel mondo accadono cose terribili?), il Well-being accetta che non si possa dimostrare né l’esistenza né la non esistenza di Dio, ma che, se questo esiste, sicuramente non è buono, almeno secondo il metro umano della bontà. Questo perché la fede deve essere comunque razionale, cioè non in contrasto con la ragione (altrimenti diventa superstizione).
Per questo il Well-being ritiene che la religione debba essere una dimensione personale e non collettiva e condanna ogni Chiesa e ogni tentativo gerarchico all’interno delle varie religioni.
L’epistemologia
La dimensione raziologica del Well-being lo porta naturalmente in campo epistemologico. Oggetto d’indagine non è però la scienza in sé (per la quale il Well-being ritiene interessante l’opera di Popper, anche se non sottovaluta le obiezioni di Feyerabend) quanto la ricerca scientifica.
Per il Well-being la ricerca scientifica non è scienza e si occupa soprattutto di smontare la credenza comune nella popolazione che ricerca scientifica = scienza, rimarcando che è semplicemente un punto di partenza, visto che scorrendo le riviste “scientifiche” è spesso facile trovare una ricerca che dimostra che X è vero e una che dimostra che X è falso!
In particolare la raziologia evidenzia tutti i trucchi che le ricerche sfruttano per arrivare a conclusioni presentate ai media (che poi le diffondono come tali) come rapporti di causa-effetto, anziché di semplice correlazione.
Il cancro della ricerca attuale, soprattutto in campo medico, è il limitarsi a semplici ricerche di tipo epidemiologico, le cui correlazioni trovate spesso contraddicono il semplice buon senso e le conclusioni di altre ricerche.