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Superbia

La superbia si origina comunemente dalla presenza di due personalità critiche: apparenza e violenza. La definizione comune di superbia ci dice che è l’esagerata stima di sé e dei propri meriti (reali o presunti), manifestata con un continuo senso di superiorità verso gli altri.

Molte persone hanno una grande stima di sé, a volte ottimisticamente immotivata; questa grande autostima non fa necessariamente di loro dei superbi. Ciò che li rende tali è la “gara”, il “confronto” che arbitrariamente decidono di avere con gli altri. Il superbo ha bisogno di sentirsi superiore; questo bisogno necessariamente si traduce in un’apparenza del suo agire; che lo sia realmente o no, lui “vuole” apparire superiore quindi la sua realtà è sempre abbellita, depurata dai particolari che potrebbero sminuirla e interpretata in modo che si accendano i riflettori su di lui. A causa del confronto con gli altri, il superbo non può che essere violento, esercitando una forza psicologica esagerata, senza nessun motivo. L’umiliazione che fa provare al perdente è la sua gratificazione esistenziale.

Nei casi in cui la violenza è controllata, il superbo può addirittura credersi una persona semplice, non vedendo i danni che fa il suo continuo dimostrarsi superiore. Infatti, la sua ansia di apparire grande gli rende ostili tutti i “sudditi” (cioè coloro che grandi non sono) mentre lo rende ridicolo agli occhi di chi grande lo è già. Quasi sempre le sue relazioni umane sono temporanee (se la superbia è mascherata occorre che gli altri se ne accorgano) o comunque superficiali, come accade in quegli ambienti (come i club “esclusivi”), dove la superbia è una regola di vita e tutti la usano come ingrediente fondamentale delle relazioni umane.

La difesa da superbia

superbiaSpesso con la superbia (tramite frasi, immagini, scritti ecc.) stabiliamo una relazione negativa con chi ci è intorno, scateniamo una sua reazione, reazione che chiameremo difesa da superbia.

Nessuno attua la difesa da superbia quando leggendo le note sull’autore di un libro scopre che è una persona valida. Se però lo si incontra per caso in un negozio e questi inizia a sciorinare la sua biografia, il primo pensiero che ci sfiora è che è superbo.

Implicitamente scatta una gara, per cui le parole del superbo ci appaiono come “vedi, io valgo molto, non so tu, ma io…”. La difesa da superbia è semplicemente la non accettazione della gara e il superbo sarà emarginato o comunque guardato con molta freddezza.

Da questa prima analisi sembrerebbe che nessuno possa esprimere il proprio valore senza apparire superbo. Ovviamente non è così. Se lo si esprime in un contesto impersonale (come in un curriculum) o con l’interlocutore giusto il pericolo della difesa da superbia non esiste. Cosa si intende per interlocutore giusto?

Consideriamo le tre frasi:

1) Oggi sono proprio in forma, ho fatto 12 km in meno di 50 minuti. Senza fatica.

2) Ieri ero veramente sexy. Avevo una minigonna e una camicetta…

3) Sto imparando il cinese mandarino; conosco bene già nove lingue, vorrei arrivare a dieci.

La prima frase potrei dirla a uno sportivo mio amico, senza che questo mi giudichi superbo. E allora dov’è il problema? Sta nell’adattarsi all’altro.

Una frase non si può dire in assoluto a tutti!

Se la frase 1) la si dice a un sedentario magari in sovrappeso (cioè a una persona cui lo sport non interessa) lo si fa sentire uno zero (anche se odia lo sport, avverte di essere stato coinvolto in un confronto a cui lui non ha nessuna intenzione di partecipare).

La frase 2) possono dirsela fra loro due amiche carine, ma se la si dice in presenza di una ragazza bruttina, la si farà sentire una nullità e penserà “Ah, questa come se la tira…”.

La frase 3) è normale in un contesto fra intellettuali, fra interpreti ecc., ma se la si dice a uno che parla solo in dialetto ci riterrà “contemplativi”, sentendosi un po’ ignorante. Potrà compatirci (questa è una bella versione della difesa da superbia) oppure potrà rifiutarci in un modo meno carino. Quindi, regola:

parlando di sé, capite chi avete di fronte e cercate di non offenderlo.

La regola sopraesposta potrebbe sembrare in conflitto con quanto detto sulla possibilità di usare un certo grado di forza nel dialogo. In realtà, qui è fondamentale l’inciso “parlando di sé” che fissa un ambito ben diverso da quando contestiamo fermamente una proposizione altrui (una sorta di legittima difesa).

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