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Sensibilità

La sensibilità è la facoltà di percepire, attraverso sensori, stimoli provenienti da fonti esterne. Per gli esseri viventi i sensori sono gli organi di senso, ma per gli uomini c’è un ulteriore elaborazione di questa informazione, tanto che in psicologia si parla di sensibilità quando gli stimoli esterni portano a reazioni di tipo emotivo.

Per un luogo comune abbastanza diffuso “essere persona di grande sensibilità” è una locuzione a valenza positiva. Se però si riflette un attimo e si rilegge la definizione di sensibilità si arriva a concludere che non è così. Non a caso, “è una persona troppo sensibile” indica una penalizzazione della qualità della vita derivante proprio da un’eccessiva sensibilità. Qual è dunque la verità?

Come per lo stress, esiste una sensibilità positiva (che potremmo definire eusensibilità per analogia con eustress) e una negativa (disensibilità per analogia con distress).

La sensibilità è positiva quando aumenta in modo costante la qualità della vita,

altrimenti non può essere vista come un fattore facilitante l’esistenza. Generalizzando quanto detto per i sentimenti (si veda Ragione e sentimento), la sensibilità per essere positiva deve essere razionale, cioè non in contrasto con la ragione.

Per esempio per il Neocinismo la patosensibilità (l’incapacità da parte del soggetto di elaborare un sufficiente distacco dal dolore che ha attorno, ma che non lo coinvolge direttamente) è una condizione penalizzante e quando supera una certa soglia origina una personalità critica. Invece nella popolazione la patosensibilità è spesso vista quasi come un pregio, un valore che esalta l’eusensibilità di una persona. Intristirsi per una notizia negativa o, peggio, di fronte a un’immagine troppo cruda (che non ci tocca da vicino) è il modo migliore per avere tanti momenti negativi.

Il patosensibile dovrebbe riflettere che non è il mondo che ha un problema (il dolore e la morte sono ineliminabili; si possono ridurre, ma non eliminare), ma sono i suoi sensori che sono tarati in modo tale da generare sofferenza.

Per analogia, pensiamo di dover installare un sistema di allarme per la nostra casa. Tutti concorderebbero che abbiamo fatto una pessima scelta, se il sistema scatta per una zanzara che si posa sulla finestra. Analogamente, chi è troppo sensibile, fa una pessima scelta per la sua qualità della vita. Anziché fuggire il dolore e la morte, sarebbe più opportuno che ritarasse i suoi sensori verso la media.

La disensibilità non è però tipica solo dei patosensibili.

sensibilità

Un’eccessiva sensibilità può penalizzare la qualità della vita

Anche un romantico può essere “troppo sensibile”, incapace di accettare una limitazione nel vivere la sua idea dominante o esageratamente felice per una condizione che i più definiscono “normale”.

Si noti come il bilancio relativo alla sensibilità debba essere globale (si noti la locuzione “in modo costante” nella definizione di sensibilità positiva), sul lungo periodo. Così la sensibilità romantica può essere un boomerang per la qualità della vita se, irrazionalmente (senza cioè un’analisi razionale che promuova l’amore) un giorno il soggetto è felice e l’altro tragicamente depresso (“per amore si deve soffrire”).

Un fobico ha una sensibilità esagerata verso ciò che teme; analogamente un insofferente ne ha una esagerata verso ciò che boccia la sua aspettativa: il permaloso è il classico caso di soggetto insofferente dei giudizi altrui sulla propria persona.

Anche un sopravvivente può avere una sensibilità particolarmente anomala: è il caso del tifoso la cui sensibilità verso la squadra del cuore lo porta a reazioni emotive di tipo positivo o negativo.

Un contemplativo ha una sensibilità esagerata, spesso eccessiva nei confronti della cultura (e ciò può provocarne l’isolamento da chi contemplativo non è e vede come “strano” l’esaltazione quasi mistica verso la cultura); un mistico è esageratamente sensibile verso il divino che spesso lo dipinge agli occhi altrui come un fissato o, peggio, un fanatico.

A ben scavare, ogni personalità critica può avere una sensibilità esagerata verso il fattore che criticizza il soggetto; un irrazionale può essere particolarmente sensibile per tutto ciò che è occulto (fino ad arrivare a credere nel malocchio) oppure un semplicistico diventa ipersensibile verso quel fattore che semplifica la vita (per esempio chi crede che tutto ciò che è naturale sia buono può sviluppare una sensibilità eccessiva verso la natura e una repulsione altrettanto eccessiva verso ciò che naturale non è).

Concludendo, avere una sensibilità che supera la soglia di attenzione può essere una condizione penalizzante.

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