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Il leader

Cosa significa essere “leader“? E perché è importante diventarlo? In una società competitiva come la nostra, essere leader può rappresentare indubbi vantaggi. Non a caso esistono scuole di pensiero, organizzazioni (al limite della setta), filosofie, strategie personali o collettive per cercare di arrivare a questo importante traguardo.

Cosa vuol dire essere leader

Il termine leader deriva dall’inglese to lead che significa dirigere, guidare. L’etimologia ci fa subito comprendere che il leader guida un gruppo di persone (seguaci). Il concetto si applica ormai a svariati campi delle attività umane: management, politica, cultura, arte, sport ecc. È molto importante comprendere che non si può disgiungere il concetto dall’ambito in cui si applica: una persona può essere un leader in un campo e seguace in un altro, pensiamo per esempio a un calciatore che detiene la leadership della propria squadra che, uscito dal campo di gioco, manifesta profonde insicurezze ed è seguace di altri. Si deve pertanto fare una distinzione netta fra leader locali e globali, con la precisazione che per leader globale si intende un soggetto che ha l’attitudine a diventare leader in quello che fa con maggiore interesse: infatti un leader globale in assoluto non esiste perché, come vedremo, i tratti per diventare leader non sono generalmente presenti in ogni attimo della vita di un leader. In altri termini, se non so nulla di un determinato ambito, se non mi interessa più di tanto, anche se sono leader in molti ambiti, in questo posso ragionevolmente rassegnarmi a essere un seguace!

La capacità di esprimersi come leader in ambiti differenti è la leadership. Questo concetto non è da tutti accettato, perché ancora oggi molti lo riferiscono a un solo ambito. Io ritengo invece che la leadership possa essere traslata da un ambito all’altro. Un esempio di leadership a tutti noto è sicuramente Silvio Berlusconi, prima leader nel lavoro e poi nella politica.

La differenza fra capo e leader

Spesso una persona si ritrova a comandare qualcosa (pensiamo a una promozione improvvisa, a un giocatore che diventa capitano per l’espulsione del compagno ecc.); questa casualità del comando fa subito capire che

c’è una grande differenza fra capo e leader.

Sinteticamente la differenza si riassume nella capacità di dirigere bene i propri seguaci, nel prendere decisioni che vengono condivise e accettate positivamente. Se ciò non accade, è più corretto parlare di rapporto capo-subordinati, piuttosto che di rapporto leader-seguaci. In molti posti di lavoro il capo infatti non è affatto un leader.

Leader

Classicamente esistono tre modi per implementare la propria leadership: essere dittatoriali, essere democratici o essere deleganti

Le caratteristiche

Di seguito le principali.

  1. Fiducia nelle proprie capacità e quindi nessun dubbio sugli obiettivi da raggiungere.
  2. Affidabilità, credibilità e risultati che generano stima e fiducia nei suoi confronti.
  3. Buone doti psicologiche per comprendere, capire e comunicare con gli altri.
  4. Moralità pratica, cioè coerenza nel perseguire regole. Un capo mafia può essere un leader perché lui stesso segue delle regole.
  5. Iniziativa motivante, cioè la capacità di agire, realizzando obiettivi che sono fortemente desiderati dai seguaci.

Il primo punto si realizza con la forza e l’esperienza necessarie per affermarsi nell’ambito di competenza.

Il secondo punto viene invece costruito ed è importante per far comprendere come nessuno nasca leader.

Il terzo punto è spesso sottovalutato, pensando che le doti psicologiche di un leader debbano essere innate. Può essere così, ma è possibile anche apprenderle. La teoria delle personalità del Neocinismo vuole proprio insegnare questo: capire gli altri per poter ottimizzare la nostra interazione con loro.

Il quarto punto più che sul concetto di etica si sofferma su quello di coerenza perché il leader deve essere immune da contraddizioni (quasi sempre una contraddizione è una debolezza).

L’ultimo punto è quello più difficile da realizzare perché l’iniziativa deve portare a risultati concreti, non può essere semplicemente propositiva. Realizzare parzialmente o totalmente gli obiettivi dei seguaci deve essere una delle preoccupazioni del leader. Si comprende pertanto come sia molto difficile esercitare la propria leadership in un gruppo non omogeneo, dove i singoli individui hanno obiettivi diversi. In questo caso il vero leader deve essere in grado di unificare gli obiettivi o di avere una multistrategia che consenta di operare su più fronti.

Lo stile

Classicamente esistono tre modi per implementare la propria leadership.

  • Il dittatore impone le sue decisioni senza ascoltare gli altri. In lui predomina la forza.
  • Il democratico chiede e ottiene la partecipazione degli altri. In lui predomina la psicologia (comprensione, comunicazione, motivazione ecc.).
  • Il delegante lascia operare i seguaci dopo un periodo di addestramento. In lui predomina il controllo.

Raramente un leader che adotta sempre lo stesso stile resta a lungo nella sua posizione: il dittatore viene rovesciato al primo insuccesso, il democratico viene sostituito dalla collettività quando questa si diversifica troppo e il delegante viene messo da parte quando “non serve più”. Da questa breve analisi si può ipotizzare che

il vero leader è colui che adatta lo stile di leadership a seconda delle situazioni.

Ulteriori approfondimenti nell’articolo Come essere leader.

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