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Guarire

(alla puntata precedente: L’intelligenza emotiva (emozionale))

Questo articolo è l’analisi critica di un’opera che è poi il testo di riferimento di una delle correnti che nascono dal concetto di intelligenza emotiva: Guarire (Guérir) di David Servan-Schreiber (1961-2011).

Il testo si prefigge di combattere il disagio esistenziale grazie allo studio dell’interazione fra cervello emozionale e cervello cognitivo, giungendo a definire sette metodi terapeutici particolarmente efficaci:

  • controllo del battito cardiaco
  • rimozione dei traumi del passato attraverso i movimenti oculari (EMDR)
  • energia della luce
  • agopuntura
  • assunzione di acidi grassi omega 3
  • attività sportiva
  • comunicazione emotiva nonviolenta.

Già nella seconda puntata abbiamo visto i limiti delle correnti emozionali e, per chi li ha compresi, il libro è una piccola delusione. Se potrà aiutare quella parte (piccola) di soggetti il cui disagio esistenziale dipende da una mancanza di equilibrio fra parte emozionale e parte razionale, sicuramente nel grande pubblico apporterà più danni che vantaggi. Infatti, la pretesa di ridurre tutto all’equilibrio cuore-cervello non farà altro che fornire un alibi a tutti coloro che usano male sia l’uno sia l’altro. Sono coloro che confondono l’equilibrio emozione-razionalità con il fatto che nella loro vita possano convivere ragione e passione, una volta prevalendo la ragione e un’altra la passione, senza nessuna armonia, semplicemente  a caso. Questo, è chiaro, non è equilibrio: è conflitto perenne. In sintesi:

ragione e passione fanno solo confusione.

GuarireL’opera sostanzialmente è troppo ottimistica e può essere considerata semplicemente un punto di partenza, non d’arrivo, verso una visione del disagio esistenziale più approfondita e più complessa. Il limite maggiore è l’errore di base: l’allargamento del campione. Basandoci su rilievi clinici e su ricerche mediche, l’autore estrapola conclusioni valide per tutti quando in realtà sono solo interessanti indicazioni che possono aiutare una piccola parte della popolazione.

Senza entrare negli aspetti pratici di applicazione dei singoli metodi, vediamone i limiti.

Controllo del battito cardiaco – Il merito delle correnti emozionali è l’aver dato una base scientifica a tutta una serie di terapie empiriche, sia orientali (meditazione) sia occidentali (training autogeno). La coerenza cardiaca è la spiegazione del perché queste teorie funzionino. Il limite delle tesi di Servan-Schreiber è di non aver minimamente indagato perché a volte non funzionano! Se lo avesse fatto avrebbe scoperto che uno stato emotivo può dipendere non solo dall’equilibrio cuore-ragione, ma anche da altre tre variabili: ambiente, potere logico del soggetto, dati esterni.

Dall’esame di 1.800 schede di persone che in questi anni mi hanno scritto manifestando il loro disagio esistenziale, solo nel 18% dei casi si poteva parlare di mancanza di coerenza (o se vogliamo di mancata armonia cuore-cervello, per un soffocamento razionale o un cortocircuito emozionale); nel 12% dei casi il disagio nasceva dall’ambiente, nel 48% da un basso potere logico e nel 22% da dati esterni cattivi.

EMDR – È sicuramente il capitolo più interessante, ma è anche quello il cui campo d’azione viene limitato in maniera scientificamente corretta (“nella mia esperienza, questa tecnica funziona meno bene per sintomi che non affondano le loro radici in avvenimenti traumatizzanti del passato”).

L’EMDR (eye movement desensitization and reprocessing) utilizza i movimenti oculari e altre forme di stimolazione alternata destro/sinistra per ristabilire l’equilibrio eccitatorio/inibitorio, provocando così una migliore comunicazione tra gli emisferi cerebrali. Si basa sull’ipotesi che quando avviene un evento “traumatico” viene disturbato l’equilibrio eccitatorio/inibitorio  necessario per l’elaborazione dell’informazione e per il superamento del trauma.

Fra i metodi citati da Servan-Schreiber è sicuramente quello più clinico, cioè legato a grandi traumi. L’esempio di come un’interessante strategia clinica non riesca a essere efficace per “persone normali” in cui il disagio esistenziale non è necessariamente dovuto a grandi traumi o alla somma di piccoli traumi. La scarsa scientificità dell’approccio generale di Servan-Schreiber è legata a una frase che tradotta dal francese suona pressappoco così: “è possibile che la scoperta dell’EMDR trasformi la pratica della psichiatria e della psicanalisi”, lasciando intendere che possa essere utile anche al di fuori del DSPT (disturbo da stress post-traumatico, in francese ESPT). Invece l’EMDR è una tecnica applicata dai primi anni ’90, ma solo ai disturbi da stress post-traumatico. E gli addetti ai lavori continuano ad applicarla solo a questo tipo di disturbi.

Energia della luce e agopuntura – Sicuramente ci sono aspetti interessanti in queste due terapie, ma i capitoli sembrano scritti da chi non ha mai approcciato un discorso in modo distaccato, travolto dall’entusiasmo di un successo. Il citare qualche caso positivo (nel caso dell’energia della luce, uno solo!) senza chiedersi perché migliaia di altri casi non reagiscono è un approccio casuale, non scientifico.

Il fatto che la luce possa aiutare lo stato esistenziale del soggetto è noto, ma, se si quantifica l’importanza, si vede che, in soggetti normali, non può creare condizioni patologiche. L’agopuntura è stata utilizzata da secoli per la cura anche di patologie nervose, ma i risultati sono molto modesti. Non si può confondere la speranza (ragionevole) che conoscendola meglio possa effettivamente giovare con il fatto che già ora possa essere utile su grandi numeri.

Per esempio, citando il caso di Paul, l’autore dice chiaramente che non ha mai smesso di prendere l’antidepressivo, ma che i miglioramenti si sono avuti dalle prime sedute di agopuntura. È la chiara ammissione dell’effetto tempo: se solo una percentuale piccola di soggetti risponde all’agopuntura, è estremamente probabile che questa percentuale sia quella che avrebbe comunque mostrato un miglioramento, frutto dello scorrere del tempo o delle altre terapie che finalmente hanno avuto effetto.

Omega 3 e attività sportiva – Questi capitoli sono illuminanti e mostrano tutto il limite dell’opera di Servan-Schreiber. Da addetto ai lavori sia dello sport che dell’alimentazione, non posso che rilevare un esagerato ottimismo verso questi due fattori, comunque importanti. L’impressione è che l’autore sia rimasto vittima di chi gli ha proposto entusiasticamente queste due “terapie” e che le abbia sposate, amplificandone arbitrariamente i confini. Che gli omega 3 siano importanti non ci piove, che possano essere fondamentali in patologie psichiatriche anche, ma che possano risolvere una grande percentuale di disagi esistenziali di lieve entità è molto ottimistico. Sull’onda di molti articoli comparsi negli ultimi anni sui giornali, molti pazienti “minori” (cioè di forme non gravi) hanno assunto omega 3: il risultato è che puntualmente mi arrivava una mail del tipo “non ho avuto nessun giovamento dall’assunzione di omega 3, cosa posso fare per la mia depressione?”.

Anche per l’attività sportiva, la posizione dell’autore è da “inesperto”. In particolare non comprende che ci sono mille modi di fare sport e che, se fatto male, lo sport diviene un’attività stressante, come capita in moltissime persone non equilibrate. Anzi, il semplice consiglio di fare sport, in soggetti non equilibrati che decidono di provarci in maniera autonoma, si traduce spesso in un’ulteriore debacle esistenziale.

Comunicazione emozionale nonviolenta – Un’interessante strategia per i rapporti interpersonali che però funziona solo se il soggetto “cambia dentro”, si dà altre priorità, valuta diversamente la propria vita. Per Servan-Schreiber in situazione di conflitto esistono solo tre modi di reagire: passività (o passività-aggressività, tipica di quella che per il Neocinismo è la personalità del debole, succube con i più forti e aggressivo con i più deboli), aggressività e comunicazione emozionale (preferisco il termine francese originario a quello italiano classico, comunicazione emotiva) nonviolenta. In realtà non è che la traduzione dell’atteggiamento orientale di chi impara a gestire le persone con gentilezza, cercando ottenere il massimo dal rapporto. Non funziona. O meglio, funziona solo in circostanze dove il conflitto di fatto non esiste (quindi un certo miglioramento lo apporta), per esempio guidare l’auto nel traffico cittadino oppure parlare a uno sportello di un ufficio. Quando

  • il conflitto esiste oggettivamente,
  • l’altra persona usa l’aggressività ed è “impermeabile” alla nostra nonviolenza,
  • il soggetto è rimasto debole,

a poco a poco esplode comunque, ricadendo in un’ansia micidiale. Ho più volte sperimentato la cosa con persone che cercavano di applicare la comunicazione nonviolenta in situazioni di oggettivo conflitto (fra me e loro). Essendo dotato di una forte personalità, infrangevo uno dei regolamenti cardine della comunicazione nonviolenta: non dare giudizi personali diretti, iniziando la frase con io, piuttosto che con tu o con lei. Non dicevo: “a mio avviso sarebbe opportuno …”, ma “la tua posizione è inaccettabile…”; morale: dopo pochi tentativi estremamente gentili, il “saggio zen” o lo psicologo “equilibrato” perdevano le staffe, diventavano rossi come peperoni, iniziavano a insultare ecc.; la loro vecchia natura era ritornata prepotentemente.

È evidente che la comunicazione nonviolenta funziona solo se tutti comunicano così, ma non si può pretendere che le persone modulino la verità solo per non ferirci. In sostanza: meglio imparare a diventare forti (e calmi) dentro che apparirlo fuori, applicando tecniche di comunicazione.

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