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Buddhismo

Il buddhismo (meno corretto buddismo) è una religione sorta in India alla fine del VI sec. a. C., in seguito diventata una delle religioni mondiali.

Le origini del buddhismo e i suoi fondamenti sono da ricercarsi nella predicazione dell’asceta indiano Buddha (Siddharta Gautama).

Il buddhismo non è incentrato sul culto di una divinità creatrice, bensì su una dottrina filosofico morale che suggerisce il modo per conquistare la salvezza attraverso l’annullamento del dolore nel nirvana. L’adepto deve tentare di conquistare l’imperturbabilità completa, la pace interiore (nirvana), sopprimendo ogni forma di attaccamento ai desideri.

I precetti di Buddha vennero in un primo tempo diffusi oralmente dai suoi discepoli e dai monaci nel corso del III sec. a.C., durante il regno di Asoka (272-232 a.C.) che, convertitosi al buddhismo, ne fece la religione di Stato dell’impero indiano. Gradatamente il buddhismo si propagò anche oltre i confini di quell’impero, in Cina (I sec.), in Birmania e Corea (IV sec.), in Indocina (primi secoli dell’era volgare), in Giappone (VI sec., ove assunse la forma di Zen). Nel Tibet assunse le caratteristiche del buddhismo tibetano, o lamaismo.

Le diverse sette e scuole buddhiste diedero vita a due grandi correnti; quella antica del Piccolo Veicolo, o Hinayana, che, più aderente alla predicazione del Buddha, ne coltivava il lato ascetico e filosofico (Ceylon, Birmania, Indocina), e quella del Grande Veicolo, o Mahayana, che coltivava invece il lato mistico e religioso (Tibet, Cina, Giappone).

Il buddhismo non ricusa l’esistenza dell’io individuale, ma sostiene che la piena comprensione di esso passi attraverso il suo superamento; accetta un riconoscimento delle azioni tramite la reincarnazione. Quando l’uomo muore, muoiono con lui gli elementi materiali e spirituali mentre il flusso della vita cosciente, sostenuto dal karman (la forza delle azioni), prosegue oltre la morte e fonda la base per la costituzione di un nuovo essere.

Strumento principe per camminare nella via è la meditazione. Il buddhismo non chiede ai suoi discepoli una fede, una pratica di culto e un consenso incondizionati, in quanto reputa legittime tutte le altre religioni e non accetta l’intolleranza.

Buddhismo: il giudizio del Well-being

buddhismoIl Well-being dà del buddhismo un giudizio sostanzialmente positivo come religione, mentre ne prende le distanze come filosofia di vita. L’apprezzamento è spontaneo: è una delle poche religioni veramente tolleranti. Spesso di fronte a un buddhista si ha subito l’impressione di trovarsi di fronte a un amico, puoi essere te stesso, esprimerti liberamente e non sarai giudicato sotto una luce “divina” (o presunta tale).

La critica come filosofia si basa su due punti essenziali.

Il primo è l’essere una religione. Ciò comporta la presenza massiccia nella vita del buddhista di riti, preghiere e di problemi teologici o comunque trascendenti che possono essere accettati solo fideisticamente. Anche se alcuni studiosi zen affermano che “non c’è bisogno di credere nella reincarnazione per dirsi buddhisti”, è pur vero che ampie frange del buddhismo ci credono anche se in modi diversi (per esempio i buddhisti tibetani teorizzano la permanenza da un corpo all’altro di uno solo dei cinque principi costituenti l’uomo).

È chiaro che chi ha rifiutato le religioni “occidentali” per “mancanza di fede nelle affermazioni teologiche” non può nemmeno accettare il buddhismo come bussola per la propria vita, in base al principio “se una teoria ti porta su una strada in cui non credi, modifica la teoria o rifiutala”. Non ha cioè senso accettare solo una parte di una religione e continuare a chiamarsi come chi accetta tutto. Purtroppo questo è un problema comune a tante religioni. Pensiamo ai “cattolici” che rifiutano il primato della Chiesa (per esempio accettano il divorzio), ma continuano a dichiararsi cattolici. Pensiamo ai musulmani che continuano a chiamarsi tali, pur rifiutando la jihad. Probabilmente è la paura di muoversi nel nuovo, rinnegando la tradizione, senza aver capito che una religione se non si rinnova muore, travolta dalla storia.

Il secondo motivo di critica è il punto di partenza. Si deve tenere conto del particolare contesto in cui il buddhismo si è sviluppato e cioè una condizione umana in cui il dolore sembrava inevitabile (“la vita è dolore“, “è inutile opporsi al dolore” e altre affermazioni che nel terzo millennio, se non si è pessimisti o naturalmente portati alla depressione, non possono essere accettate): carestie, guerre, mancanza di civiltà e di libertà ecc. In queste condizioni è ovvio che una vita serena, cioè libera dal dolore, è il massimo che si può sperare, anche perché ogni attimo di felicità è una condizione eccezionale. All’inizio del terzo millennio nelle civiltà occidentali (e speriamo presto in tutto il mondo) la condizione umana è decisamente migliorata; anche se i più pessimisti potrebbero non essere d’accordo, nei paesi occidentali le guerre (i 3.000 morti dell’attentato alle torri gemelle di New York sono un’inezia rispetto ai 50 milioni e passa di vittime della seconda guerra mondiale), le carestie e le epidemie toccano percentualmente pochi individui e i diritti umani si stanno sempre più affermando. In quest’ottica la sola assenza del dolore non basta più.

Quando “le cose vanno male”, si riesce ad affrontarle meglio di un occidentale impreparato, ma non si risolvono, si vedono da un’altra prospettiva.

Con un’analogia che forse i buddhisti mi contesteranno, il buddhismo è come un riparo sotto a cui non ci si bagna e si può contemplare con serenità un temporale. Continuando con l’analogia se non si trova il modo di far cessare il temporale non è piacevole vivere la propria vita così, quando si sa che altre persone vivono in un mondo dove splende una bella giornata di sole.

I buddhisti che ho conosciuto confermano questa analogia: felici solo quando la loro serenità si fonde con una vita senza grandi problemi (per caso o per merito loro).

Quando invece ci sono nubi o temporali esistenziali, riescono a vedere le cose più serenamente, ma senza riuscire a superare veramente i problemi. Applicare le regole di un mondo di migliaia di anni fa se non si ha lo spirito critico di rinnovarle al mondo di oggi, non risolve la situazione attuale, può al massimo mitigarla. Per molti va bene così, per altri no e cercano altre strade.

Discorso finito? No. Leggete anche Filosofie orientali.

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