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Autostima

L’autostima è fondamentale per ottenere il meglio dalla vita. Poiché il proprio livello di autostima nasce da un confronto fra sé e il mondo circostante, se il confronto è errato, errate sono le conclusioni.

L’autostima è l’idea che ognuno ha di sé.

In termini molto pratici, è il voto che ci si dà. Poiché è un concetto soggettivo, ecco che dal di fuori il giudizio dato dal singolo su sé stesso che noi percepiamo possa essere del tutto diverso da quello che oggettivamente pensiamo essere corretto.

Per esempio, un debole può avere una bassa autostima e ritenersi sempre mediocre anche quando non lo è. Viceversa un apparente può pensare che nulla gli è precluso perché in quel momento ha un notevole successo.

Quest’ultimo esempio ci fa capire come l’autostima non sia un concetto statico, ma dinamico. Come una grande azienda che normalmente è abbastanza stabile, ma può avere alti e bassi, generati da eventi che accadono in essa o fuori di essa. Ovviamente sarebbe auspicabile che l’autostima rimanesse sempre ai massimi livelli.

Come si crea un’ottima autostima

L’autostima può venire dal dentro di sé o dal fuori di sé. Avere un’ottima e soprattutto stabile autostima è una condizione necessaria per essere persone Top (quelle che il Neocisnimo definisce equilibrate) che possono aspirare alla saggezza.

L’autostima da successo

Oggi purtroppo si tende a farla provenire dal fuori di sé, attraverso la chimera del successo, visto sotto le sue innumerevoli forme: ricchezza, carriera, prestigio, vittoria ecc.

Si vale se si ottiene qualcosa nel campo in cui si opera o si vive. Niente di più assurdo perché in tal modo si demanda la propria felicità a un risultato, spesso nemmeno del tutto dipendente da noi (condizioni facilitanti, fortuna ecc.). Tale risultato è sovente talmente materiale da fare a pugni con un concetto così spirituale come la felicità. Quello che si ottiene è un surrogato di autostima. La persona non sviluppa una vera forza di volontà anevrotica, ma la sua forza è orientata solo al raggiungimento dell’obiettivo, è quindi nevrotica.

Esistono per esempio molte tecniche per accrescere l’autostima, addirittura molte scuole con corsi ed esami (per esempio la PNL). In genere tutte queste discipline tendono a utilizzare un accrescimento dell’autostima per avere successo nella vita, svincolando ogni discorso etico e/o esistenziale dal miglioramento del soggetto. In realtà si tratta sempre di “convincere” il soggetto aumentandone la fiducia in sé stesso.

Questo meccanismo può portare a qualche risultato, ma se leggete la definizione di autostima ne capirete i limiti: posso avere una bassa autostima perché ho poca fiducia in me stesso, quindi “mi do un voto basso”. Se alzo la fiducia aumenta anche l’autostima, ma ciò è completamente scorrelato con il mondo esterno e può provocare danni più che apportare vantaggi. Vediamo l’esempio classico.

Luigi è un commerciale con bassa autostima. Ciò lo penalizza molto nel suo lavoro. Decide perciò di iscriversi a un corso di SIG (Sei Immensamente Grande), una nuova tecnica infallibile per aumentare la propria autostima. Dopo sei mesi la fiducia in sé stesso è triplicata e sente dentro di sé un entusiasmo mai provato. Si getta con grande dedizione nel lavoro, migliorando i suoi risultati. Ottiene un aumento del 15% delle vendite (la SIG funziona!). Tutto bene? Analizziamo oggettivamente la situazione.

Luigi è così pieno della sua nuova attività che lavora il 30% più di prima, per lui non c’è che il lavoro, l’unico campo in cui sente di “valere” qualcosa.

L’unica che ci ha guadagnato da questa situazione è sicuramente l’azienda (aumento del fatturato con piccolo bonus a Luigi), ma Luigi è lo scarso di prima, una specie di “secchione” del lavoro che ottiene qualcosa in più perché è stato “programmato” a lavorare molto di più. Al primo insuccesso Luigi crolla e ritorna quello di prima.

Luigi avrebbe dovuto capire che nel lavoro (come in ogni attività dove c’è un risultato) basta dare il meglio di sé, buttare il cuore oltre il traguardo, senza avere l’ansia della vittoria. Se i risultati sono comunque scarsi, possiamo accontentarci oppure scegliere un’altra strada più facile (per esempio il ridimensionamento nel lavoro o nello studio), senza per questo sentire lo stupido peso della sconfitta. Per capire come liberarsi dall’autostima da successo occorre:

  1. capire i limiti di tale scelta;
  2. trovare una scelta migliore.

Per realizzare il primo punto occorre lavorare su 4 concetti.

1) Il tuo valore è indipendente da ciò che gli altri pensano di te – Provate a frequentare i bar fuori dagli studi televisivi di una grande emittente; un sacco di ragazzine tentano l’approccio con agenti più o meno dubbi per “andare in televisione”. La loro autostima è zero, sono pronte a esaltarsi se qualcuno dice loro “brave” e a deprimersi se sono scartate. La stessa cosa vale anche per i big o presunti tali (tranne rare eccezioni). Morale: chi rincorre il successo e pensa di esistere solo se diventa famoso, in realtà non esiste, non brillando di luce propria. È come la luna: bellissima da lontano perché la illumina il sole, ma deserta e spettrale vista da vicino. Il punto 1) è quello che ci permette di affrontare un esame in tranquillità o di dichiararci alla persona che amiamo.

Nel primo caso è importante ciò che abbiamo fatto “prima”, sentirsi con la coscienza a posto, non il voto che prenderemo. Dobbiamo vedere l’esame come un ulteriore mezzo di imparare qualcosa, non come un giudizio sulla nostra personalità.

Nel secondo caso, a prescindere dalla risposta, noi rimaniamo ciò che siamo: se la risposta è negativa, è inutile disperarsi (con la classica frase: “senza di lei/lui la mia vita non ha senso”: ma allora ammazzati subito! Chi non sa vivere da solo come può pretendere che un’altra persona risolva la sua vita?), abbiamo capito che stavamo sbagliando puntando sulla persona sbagliata. Possiamo rivolgerci altrove per migliorare la nostra vita.

2) Nessuno deve ritenersi meno importante di un’altra persona – Questo concetto è importantissimo. Ognuno di noi ha la propria dignità e non la si può perdere rimpicciolendo la propria identità di fronte a quella di un’altra persona. Si può stimare, ma non adorare o temere. Troppe persone si annullano di fronte a un superiore o presunto tale; ricchezza, nobiltà, gerarchia, successo: nulla di tutto ciò può giustificare il sentirsi in inferiorità di fronte a qualcuno, chiunque esso sia. Ci può essere rispetto, ma non sottomissione. Chi si spersonalizza in un mito spesso non stima abbastanza sé stesso. Pensiamo al fan che attende per ore il suo cantante o il suo attore preferito, pensiamo al tifoso che si spersonalizza nella squadra. Chi vince non è il tifoso, anche se con il suo tifo pensa di avere una parte nella storia di un successo sportivo. Sono i giocatori che sono ricchi e famosi: anche se la squadra vince il massimo trofeo, il tifoso resta solo un anonimo zero. Chi tifa dovrebbe farlo per amore dello sport che sta osservando, non per esaltare la propria personalità in una vittoria che erroneamente crede sua. Un esempio veramente preoccupante di mancanza di autostima è rappresentato dalle bande giovanili. Il singolo si riunisce in gruppo per sentirsi più forte, più importante, ma così facendo non si rende conto che firma la sua nullità esistenziale. In una banda solo il capo conta qualcosa: come può un individuo accettare di prendere ordini da un essere simile a lui in un regime fondamentalmente dittatoriale?

Vi sentite in soggezione di fronte a un superiore, non sapete rispondere con calma e pacatamente alle sue assurde pretese, vi sentite emozionati di fronte a un potente? Se è così, vi ritenete meno importanti di lui e la vostra autostima è carente. È incredibile come intere popolazioni accettino ancora la monarchia (un esempio di disistima di massa). Come è possibile accettare che per nascita una persona abbia più diritti di me?

3) Nessuno deve ritenersi più importante di un’altra persona – Ovviamente non bisogna incorrere nell’errore opposto: chi si sovrastima (e pensa di essere migliore degli altri e fa di tutto perché ciò appaia) è fondamentalmente uno stupido. In antitesi alla ragazza che si crede brutta, è la donna che pensa di essere bellissima e non riesce a vedere tutti i difetti per cui gli uomini la evitano. Il concetto di autostima non ha nulla a che fare con la superba supervalutazione della propria personalità. Chi si crede importante (la classica frase: “Lei non sa chi sono io!”) in realtà non ha stima di sé in quanto il più delle volte si rende ridicolo o, nel caso dei potenti o presunti tali, si rende antipatico o odioso. Nessuno può impormi un segno di stima nei suoi confronti, chiunque esso sia. Chi pensa di avere anche il più piccolo privilegio per la posizione sociale raggiunta, per il successo ottenuto, per il grado gerarchico in cui si trova ecc. non ha una vera stima di sé; infatti se ragiona in questo modo si riterrà inferiore rispetto a chi sta sopra di lui.

4) Chi deve dimostrare di valere qualcosa non vale nulla – Un mediocre giocatore di scacchi quando perde è solito accampare scuse come cali di concentrazione, varianti sfortunate o altro, mentre quando vince si autocompiace delle sue splendide partite e se ne vanta con chiunque incontri: non considera mai nemmeno lontanamente il fatto che quel giorno era l’avversario a essere poco concentrato! Uno sportivo pratica il suo sport non perché lo ama, ma perché gli consente di emergere in un gruppo di persone, gruppo all’interno del quale ha le sue vittime che deride pesantemente ogni volta che riesce a batterle. Un adolescente sfida un coetaneo in una prova di coraggio e, se lo sfidato rifiuta (perché più furbo), lo deride dandogli del codardo.

Tre brevi esempi per mostrare come siano comuni le persone che sono sempre in competizione, perché pensano che il confronto con gli altri sia il metro per misurare il  proprio valore. Spesso queste persone non amano veramente ciò che fanno, ma lo fanno solo per emergere, per sentirsi importanti. Il più delle volte ottengono risultati superiori solo di poco alla media, ma li ingigantiscono per ingigantire la loro immagine: sono gli scarsissimi. Chi vale veramente non ha bisogno di dimostrare il proprio valore.

Il confronto con sé

Molte persone pensano di essere immuni dall’autostima da successo con un ragionamento simile a questo: sono arrivato a un punto della mia vita che ho capito di non dover dimostrare niente a nessuno, ma nei confronti di me stesso sì.. che male c’è?

In questo ragionamento di falle ce ne sono due.

La prima è una profonda insicurezza perché comunque si basa la stima di sé su quello che si riesce a fare, sui risultati. Come vedremo nel paragrafo successivo, il singolo vale indipendentemente da quello che sa fare perché ha valori morali e oggetti d’amore.

La seconda è che implicitamente ci si confronta con gli altri. Infatti si tende a scegliere cose che per gli altri sarebbe difficile fare. Come dire: lo faccio per me, per dimostrare a me stesso che sono più bravo degli altri. Infatti, se si scegliesse qualcosa che tutti riescono a fare, ecco che “non ci sarebbe gusto”. Ci si vuole comunque distinguere.

L’autostima da valori morali

Il lettore dovrebbe aver intuito che l’autostima deve provenire dal dentro di sé, per essere positiva e duratura. Purtroppo il passo più semplice è quello di limitarsi a considerare i valori morali come sufficienti per l’autostima del soggetto. Una persona onesta, buona, timorata di Dio ecc. può essere considerata oggettivamente una gran bella persona, ma spesso non possiede una buona autostima, anche se è immune dalle lusinghe del successo. Il motivo di ciò sta nel fatto che le sue qualità non sono esistenziali, sono piuttosto astratte e hanno punti di contatto discontinui con la realtà. In altri termini, l’essere onesti viene dimenticato o non viene impiegato per gran parte della propria giornata. A meno che il valore morale si trasformi in valore esistenziale (per esempio quando si associa a una professione amata e vissuta pienamente), non è in grado di costruire una buona autostima. È il caso di tutti coloro che fanno della spiritualità un perno della propria vita, ma sono poi incapaci di impiegarla per apprezzarsi.

C’è da dire che la crisi di valori che viene da più parti invocata (pensiamo ai richiami della Chiesa cattolica contro il materialismo dilagante) è spesso il risultato della traslazione da un’autostima basata su valori morali a quella basata sul successo.

Cosa aggiungere ai valori morali?

L’autostima da valori esistenziali

Oggi il Neocinismo ha trovato un fattore comune fra tutte le persone che sono felici: la presenza di oggetti d’amore. Questi diventano i valori esistenziali su cui si deve basare l’autostima del soggetto. Non sul successo, non solo sui valori morali, ma anche sui valori esistenziali, cioè sugli oggetti d’amore. Solo con questa rivoluzione è possibile costruirsi una buona autostima. Tutto qui? Sì, ma va compreso fino in fondo. Infatti:

  • moltissime persone hanno oggetti d’amore, ma finiscono per non usarli nella costruzione dell’autostima, continuando a ricercare il successo.
  • Altri non comprendono come inserire nella loro vita fattori comunque da considerare, cioè il successo e i valori morali; non comprendono che il successo, se viene, meglio è, ma non deve essere alla base della nostra felicità, il risultato è ininfluente, se si ama ciò che si fa. I valori morali servono perché alla fine facilitano la vita e ci permettono di crearci un nostro mondo dell’amore non vuoto e ci consentono di essere in pace con gli altri.

Se la nostra autostima non si basa sul fatto che noi sappiamo amare, siamo spacciati. Un uomo vale se sa amare. Senza oggetti d’amore che occupano prioritariamente il nostro cuore, c’è il buio.

Concludendo:

l’autostima che proviene dal dentro di sé si basa sui valori morali (onestà, bontà ecc.) e su quelli esistenziali (oggetti d’amore, capacità di amare ecc.).

In altri termini, l’autostima che proviene dal dentro di sé si basa sui valori del Neocinismo.

autostima

Avere una solida autostima vuol dire che, anche se si è giudicati dagli altri un pedone, si può essere Re se si hanno valori morali ed esistenziali di notevole spessore

Un errore comune

Dopo aver letto i nostri suggerimenti, ci si potrebbe chiedere se essi non cozzano con l’evidenza della realtà dove le persone si danno obiettivi (per esempio i soldi, il successo, la carriera, la famiglia ecc.) e fanno di tutto per poterli realizzare. In realtà basare la nostra autostima su questi obiettivi è comunque sbagliato. L’errore consiste nel confondere l’autostima (il voto che ci si dà) con il voto che si dà alla nostra vita. Per vari motivi, la nostra vita può essere insoddisfacente, ma il voto che continuiamo a darci è ottimo perché abbiamo valori morali ed esistenziali, continuiamo a provarci, a buttare il cuore oltre il traguardo.

Un esempio chiarificatore: Tizio e Caio hanno perso il lavoro e non ne trovano un altro. Tizio continua comunque a stimarsi, continua a cercare e sa che comunque è una persona che vale perché ha valori morali e oggetti d’amore nella sua vita che purtroppo oggettivamente potrebbe andare meglio; Caio invece si sente un fallito, non si stima più e si suicida.

Autostima e personalità

Il rapporto fra autostima e personalità critiche non è sempre chiaro perché l’autostima dipende dalla personalità in toto piuttosto che da una sua componente; è altresì vero che le singole personalità critiche possono influenzare l’autostima portandola in una certa direzione.

Svogliati – Se sono orientati all’autostima da successo, cercano di utilizzare infinite scorciatoie per arrivare a quel successo la cui realizzazione attraverso strade normali sembra pesare come un macigno. Non sempre sono in grado di costruirsi un’autostima basata solo su valori morali e/o esistenziali perché richiederebbe troppe risorse.

Irrazionali – Sono a volte convinti che il successo sia facilmente raggiungibile con vie non convenzionali. Possono però avere oggetti d’amore e/o valori morali prioritari. In genere una cattiva autostima è collegata ad altre personalità critiche presenti nel soggetto.

Inibiti – L’inibizione può portarli verso un’autostima da successo perché il successo mitiga l’inibizione (si pensi al classico ragazzo succube dei genitori che “deve” riuscire bene a scuola), mentre valori morali e/o esistenziali sono vissuti sempre in modo quasi patologico.

Mistici – Classica personalità in cui l’autostima non può fare a meno dei valori morali che spesso mettono in secondo piano quelli esistenziali.

Deboli – Personalità in cui l’autostima poggia sul successo, sul giudizio e sull’approvazione altrui. Possono possedere alti valori morali, ma restano soffocati dalla valutazione esterna, mentre gli oggetti d’amore sono anche vissuti intensamente, ma mai considerati con priorità massima, priorità che spetta a tutti coloro che giudicano il debole.

Fobici – In genere l’essere fobico di per sé non altera la costruzione dell’autostima che dipende da altre personalità.

Dissoluti – Possono avere un’autostima (di vario genere) anche forte se non avvertono il peso morale della loro dissolutezza.

Sopravviventi – Per definizione rinunciano al successo, hanno valori morali mediocri e in genere non hanno alti valori esistenziali. La loro autostima è come la loro vita, mediocre, al più sufficiente.

Insufficienti – Come autostima non brillano di luce propria e “copiano” quella di chi li gestisce.

Indecisi – Successo e indecisione non vanno molto d’accordo per cui o soffrono molto l’incapacità di arrivare alla vetta o scelgono spontaneamente di basare la loro autostima su valori morali e/o esistenziali.

Statici – Per definizione hanno una buona autostima da successo; in molti casi possono costruire l’autostima anche sulle altre due tipologie.

Violenti – Il più delle volte la violenza si identifica con la ricerca “a tutti i costi” di un’autostima da successo.

Patosensibili – L’esasperata sensibilità al dolore non è direttamente correlata a una determinata forma di autostima. In genere questa deriva da altre personalità presenti nel soggetto. Solo nel patosensibile idealista l’autostima si basa sul valore morale della sua “bontà”.

Romantici – In fondo l’idea romantica è l’antenata dell’autostima da successo perché se non si realizza l’idea, c’è romanticamente il fallimento, l’inutilità di vivere. Per un romantico, l’oggetto d’amore diventa più una dipendenza e come tale non viene mai messo alla base dell’autostima che dipende totalmente dalla sua conquista, più che dal suo vissuto.

Insofferenti – Poiché l’insofferente è schiavo dell’aspettativa, l’autostima da successo è quella più frequente. I valori morali e gli oggetti d’amore possono essere vissuti anche pienamente, ma non raggiungono mai la priorità del successo.

Semplicistici – In genere la costruzione dell’autostima non dipende strettamente dalle semplificazioni che il soggetto ha attuato.

Insoddisfatti – Per definizione la sua autostima è quella da successo.

Apparenti – La nascita della personalità (apparire anziché essere) è motivata proprio dall’importanza attribuita al successo.

Contemplativi – Tendono a privilegiare l’autostima da valori morali (la cultura, la civiltà ecc.), ma spesso non sono insensibili al fascino del successo.

Vecchi – Di per sé un’età psicologica avanzata non è correlabile a una determinata forma di autostima.

Per approfondire: Risalendo la china…

Come aumentare l’autostima

Come aumentare l’autostima è un punto cruciale nella qualità della vita di tutti noi. Una delle “scoperte” del Neocinismo è che per renderla stabilmente ottima è necessario non basarsi sui risultati (che quando non vengono fanno crollare l’autostima), ma sui valori morali ed esistenziali.

Questa consapevolezza non basta però a migliorare la qualità della vita perché ci sono ancora molti ostacoli.

Il primo è sicuramente una cattiva applicazione della definizione del Neocinismo. Infatti, i valori morali possono anche farci peggiorare la qualità della nostra vita quando prendono il sopravvento e ci portano a scelte che aumentano sì l’autostima, ma allo stesso tempo uccidono la nostra vita. Accade spesso ai patosensibili che esasperano la propensione verso la bontà (sindrome di San Francesco) immiserendo la propria vita, ma guadagnandosi quello che loro credono il paradiso, salvo avere in terra un piccolo inferno fatto di problemi, sofferenze, lacrime.

Accade a chi scambia condizionamenti per oggetti d’amore e continua a ripetere che la propria vita è anche di sacrifici per poter vivere le cose che ama (quando si ama veramente qualcosa il sacrificio non esiste perché l’impegno e la fatica diventano una gratificazione).

Supponiamo per un attimo che il ricevente il messaggio abbia capito esattamente cosa si intenda per autostima secondo il Neocinismo. Se proviene da un’autostima da risultato e non ha una personalità debole probabilmente la sua vita farà un bel salto in avanti.

Secondo la mia personale esperienza, però, solo la metà di quelli che hanno compreso la “vera” autostima riescono a raggiungerla; per l’altra metà continua a essere difficile perché continuano a essere vittima del giudizio altrui, quel che di debole c’è in loro li porta a non essere sereni nel rapporto con gli altri.

Una regola generale per aumentare l’autostima:

fregarsene del giudizio altrui.

Analizziamo questo scenario. Con cattiveria una persona ci evidenzia una nostra mancanza, una nostra debolezza ecc. Non importa se la debolezza, la mancanza, il difetto sono reali o no. Una persona equilibrata rifletterebbe e, se quanto le viene detto è corretto, ringrazierebbe l’interlocutore, se non lo è se ne fregherebbe.

Chi invece ha una bassa autostima ci resta male e “si sente sconfitto”. Come evitare questo senso di frustrazione? Innanzitutto capendo che chi abbiamo davanti non è il nostro giudice assoluto e che a lui non dobbiamo nessuna spiegazione. Questo però non basta ancora: perché Fracchia si sente sconfitto, umiliato e il sottoscritto no? Fracchia avverte l’umiliazione perché “si sente peggiore” del suo giudice, si sente sconfitto perché nella gara della vita è passato “dietro” a chi lo giudica.

Se analizzo tutti quei casi in cui io avrei dovuto sentirmi umiliato, a torto o a ragione, posso garantire che non mi sono mai sentito “dietro” al mio interlocutore. Merito dei miei valori morali ed esistenziali (soprattutto di questi) che non mi facevano sentire, nonostante il giudizio, peggiore del mio giudice. Il motivo è che è banale trovare qualcosa in cui io sono meglio dell’altro e questo nella mia scala di valori non mi metteva dietro.

La replica consiste appunto nell’evidenziare, sempre con molta calma, questo fatto.

  1. “Uno come lei poteva dare molto alla società” (detto da chi è invidioso del mio tempo libero o condizionato da valori sociali) -> “Certo, ma guardi che vita fanno quelli che s’immolano per la società. Dove trovavo il tempo per stare con mia moglie, correre, giocare a scacchi ecc.?”.
  2. “Mi scusi per la mia reazione, ma quando vedo un cacciatore mi viene la pelle d’oca” (detto da chi vuole “civilmente” esprimere un suo disappunto, affossando ogni diritto di replica) -> “La capisco, pensi che a me passa l’appetito ogni volta che vedo una persona in forte sovrappeso come lei!”.
  3. “Se non fai carriera e non hai un bel conto in banca, sei un fallito” (detto da chi ha “una bella posizione“) -> “Sarà, ma se i soldi non puoi goderteli perché lavori troppo, a che ti servono, a farti un bel funerale?” oppure ” Sarà, ma se tua moglie ti lascia e tuo figlio è uno scapestrato, sarai OK nel lavoro, ma un fallito nella vita”.

La replica deve:

  • essere commisurata al grado di aggressività dell’interlocutore. Se questo parla in generale (come quando si esalta un aspetto della vita cui noi siamo contrari o si condanna uno a cui siamo favorevoli), si deve reagire in generale; se ci attacca personalmente, allora possiamo andare sul personale;
  • essere calma; si fa un bel respiro, si analizza cosa abbiamo di buono e di unico (che l’interlocutore non ha) e poi lo si mette sul piatto.

Con una replica corretta noi non stiamo “dietro” l’interlocutore, ma davanti. Un ultimo aneddoto nello spirito di quanto detto finora.

In quarta liceo avevo voti molto alti, ma non capivo perché la professoressa di matematica non mi desse 10. Seppi che lei 10 non l’aveva mai dato a nessuno, evidentemente considerandolo la perfezione assoluta (piuttosto che il riferimento a sé). Interrogazione di fisica. Nessun errore, nessuna sbavatura, risultato: 9. Chiedo come mai non 10. La risposta: “per avere 10, ci vuole altro”. Controrisposta: “OK, sei io valgo 9, lei vale 8, comunque non sto qui a perdere tempo con lei” e esco senza sbattere la porta. La professoressa chiama il preside, vuole sospendermi. Il pover’uomo (erano i tempi in cui gli studenti avevano sempre ragione e lui era di sinistra) vuole sentire le mie ragioni. Gli spiego che la professoressa spesso s’impappinava durante le dimostrazioni che io non avevo difficoltà a svolgere fino alla fine senza che nessuno dal fondo dell’aula mi gridasse di girare la pagina del libro per avere un aiutino, come succedeva alla professoressa. Il povero preside sembra convinto e rivolgendosi alla prof le dice “beh, non bisogna certo essere Einstein per avere 10”. Lì, avrei potuto accontentarmi, ma perché risultare dietro a Einstein? “Preside, il paragone non regge, Einstein fu bocciato nelle materie letterarie al primo esame di ammissione al politecnico e ne uscì poi con votazione mediocre, la relazione con la sua prima moglie fu disastrosa tanto da arrivare al divorzio, uno dei suoi figli finì in manicomio; insomma una vita che è da bocciare. Parliamoci chiaro: se dedicassi alla fisica tutto il tempo che Einstein le dedicò, scoprirei, oltre alla ristretta e alla generale, anche la teoria della relatività universale. Ma non ho tempo, devo giocare a pallone”. Non fui sospeso e l’anno seguente la prof se ne andò.

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