Cosa è rimasto del “caso DJ Fabo”? Milioni di persone si sono emozionate, si sono arrabbiate, hanno seguito il processo contro di me, hanno saputo che è stata approvata una legge sul testamento biologico. Ma a che punto siamo ora?
Iniziamo da un appuntamento, al quale parteciperanno anche la mamma di Fabo, Carmen, e la compagna, Valeria: il XV Congresso dell’Associazione Luca Coscioni, che si terrà dal 5 al 7 ottobre all’Università statale di Milano, in via Festa del Perdono 7. Lì parleremo anche del varco aperto da Fabo e del percorso che rimane da compiere.
A dicembre il Parlamento italiano ha approvato la legge che consente a un malato terminale di interrompere le terapie anche vitali e di essere sedato. La legge prevede di poterlo fare anche attraverso un testamento biologico, in modo differito nel tempo per quando ci dovessimo trovare nell’incapacità di intendere e di volere. Se Fabo non avesse lottato pubblicamente, non saremmo arrivati a questo risultato.
Ma il “caso” prosegue. Il 23 ottobre la Corte costituzionale italiana, interpellata sul processo a mio carico, dovrà decidere se il reato del 1930 per il quale sono imputato – aiuto al suicidio – è compatibile con i principi di libertà fondamentale iscritti nella nostra Costituzione, in particolare quando ci troviamo al cospetto di una persona malata di una malattia irreversibile sottoposta a una condizione di sofferenza insopportabile. Se la Corte stabilirà l’incostituzionalità, sarò assolto. In caso contrario, il processo riprenderà, insieme all’altro procedimento a carico di Mina Welby e mio per la morte di Davide Trentini.
Nella pratica, per le decine di migliaia di persone in Italia in condizione di malattia terminale che potrebbero decidere di voler interrompere la propria agonia. oggi la situazione è questa: se sono attaccate a una macchina, hanno il diritto di staccarla; se invece non dipendono da un trattamento vitale (per esempio, i malati terminali di cancro) devono subire la propria condizione fino alle ultime ore.
Non è solo la Corte costituzionale a poterci portare fuori da questa situazione. Al Parlamento italiano è stata depositata 5 anni fa una proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia anche per malati terminali che non sono “attaccati a una macchina”. In 5 anni, la proposta non è stata discussa nemmeno un minuto, nonostante la sottoscrizione da parte di 130.000 persone, e nonostante la Costituzione preveda che “il popolo esercita l’iniziativa delle leggi”.
Difficile prevedere cosa accadrà. Certamente l’inerzia del sistema politico e mediatico italiano fa pensare che il tema sia uscito definitivamente dal radar dell’attenzione che era stata imposta dalla scelta pubblica di Fabo. Dall’altra parte, l’esigenza delle persone di essere libere di scegliere anche durante il processo del morire – che è sempre più lungo, con l’allungamento della durata media della vita – mi spinge a credere che fuori dal palazzo si troveranno energia e passione sufficienti a smuovere ancora una volta le logiche partitiche, istintivamente ostili a affrontare qualsiasi tema che possa tagliare trasversalmente gli schieramenti.
Nell’era in cui sembrerebbe che l’unica narrazione in grado di appassionare l’opinione pubblica sia quella basata sulla paura, il Congresso di Milano vuole essere l’appuntamento di coloro che trovano convinzione e speranza nell’obiettivo di essere libere: libere fino alla fine.
Marco Cappato
Giornalista pubblicista
Leader dell’Associazione Luca Coscioni
Promotore del Congresso mondiale per la libertà di ricerca e della campagna Eutanasia legale