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Telethon? No, grazie!

Sembrerò un cuore di pietra, ma uno dei miei bersagli preferiti è sempre stato Telethon. Una volta c’era una campagna di raccolta un paio di settimane all’anno (rigorosamente sotto Natale), oggi c’è un continuo stillicidio di richieste da parte di ditte che, giocando sulla patosensibilità degli italiani, vogliono far comprare i loro prodotti con la promessa di destinare parte dei ricavi a Telethon. Sul carrozzone di Telethon sono saliti personaggi dell’industria, dello spettacolo, dello sport: è un ottimo modo di apparire santi e… di farsi pubblicità.

Cosa non mi piace di Telethon?

I risultati

telethonNon mi piace il fatto che le speranze che genera non siano pari ai risultati. Provate andare sul loro sito e cercate di scoprire cosa hanno fatto dal 1994 a oggi. Ogni anno qualche decina di pubblicazioni, di cui solo 2 o 3 realmente significative. I condizionali si sprecano: “potrebbe curare”, “aiuterebbe a capire” ecc.

Quali malattie sono state guarite? Il vero problema è che nella medicina si sfruttano spesso scoperte generali. In altri termini, sperare che la ricerca Telethon curi una certa malattia è come pensare che si possa andare su Giove in una settimana (la tecnologia ora non c’è). Analogamente possono essere i progressi della genetica, della farmacologia, delle scienze collegate alla medicina che permettono spesso la “strabiliante cura”. E questi progressi vengono portati avanti in tutto il mondo e, purtroppo, hanno tempi che non dipendono dalle nostre speranze. Sicuramente in futuro si andrà su Giove in una settimana, ma raccogliere fondi dicendo che ci si andrà fra un anno o due non è serio.

In 24 anni sembra che l’unico (del resto se ce ne fossero altri li pubblicherebbero) risultato ottenuto sia una terapia per l’ADA-SCID, una malattia che colpisce in Europa 15 bambini l’anno. In modo molto corretto Telethon fa sapere che: 1) la terapia è ancora sotto approvazione; 2) “i dati globali di sicurezza emersi nello studio sono in linea con quanto atteso nei bambini con ADA-SCID sottoposti a trattamento con chemioterapia a bassi dosaggi e che hanno avuto una ricostituzione immunitaria” 3) comunque ci sono state molte reazioni avverse.

In altri termini, il “successo” a me sembra molto simile all’aneddoto dell’oncologo che riporto nella pagina del NADH.

I bambini

Non si capisce perché nelle richieste di aiuto si usino sempre bambini, quando in realtà molte patologie di studio riguardano adulti o addirittura anziani. Certo i bambini fanno business, ma questo non è etico. Inoltre, si evidenziano sempre patologie terribili che rispondono in pieno all’analogia del viaggio su Giove; in realtà, vengono studiate altre malattie con più possibilità di successo, ma tali patologie sarebbero meno impattanti perché il loro peso sulla qualità della vita è meno devastante.

Posto che per moltissime persone pubblicare le immagini di bambini sui social è scorretto, che in tv i volti sono oscurati che c’è una stringente normativa sulla pubblicità di prodotti commerciali ecc., perché negli spot “umanitari” i bambini vengono mostrati in condizioni tragiche? Immagini di bambini denutriti, di altri affetti da patologie terribili: inutile lamentarsi di scene violente o di sesso quando poi i minori vedono immagini crude e potenzialmente scioccanti (per un minore). Un genitore può spiegare a un figlio che si tratta di un film, ma quando è realtà cosa può dire? Chi può sapere come reagirà il minore?

Mi si risponderà che gli spot sono fatti a fin di bene. Ma:

  • non è assolutamente necessario mostrare i bambini, si possono mostrare grafici con dati, i genitori possono raccontare la loro storia ecc.
  • il minore non dà mai il consenso e probabilmente non riuscirà mai a darlo (tranne quello di John, piccolo sudanese che sbarcato sulle nostre coste come migrante, una volta diventato adulto denuncia l’organizzazione umanitaria che l’ha sì salvato, ma ha svelato al mondo la sua immagine e la sua provenienza).

In ogni caso è a tutti evidente che quelle immagini sono messe nello spot solo per provocare un senso di colpa e raccattare denaro, una specie di “il fine giustifica i mezzi”.

Solidarietà plutocratica

La cosa per me più demotivante è però che Telethon è una forma di solidarietà plutocratica. La locuzione significa che gente che non si mai tirata indietro per anni nel fare soldi su soldi, con una morale asociale del profitto, a un certo punto si sveglia e, dopo aver fottuto la società, vuole che gli dicano anche “bravo”, una specie di santificazione del plutocrate che nella sua immensità è anche “buono”. Ai plutocrati non si chiede di fare i San Francesco, ma quando un plutocrate dona lo 0,1% del suo patrimonio, non è santo, è solo un apparente che usa la solidarietà per apparire ancora più grande. Alcuni pensano che ci siano veramente plutocrati solidali (come Bill Gates) che hanno donato una buona fetta del loro patrimonio. Peccato che questi plutocrati, in un delirio di onnipotenza, anziché donare soldi allo Stato con le normali tasse, scelgano chi aiutare, ottenendo in cambio forti detrazioni fiscali (tanto che Obama si era battuto per una limitazione delle detrazioni); in altri termini: invece di pagare le tasse, devolvono a chi vogliono loro i loro soldi. Fra l’altro, gran parte delle donazioni di Gates e dei suoi amici riguardano università, gallerie d’arte, centri di ricerca ecc., dimenticando che negli USA ci sono ben 45 milioni di poveri a cui, francamente, non interessano nulla le opere di Warhol e simili.

Che il maggior sponsor di Telethon sia una banca o i testimonial siano famosi uomini d’affari, beh, lasciatemi essere un po’ maligno.

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