La valutazione del lavoratore è fondamentale in un Paese come l’Italia dove la disoccupazione resta molto alta (come occupazione, Islanda 86%, Svizzera 80%, Svezia 77% ecc.; noi siamo penultimi nella UE, appena davanti alla Grecia); se uniamo questa informazione con il fatto che già dal 2017 anche la Spagna ha superato l’Italia come Pil pro capite, si comprende come il vero problema del Paese sia l’approccio della popolazione al lavoro. Molti ritengono che la disoccupazione dipenda dalle politiche dei governi che si sono succeduti, ma in realtà, basta effettuare colloqui di lavoro per rendersi conto che:
- una parte della forza lavoro non è sufficientemente preparata;
- una parte ricerca lavori che non è possibile trovare, cioè la domanda non combacia con l’offerta.
Il primo punto è sicuramente colpa delle famiglie, della scuola e della società che propongono modelli in cui la meritocrazia è sempre stata penalizzata. Ovvio che il mondo del lavoro che vuole gente preparata faccia poi una selezione spietata.
Il secondo punto nasca da eccessive pretese del singolo che, non conscio del suo valore nel mercato del lavoro, pretende improbabili soluzioni: c’è chi cerca il posto fisso, da tenersi a vita con un impegno minimo; c’è chi cerca il lavoro part-time che però gli dia uno stipendio con cui avere un ottimo tenore di vita; c’è chi cerca solo lavori creativi, lavori che piacciano veramente tanto (alto indice di qualità); c’è chi cerca lavori che in realtà sono passioni come i giovani che sognano di fare cantanti, modelle, calciatori ecc. La prova più evidente del secondo punto è che molti lavori gli italiani non li vogliono fare più e si deve ricorrere a lavoratori extracomunitari.
Unendo i due punti si scopre che riguardano almeno il 40% degli italiani, con il dato preoccupante che probabilmente tale percentuale sale ancora nettamente se si parla di giovani.
Sul secondo punto si può lavorare veramente poco, soprattutto se i politici e la società in generale non avranno il coraggio di sbattere in faccia la dura realtà a chi “sogna”. Sul primo invece ognuno può facilmente capire se sul lavoro verso cui si orienta valga veramente.
Indipendentemente dal lavoro, il lavoratore può essere valutato tramite i tre parametri classici efficacia, efficienza e flessibilità. Rimando agli articoli indicati chi volesse approfondire, qui li rispiego con la classica analogia dello studente.
Uno studente che studia 10 ore al giorno per essere promosso (e ci riesce) è sicuramente efficace, ma non è certo efficiente; se, per esempio, molti suoi compagni raggiungono lo stesso obiettivo studiando 3 ore al giorno, questi sono sicuramente più efficienti. Se poi lo studente è bravo in tutte le materie è anche flessibile, mentre se in alcune ha ottimi voti mentre in altre è solo sufficiente è poco flessibile.
Ovvio che uno studente efficiente e flessibile è il massimo. Passando al mondo del lavoro, può sembrare che per molti lavori l’efficienza non c’entri granché: per esempio per un operaio alla catena di montaggio basta essere efficace, piazzare il pezzo quando arriva la parte da assemblare. In realtà, questo è vero dalla parte del datore di lavoro, ma dalla parte del lavoratore essere efficaci, ma poco efficienti, vuol dire maggiore stress e quindi un lavoro che pesa di più. Si consideri per esempio un portinaio; se lava le scale, distribuisce la posta ecc. in metà tempo, probabilmente potrà riposarsi durante il resto della giornata e limitarsi a rispondere a eventuali visitatori. Se invece impiegherà molto tempo, sarà sempre con il fiato sul collo. Magari svolgerà il suo compito benissimo, ma per lui lo stress non sarà minimo. L’esempio può estendersi per tutti quei lavori in cui il dimensionamento del lavoratore è al limite (per questo in molti casi conviene sottodimensionarsi!).
Volete entrare positivamente nel mondo del lavoro? Bene chiedetevi:
- dove posso essere efficace?
- Dove posso anche essere efficiente?
- Sono una persona flessibile?
Su Twitter una mia follower mi accusava perché ho affermato che “dire che lavorare in miniera è certamente più faticoso di spiegare la Prima guerra mondiale è semplicistico, riduttivo e lontano dalla realtà delle cose”. Ovviamente la scrivente ama il suo lavoro a tal punto da non comprendere che evidentemente un buon insegnante che manca di efficienza subisce un carico di stress enorme. Un insegnante efficace sa fare bene il suo lavoro, ma gli costa troppo in termini di tempo e di energie mentali. In particolare, per esempio può:
- ogni giorno dover preparare la lezione (la persona che insegna qualcosa dovrebbe essere talmente a suo agio con la materia da non aver bisogno del ripasso);
- dedicare troppo tempo alla correzione dei compiti;
- essere incerto su come trattare questo o quello studente (scarsa capacità di immediata comprensione delle personalità che si hanno di fronte);
- non saper reagire alle provocazioni degli studenti, alle intemperanze ecc.
Un insegnate efficiente non avrebbe di questi problemi. Se poi fosse anche flessibile, riuscirebbe anche a gestire classi molto diverse come composizione.
Morale: prima di dare la colpa al sistema, provate a giudicare la vostra situazione e miglioratela, rimuovendo le criticità.
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