Il ragionamento del sindacalista è un esempio di deduzione per assonanza linguistica (DAL). Una locuzione molto complessa che praticamente significa “ti infinocchio con un giro di parole”. A differenza della risonanza sentimentale che è prettamente emotiva, la DAL simula un processo deduttivo basato su arbitrarie associazioni di parole.
Vediamo, per esempio, il paradosso dello studente: “andare in vacanza è positivo quindi dover frequentare le lezioni è negativo!”. In genere si cerca di valorizzare/deprezzare un concetto legandolo arbitrariamente a un altro di cui nessuno può discuterne il plus/minus.
Nel caso del paradosso dello studente è abbastanza facile dimostrare l’errore con semplici strumenti logici a tutti noti, per esempio obiettare che “se andare in vacanza è positivo” non è detto che il non andarci sia negativo. I termini positivo e negativo non sono chiari ecc. Tutti comprendono che il “ragionamento è semplicistico”.
Purtroppo quando la DAL è ben congegnata non è altrettanto facile smascherarla. Vediamo un caso complesso che sul piano psicologico esalta implicitamente l’autostima da risultato. Se dico “una persona per avere valore deve fare qualcosa di molto importante nella vita”, molti sicuramente obietteranno che non è vero. Una parte di essi però, senza saperlo, sono comunque vittime dell’autostima da risultato, infatti approverebbero il ragionamento del sindacalista che andiamo a studiare, ragionamento che si basa l’autostima da risultato, quella che deriva dal fuori di sé, anziché da ciò che è dentro di noi.
Analisi del ragionamento del sindacalista
Viene utilizzato per condizionare la gente su pseudovalori che possono avere spessore pratico, ma non certo etico o universale.
Funziona così: si lega un aggettivo A a un sostantivo X mediante un concetto L; X è collegato a un altro sostantivo Y; infine, arbitrariamente, usando un’assonanza linguistica, si lega un concetto Z ad A e, usando la transitività da X a Y, si lega L a Y. Complicato? Vediamolo con l’esempio classico.
- Non si ha una vita dignitosa senza libertà; quindi senza libertà non c’è dignità.
La (1) non è che un bel gioco di parole:
- A=dignitosa
- X=vita
- L=libertà
- Y= uomo (vita è ovviamente collegato a uomo)
- Z=dignità (collegamento arbitrario a “dignitosa”).
Eppure seduce e sembra “geniale”. Il ragionamento del sindacalista mi è noto da tempo, ma viene riproposto spesso con enfasi, senza che giornalisti privi di spessore razionale lo contestino. L’ultima volta che l’ho sentito è stata nella celebrazione del primo maggio 2017 quando a Portella della Ginestra davanti a una folla striminzita i tre leader sindacali hanno tenuto ormai vetusti discorsi (addirittura Barbagallo e Furlan si sono limitati a leggere il loro foglietto; altro insegnamento: diffidate di chi legge un discorso riga per riga: o è un insicuro o non è spontaneo o non è preparato). Camusso ha sentenziato con il classico ragionamento del sindacalista:
- Non si ha una vita dignitosa senza lavoro; quindi senza lavoro non c’è dignità.
Osservate come (1) e (2) siano simili. Due importanti concetti libertà e lavoro sono il cardine L del ragionamento. La (1) appare ragionevole tanto che anche la (2) lo diventa. Infatti un mio follower su Twitter ha criticato la mia critica alla Camusso con: “un disoccupato sente di avere bisogno di un lavoro per avere dignità. Sono cose che si capiscono solo perdendo il lavoro”.
Purtroppo il mio follower è stato condizionato da sindacalisti e da politici e ha fatto del lavoro un valore morale. La dignità (cercatelo su ogni dizionario) è il “rispetto che l’uomo, conscio del proprio valore sul piano morale, deve sentire nei confronti di sé stesso”. Quindi chi non ha dignità sente di valere poco. Ma se la leghiamo al lavoro questo di fatto significa tradurre il lavoro in una forte componente moralizzatrice che dà valore alla persona. Pensate che i calvinisti (i protestanti che seguono la riforma di Calvino) valorizzano il lavoro come valore etico: il credente vede nel successo in affari o in politica il segno visibile della predestinazione alla salvezza. Analogamente i politici tendono a usare il ragionamento del sindacalista per spronare la gente a lavorare e a costruire il Paese. Intendiamoci, il lavoro è necessario “per avere una vita dignitosa” (quindi la prima parte della (2) è corretta, l’errore sta nella seconda parte), ma è una “condanna sociale”, tanto è vero che gli stessi sindacati si sono sempre battuti per una riduzione dell’orario di lavoro! Il futuro non è quindi il reddito di inclusione (tanto caro a una parte della sinistra), ma il reddito universale o di cittadinanza, che dir si voglia, che permette a tutti di modulare in libertà la propria condanna sociale al lavoro.
Chi è condizionato dal ragionamento del sindacalista senza lavoro, si vede “non degno”, “senza valore”. Può darsi che le riflessioni che ho appena fatto non lo abbiano ancora convinto. Con calma, dimostriamo l’assurdità della (2). Usiamo la (1) per farlo. Sicuri che la (1) sia corretta? Bene, allora pensate a tutte quelle personalità importanti filosofi, politici, premi Nobel per la pace ecc. messi in carcere per le loro idee. Non avevano una vita dignitosa, ma avreste il coraggio di definirli uomini senza dignità, senza valore? Spero di no, a meno che non siate fra quelle persone che vogliono sempre e comunque avere ragione.
Quindi la (1) è scorretta perché il passaggio logico è arbitrario; esattamente come scorretta è la (2).
Chi sostiene ancora la (2) ha sulla coscienza tutte quelle persone che, perdendo il lavoro, si sono suicidate ritenendo di non valere nulla. Un altro danno dei condizionamenti sociali.