Un rapporto (2016) del ministero della Salute ha lanciato l’allarme sul doping amatoriale. A dire il vero, molti giornalisti (evidentemente non sportivi) l’hanno interpretato in modo scorretto, per cui scopo di questo articolo è di riportarlo in una dimensione consona con la migliore informazione.
Commentiamo quindi alcuni passi comparsi sulla stampa.
Aiuto farmacologico per il 73% degli atleti.
Bocciato l’aggettivo farmacologico perché è assurdo ritenere integratori, carboidrati, sali minerali “aiuti farmacologici”. Del resto il 99% dei sedentari assume farmaci da banco e quindi sarebbe “aiutata farmacologicamente”. Ovviamente il buon senso ci porta a condannare quegli aiuti che mettono in pericolo la salute dell’atleta, non “ogni cosa che prende” (assolte ovviamente anche quelle sostanze che non fanno assolutamente nulla e che l’atleta assume con ottimismo per “ignoranza sportiva”).
L’Italia è il secondo Paese al mondo per casi di doping a livello olimpico.
Vero, ma non può scappare la battuta che, visti i risultati degli atleti italiani, vuol dire che in Italia il doping si usa molto male!
Secondo la relazione del ministero, “nel 2014 nei settori giovanili e amatoriali, sono stati eseguiti test su 1.427 sportivi (ciclismo, atletica leggera, nuoto e calcio). Di questi, 58 sono risultati positivi: avevano assunto soprattutto diuretici, agenti mascheranti, ormoni e stimolanti.
I dati hanno confermato “la tendenza dei praticanti ad assumere grandi quantità di farmaci non vietati per doping e di prodotti salutistici. Tra gli atleti sottoposti a controllo, 1.040 (72,9% del totale) hanno dichiarato di aver assunto prodotti farmaceutici (compresi i prodotti omeopatici) e prodotti salutistici in genere”.
Il primo periodo sottolinea un dato preocccupante, il 4% di positività. Il secondo è invece allucinante, da condannare senza appello. Come può una commissione medica mettere sullo stesso piano farmaci e prodotti salutistici? Se un prodotto è salutistico è ovvio che si può prendere. Stendiamo un pietoso velo sul fatto di includere nella statistica i prodotti omeopatici, cosa che rivela solo la scarsa coscienza medica degli atleti, visto che tali prodotti sono paragonabili all’acqua fresca.
Prendere qualcosa, magari un integratore, che di per sé serve appunto a “reintegrare” sali minerali o vitamine perse nell’attività fisica, può avere una valenza benefica e salutistica, ma poi può scattare il meccanismo di assumerlo prima dell’allenamento o della gara della domenica, non per reintegrare ma per arrivare prima, per andare più forte e non sfigurare con gli amici.
Anche questo passo è tipico di chi non ha mai fatto sport. Se lo sport è “agonistico” ovvio che, nel rispetto delle regole, voglio andare più forte. Se l’integratore non fa male, che male c’è ad assumerlo? Se fa male, dovrebbe essere la legge a vietarlo. Ogni cosa può far bene o far male, dipende dalle quantità, anche l’acqua fa male e può uccidere se, per paura di disidratarsi, se ne beve troppa (iponatriemia). In sostanza il rapporto è una condanna dello sportivo che non vuole solo fare jogging nel parco alla domenica, ma vuole “mettersi alla prova”.
Il vero problema è esistenziale, non medico né legale; il sacchettaro che corre per un sacchetto di prodotti scaduti o per una t-shirt ha seri problemi di autostima e in genere ha una visione distorta dello sport; per mia esperienza ha però una visione distorta della vita in generale.
Cosa c’è dietro – Ho letto diverse versioni degli stessi dati e sinceramente sono rimasto colpito dal fatto che in ognuna mancasse il modo più semplice di smontare il fenomeno. Se a livello professionistico la difficoltà è notevole, a livello amatoriale è decisamente più facile e passa attraverso una semplice parola: educazione. Finché gli amatori saranno “ignoranti” e non capiranno che:
- il doping non fa diventare un ronzino un purosangue;
- correre la maratona in 3h10′ o in 2h59′ nella loro vita non cambia proprio nulla;
- il barare è solo tipico di chi ha una vita vuota;
- gli integratori fanno guadagnare talmente poco che per un amatore sono del tutto ininfluenti ecc.
dubito che servano altre ricette. L’educazione serve per smontare l’ingenua illusione di essere campioni solo perché si vince una gara della domenica, serve per smontare l’illusione di avere successo nella vita e con le donne se si hanno muscoli più grandi (ma con un cervello piccolo piccolo).
Se la classe medica non informa, se la legge non blocca i messaggi collegati a inutili integratori (sono del tutto inutili, ma la presenza legale sul mercato giustifica l’uso nascosto del doping: si usa il doping, ma il merito va all’integratore), come si può sperare che uno sportivo ignorante non cada nella lusinga del doping?
Informare non significa solo dire genericamente e ripetutamente come una cantilena che il doping è pericolosissimo, ma sostenere tali tesi con dati inoppugnabili, farli girare fra i ragazzi e maturi amatori. Quanti sanno che sciatori di fondo e ciclisti amatoriali sono stati ricoverati per infarto addominale con spaventosi valori di ematocrito? Quanti medici nelle palestre dicono ai ragazzi che la probabilità di tumore al fegato per l’uso di anabolizzanti aumenta dell’x% (scrivo x perché non sono riuscito a trovare una ricerca che lo quantificasse!) e che quelle proteine e quegli integratori che assumono servono praticamente a zero?
Ovvio che una corretta campagna di informazione è contraria a molti interessi (industrie farmaceutiche, farmacisti, medici e strutture coinvolti nei controlli e nella prevenzione ecc.), ma è l’unica strada: L’alternativa è che da secondi riusciamo a scalare la vetta e l’Italia diventi almeno prima in qualcosa.