Tutti i tg hanno dato la notizia della vittoria di Bebe Vio ai mondiali di fioretto. Conoscete Stefano Ricci? No? Ma come?! I tg non hanno dato la notizia della sua vittoria nel campionato italiano di mezza maratona nella categoria Master 45? Nemmeno una parola? Beh, direte voi, l’impresa non è poi così eclatante. Quanti sono i runner M45 che corrono una mezza in Italia? A occhio e croce circa 10.000. Essere primo su un insieme di 10.000 concorrenti è interessante, ma non così tanto da meritare i titoli dei giornali o delle televisioni.
D’accordo, avete capito. Ma allora perché tutti i tg hanno dato la notizia della vittoria di Bebe Vio? Di atleti paralimpici in passato ne ho già parlato, ma ora il clamore attorno a una di essi rischia di offuscare il vero senso dello sport fatto dai portatori di handicap.
In Italia i tesserati alla federazione scherma sono meno di 20.000; se i paralimpici sono, esagerando, lo 0,5-1%, abbiamo circa 100-200 atleti. A livello mondiale, visto che lo sport non è certo omogeneamente diffuso e l’Italia è uno dei Paesi dove la scherma è più praticata, saranno al massimo 2.000. Quindi l’impresa della Vio “vale” meno di quella di Ricci. Ma per il povero Ricci nessuna gloria.
Certo, Bebe Vio è un testimonial per le vaccinazioni (esempio vivente di cosa può succedere ai figli dei no-vax), ma perché esaltare tanto la sua presunta grande impresa sportiva? Se non si è patosensibili, il valore di un’impresa dipende dal lotto dei concorrenti. Non sarebbe patetico se organizzassi un campionato mondiale di scacchi per ingegneri elettronici over 60 possessori di cani di razza springer spaniel?
Ovviamente un portatore di handicap può praticare sport, è lodevole, ma deve farlo per sé stesso, e gli altri, nel valutare la sua impresa, dovrebbero tener conto della concorrenza. I migliori alfieri della riscossa dei portatori di handicap non sono da ricercare in figure come Bebe Vio, ma nei tanti che fanno lavori normali e in quelli che hanno sfondato scontrandosi con i normodotati. Vedasi un Bocelli o, più modestamente, un Adrien Hervais, quello scacchista che ho conosciuto qualche anno fa a Cannes e che purtroppo ci ha lasciati l’anno scorso.
Gli “eccezionali” atleti delle paralimpiadi
Sarò sgradevole, ma non posso fare a meno di scrivere questa nota, visto che ho ricevuto diverse mail che mi incitavano a parlare degli “eccezionali atleti delle Paralimpiadi“.
Dall’attacco della nota avrete capito subito che dissento dalla definizione di “eccezionali atleti”. Penso che si tratti solo di
persone molto sfortunate che hanno avuto la forza di risollevarsi da una situazione molto difficile.
Situazioni simili sono però comuni a tantissime persone, pensiamo per esempio a una coppia di genitori che ha perso un figlio in tenera età o a una ragazzina stuprata dal branco. Nessuno si sognerebbe di chiamarli “atleti eccezionali”. Perché l’atleta è eccezionale solo quando realizza una performance incredibile. La maggior parte dei paralimpici, anche in condizioni di normalità, non avrebbe mai ottenuto prestazioni di rilevo. Per capirci, il vincitore del lancio del disco degli ipovedenti ha ottenuto una misura che a livello regionale italiano è scadente. Nella sua sfortuna ha avuto la fortuna che nessun discobolo “professionista” abbia perso la vista e sia andato alle Paralimpiadi.
Chi era già agonista come Alex Zanardi sa quello che voglio dire. Infatti Alex è sempre molto misurato nelle sue dichiarazioni, non usa toni trionfalistici, quasi nevrotici, esprime felicità per la “sua” prestazione, esattamente come un amatore potrebbe essere felice della sua gara nel trail di Trepalle.
Insomma paragonare una vittoria alle Paralimpiadi a quella di un Bolt (uno mi ha scritto “queste persone meriterebbero la stessa attenzione di Bolt”) vuol dire non sapere che cosa sia lo sport.
Anche perché ci sono molti portatori di handicap che hanno la grandissima dignità di confrontarsi con persone normali. Vedasi la storia di Adrien Hervais. In questo consiste la loro “eccezionalità”.
Questa nota però si rivolge anche a tutti quelli che fanno sport per emergere senza in realtà avere una particolare stoffa e si scelgono ambiti opportuni per “apparire” vincenti.
Vi ricordate i sacchettari, definiti 15 anni fa alla nascita del sito? Ancora oggi troppa gente posta su Facebook allenamenti fasulli solo per apparire sportivamente migliore o esagera imprese, tacendo i contorni, come quelli che raccontano agli amici del piazzamento di categoria senza raccontare quanti erano i partecipanti e senza indicare il valore medio della competizione.
Alla mezza maratona di Parma c’era gente giovane che arrivava in 1h55′ e alzava le braccia al cielo per la foto di rito come se avesse vinto la maratona olimpica. Per chi ha presente il valore assoluto dello sport queste cose fanno solo sorridere. Anni fa, un nostro amico ci raccontò che era arrivato primo in una certa gara; poiché sapevamo che era il solo della sua categoria, non potei astenermi (lo so, sono bravo a distruggere i sogni della gente, ma solo così si può farla crescere e farla diventare migliore) dal dirgli “beh, non sei arrivato primo, sei arrivato unico!”.
Il vero sportivo sa che è meglio arrivare ultimo con un buon tempo che unico con un tempo pessimo.