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Agonismo

Qualche mese fa, durante le ferie, ho cancellato un lunghissimo commento che di fatto condannava tutti quelli che fanno agonismo.

Premesso che non capirò mai chi è in netto contrasto con il messaggio di una pagina Facebook e continua a cercare il dialogo su di essa (l’esempio classico è che non si va in chiesa a criticare il papa), avevo “promesso” al cancellato (se non altro per lo sforzo, visto che il commento era di quasi 4.000 caratteri) di rispondere con una nota alle sue osservazioni (spero che si astenga dal replicare perché sull’argomento è ovvio che abbiamo idee molto distanti).

La tesi sostenuta era che “correre (e in generale fare sport) sempre col cronometro in mano dà la plausibile ma errata sensazione di amare lo sport… se non si prescinde dal cronometro, vuol dire che in realtà la molla è la competizione con gli altri (o magari anche rispetto a sé stessi), la voglia di migliorarsi, di oltrepassare i limiti”.

Razionalmente l’errore è palese: si dà per scontato tutta una serie di cose che forse valgono per lo scrivente, ma non certo per tutti. Se io competo con gli altri (o con me stesso) non è detto che questa sia l’unica motivazione che mi porta a correre. Per capirci, sarebbe come dire che se si ama veramente una donna, non si può andare a letto con lei perché altrimenti “in realtà la molla è la sessualità e non l’amore”. Lo scrivente non ha capito che il cronometro è una delle componenti con il rapporto con la corsa, non certo l’unico.

Infatti cade poi in un altro erroraccio: “si creano i presupposti per smettere appena non si migliora più, o appena l’età comincia a far appannare le capacità prestazionali o le motivazioni salutistiche o estetiche”. Si noti innanzitutto come ora si tirino in ballo altre motivazioni (estetiche, salutistiche), di fatto negando che il cronometro sia l’unica motivazione. Inoltre basta guardarsi intorno e si può vedere come tanti amatori (compreso il sottoscritto) continuino a correre con il cronometro anche se non fanno certo i tempi di 20 anni fa.

Poi finalmente getta la maschera e ci dice che ha corso per 20 anni senza mai prendere un tempo: “le ripetute per me costituiscono una castrazione rispetto a tali sensazioni di libertà: già il lavoro e la quotidianità ci obbligano a combattere col tempo, quindi è inconcepibile per me che lo stesso meccanismo invada anche il tempo libero e un oggetto d’amore”.

Penso che il soggetto non abbia capito cosa si intenda per oggetto d’amore. Confonde cioè un hobby con un oggetto d’amore, ciò che è piacevole da ciò che è leggenda. Correre come ha corso lui certo può essere stato piacevole, ma dubito che abbia ricordi di questo o di quel giorno perché alla fine tutti i giorni sono uguali e la corsa diventa solo la droga con cui ci si rilassa da una dura giornata di lavoro. Non ce la fa a reggere lo stress della lotta contro il tempo (sul lavoro e nella quotidianità) e rifugge da ogni altra pressione. Il problema però evidentemente è suo, è troppo soft.

agonismoCorrere per 20 anni in libertà o farsi un bel idromassaggio dopo una giornata di lavoro danno sensazioni molto piacevoli, ma dubito che crei ricordi forti che diano senso alla vita. A me dall’agonismo sono rimaste centinaia di immagini, di tempi, di persone, di aneddoti, ogni volta ricordando i quali ti scappa un sorriso, ti senti di aver vissuto e non solo di aver lenito il peso delle giornate con droghe legali. Per capirci, chi è goloso della vita non perde tempo a farsi fare un massaggio al pompelmo in una spa perché preferisce creare quei momenti mitici che il nostro troppo stressato scrivente non ha mai compreso.

“Un paio d’anno fa, sono stato trascinato da un amico nell’agonismo, ho corso sì e no 4-5 gare e trail, il minimo indispensabile per due cose: 1) capire che avrei potuto belle soddisfazioni se solo l’avessi praticato da ben prima e seguendo dei programmi; 2) “finire” di innescare l’infortunio latente che non aspettava altro se non un sovraccarico, ed ora mi ritrovo in attesa di finire sotto i ferri”.

Troppo facile raccontare che si sarebbe potuti diventare grandi atleti, se solo lo si avesse voluto, un po’ la storia della volpe e l’uva. Troppo comodo dare all’agonismo la colpa dei propri infortuni invece che alla propria incapacità di gestire l’agonismo (ovvio che fare male sport può far male, ma tutto può far male!).

Mettersi al centro del mondo per spiegare tutto rapportandosi alle proprie vicende è il modo migliore di continuare a commettere errori di generalizzazione.

Anni fa in Rete comparve un articolo sul “trappolone del running” scritto da un altro aspirante runner che, non essendo riuscito a dimensionarsi correttamente con la corsa, la ripudiava, senza accorgersi che migliaia di persone vi riescono senza problemi. Generalizzare a tutti proprie carenze è il modo classico di non migliorare mai.

Tornando all’agonismo, ripeto, non è condizione necessaria per amare la corsa, ma tutti coloro che lo negano solo perché non sanno gestire l’eventuale pressione che ne consegue, mah, dovrebbero diventare più forti, non certo fuggire da questa pressione.

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