Dal Wyss Institute di Harvard arriva una notizia che sicuramente potrebbe interessare atleti di tutto il mondo, alla ricerca di qualcosa che possa migliorare le prestazioni sportive: anche i batteri potrebbero avere un ruolo importante nell’ottimizzazione delle prestazioni. Il condizionale è dovuto al fatto che, come vedremo, i risultati della ricerca sembrano essere a dir poco ottimistici.
Il Prof. George Church, docente di Synthetic Biology, uno dei coautori della ricerca, studia infatti l’impatto che molecole e polimeri hanno sull’evoluzione biologica e il genoma umano. La notizia riguarda i risultati ottenuti analizzando la presenza di batteri nell’intestino di maratoneti, in particolare si è scoperto la presenza del batterio gram negativo Veillonella, comunemente presente nell’apparato digerente e respiratorio, a livelli molto superiori alla norma. La presenza “anomala” di Veillonella è stata rilevata analizzando quindici atleti partecipanti alla maratona di Boston, mentre il gruppo di controllo era costituito da dieci atleti che non avevano partecipato alla maratona.
Ma come funzionerebbe il batterio? Sarebbe in grado di scomporre il lattato circolante nel sangue dopo un intenso esercizio fisico, aggiungendosi al meccanismo naturale di smaltimento che avviene nel fegato. Per provare l’efficacia della teoria, sono stati condotti esperimenti somministrando a sedici topi il ceppo di Veillonella trovato in uno degli atleti. Le performance atletiche dei topi sono state misurate facendoli correre su una ruota e la ricerca conclude dicendo che è stato misurato un miglioramento del rendimento di resistenza di circa il 13%.
L’entusiasta Prof. Church afferma che si tratta “uno degli esempi più convincenti di simbiosi metabolica tra l’ospite umano e il microbioma che potrebbe essere sfruttato in maniera generica come strategia probiotica non solo per gli atleti ma anche per migliorare la salute dei pazienti”. La ricerca, infatti, riguarda anche lo studio dell’efficacia terapeutica di questi batteri per pazienti diabetici.
L’interesse di Church in questo argomento non è solo accademico: è infatti è uno dei cofondatori della FitBiomics, Inc., società di biotecnologia microbiologica pensata per gli atleti.
Quando la ricerca è al limite della fake news
Già diversi dubbi sono sollevati dall’esiguo campione anche se si deve ricordare che il picco di batteri di Veillonella nel post gara era già stato osservato in ottantasette atleti olimpici.
I risultati della ricerca paiono però molto ottimistici, non solo per l’esiguo campione studiato, ma anche per i test effettuati solo su topi, ben lontani dall’essere replicati sugli esseri umani in una competizione sportiva.
La pecca più grave riguarda però la scelta del campione: maratoneti. Come tutti i medici che operano nel settore sportivo dovrebbero sapere, la maratona si corre senza produrre lattato oltre il valore di soglia. In parole povere, la produzione e lo smaltimento di acido lattico che tanta importanza hanno nelle gare di mezzofondo (si pensi al tentativo di tamponare l’acido lattico con il bicarbonato LINK negli ottocentisti), nella maratona hanno un’importanza marginale. Si deve tener presente che:
- Nella maratona la quantità di acido lattico che si produce è inferiore alla capacità dell’organismo di smaltirla
- Il lattato può essere utilizzato a fini energetici e quindi può essere utile avere un po’ di energia in più. Gli atleti africani sembra siano in grado di utilizzare molto meglio il lattato che altri, ottenendo un surplus energetico che si traduce in un bonus di circa 5″/km in gara (secondo le migliori ipotesi).
- Nei finali di gara quando al maratoneta può essere richiesto una notevole accelerazione (alcune maratone si vincono allo sprint!) il discorso acido lattico può avere la sua importanza.
L’eventuale “aiuto” dei batteri è ininfluente per il punto 1; per il punto 3 è pure ininfluente perché lo smaltimento epatico e quello dovuto eventualmente ai batteri è piuttosto lento e durante lo “sprint” finale entra in gioco la capacità di smaltimento acquisita con l’allenamento (cioè organica), che ha innalzato la soglia.
Anche il punto 2 è dubbio perché gli allenamenti per la maratona sono a volte persino più pesanti della gara stessa, per cui la presenza di batteri si dovrebbe comunque formare durante tutto il periodo dell’allenamento e il confronto con atleti (presumibilmente comunque maratoneti) che non hanno partecipato alla maratona è poco significativo.
Concludendo, notizia interessante, ma che andrebbe rivista con maggiore cautela.