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Mentalità italica

4 novembre 2019 di Roberto Albanesi

mentalità italica

Standard & Poor’s ha confermato il rating dell’Italia a BBB con outlook negativo, prevedendo che l’economia italiana crescerà dello 0,1% nel 2019, la terza crescita più bassa dopo Turchia e Argentina. Difficile pensare che senza scossoni l’Italia possa risollevarsi, soprattutto perché è sempre più in compagnia di Paesi che propriamente avanzati non sono.

Al di là di ogni valutazione politica, il titolo di questo articolo vuole spiegare come il nostro Paese sia ormai in declino; un articolo analogo sulla mentalità meridionale mi ha sempre attirato molte critiche e temo che anche questo lo faccia, ma personalmente non mi sono mai considerato italiano, settentrionale, lombardo ecc., tutte etichette che, a fronte di pregi, portano con sé anche difetti e stanno un po’ strette a chi vuole migliorare concretamente la propria vita.

Della mentalità italica analizzerò soltanto il grave handicap che si ha sul fronte lavorativo; troppo facile dire che gli italiani sono allergici alla meritocrazia, sono troppo inclini alle raccomandazioni ecc. Sicuramente sono fattori importanti, ma è più “creativo” analizzare fattori non del tutto chiari alla maggioranza delle persone. Uno di questi è sicuramente quello che potremmo chiamare “menefreghismo sociale”.

Il menefreghismo sociale parte da un diritto, ma lo amplifica a tal punto da dimenticare i doveri che ogni cittadino ha nei confronti degli altri. Invalidità, assistenza agli anziani genitori, maternità, orari di lavoro a misura d’uomo ecc. sono concetti che in una società avanzata devono essere visti come sacrosanti, ma la mentalità italica li vede come potenti armi per farsi i propri comodi: il lavoro, i colleghi, il datore di lavoro (sia lo Stato sia il privato), diventano “secondari” e asserviti ai propri interessi. Ecco allora i falsi invalidi, i furbetti del cartellino, gli abusi della 104 (la legge per le agevolazioni per assistenza a familiari disabili).

Nonostante i controlli, le leggi antitruffa che arrivano al licenziamento, l’italiano continua a timbrare per l’amico che va a fare shopping, a usufruire della 104 senza assistere il disabile, a cercare raccomandazioni per avere un’invalidità maggiorata ecc. La parola d’ordine è: lavorare il meno possibile. Tant’è che molti lavori gli italiani non li vogliono nemmeno più fare.

Molti pensano che queste siano situazioni eccezionali, minoritarie, tanto sono al limite della criminalità. Ma provate a pensare ai classici scioperi al venerdì, per un ponte prolungato; oppure alla bramosia del posto fisso che non è solo una “sicurezza”, ma diventa la condizione per lavorare con il freno a mano tirato (vedasi i tanti esempi nella pubblica amministrazione). Persino la maternità non sfugge alla mentalità italica: da diritto si trasforma in un’occasione per asservire il lavoro ai propri comodi (sentita recentemente: “il concorso lo faccio lo stesso, se lo vinco poi vado in maternità, tanto il posto devono tenermelo!”).

Da notare che esiste anche il rovescio della medaglia che uccide ogni forma di cortesia professionale: molti lavorano solo perché vedono nel lavoro una lucrosa attività in funzione personale, senza nessuna attenzione per il cliente quando, per esempio per piccoli lavori, il guadagno non c’è, secondo il principio “eh, deve aspettare, non ho solo lei come cliente”).

Ecco allora che i giovani che vogliono realmente cercarsi un futuro scappano all’estero (128.000 italiani espatriati nel 2018): non solo non ci sono risorse, ma in un ambiente che premia tanti furbetti chi vale veramente si trova ovviamente a disagio.

Il punto è però che questi “furbi”, anche quando non vengono beccati, non è che facciano una vita da nababbi, sopravvivono al loro lavoro che sarà pure una condanna sociale, ma se lavori male resti in carcere per tutta la vita, nessun sconto di pena, con la strategia del carcerato che domina l’esistenza fino alla pensione…

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