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Le radici dell’odio: si nutrono di parole o di idee?

26 agosto 2019 di Roberto Albanesi

radici dell'odio

L’ex presidente degli USA, Barack Obama, ha cercato di convincere la politica ad abbassare i toni perché “non si può alimentare l’odio“. Molti la pensano come lui, senza accorgersi che l’odio non nasce mai dalle parole, ma dalle idee.

Prendiamo l’esempio del tifo sportivo. Il colore della maglia può portare ultrà a scontrarsi con conseguenze anche gravissime. I media e l’eccessiva importanza data al calcio ha reso le due tifoserie “incompatibili”: per ognuna di loro tifare per l’altra squadra è un delitto. I cori e gli insulti sugli spalti ecc. (cioè le parole) sono una conseguenza di una frattura già evidente, a volte solo il pretesto (non la causa) per un attacco fisico.

La regola dell’incompatibilità (Albanesi, 2003) afferma che due gruppi sono incompatibili quando per un gruppo X è un diritto, mentre per l’altro gruppo è un delitto. Se il primo gruppo vuole affermare X, il secondo si ritiene giustificato a opporsi con ogni mezzo, anche la violenza (del resto se X fosse la democrazia, nessun democratico avrebbe a che ridire che il tiranno sia rovesciato anche con una rivoluzione!).

Con un’informazione sempre più veloce, con la globalizzazione, gruppi incompatibili possono venire più facilmente a contatto e spesso anche sparute minoranze si convincono di essere “grandi forze” che hanno il diritto di far valere ciò in cui credono.

Quando, senza nessun gesto violento, una persona la giudicate “violenta”, probabilmente è solo incompatibile con voi, magari per un vissuto precedente, per condizionamenti o altro, ma è l’incompatibilità che porta a un giudizio di violenza: sentite che quella persona vuole togliervi dei diritti, i vostri diritti.

Come nel caso del tifo sportivo, dovrebbe essere evidente che le parole sono solo la ciliegina sulla torta, spesso solo l’alibi per un attacco che ci sarebbe comunque stato.

Pensiamo al papa che dichiara un assassinio l’aborto: difficile ritenere il papa un violento, nel significato classico del termine. Eppure, tutti coloro che hanno scelto l’aborto o che comunque lo sostengono si reputano offesi da un simile giudizio perché di fatto vengono definiti “criminali”. In Italia per esempio non ci sono manifestazioni violente solo perché alle parole non seguono i fatti, ma supponiamo che l’aborto venga dichiarato illegale e una donna che l’ha scelto venga condannata a dieci anni di reclusione: sicuramente ci sarebbero manifestazioni (anche con violenze) a sostegno della donna. In molti Stati americani gli antiabortisti arrivano a uccidere medici abortisti secondo la logica contraria. Ovviamente chi condanna queste violenze, da una parte o dall’altra non è più civile o democratico, semplicemente non è toccato dal problema!

Analogamente, oggi chi è favore dell’accoglienza dei migranti e ritiene disumano respingerli, di fatto criminalizza l’indifferenza (non l’odio) di chi non vuole accoglierli. Non è l’odio contro i migranti che genera tensioni, ma il fatto che ci siano persone che danno loro diritti (di entrare nel territorio italiano) quando per altri questi diritti sono una violazione della legge, sono cioè un delitto.

Patetico, utopistico, inutile mettere d’accordo chi vede un diritto ciò che per altri è un delitto, le posizioni sono troppo distanti. Se il separatismo non è possibile, non ci resta che accettare una società dove l’odio diventa una pericolosa variabile.

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