L’investimento preferito dagli italiani nel secolo scorso era sicuramente il mattone. Ancora oggi una buona fetta di connazionali non sa scegliere un’altra forma di accantonamento per i loro risparmi.
La crisi del 2008 ha dato un grande scossone all’economia, ma i più ottimisti sostenitori degli immobili erano sicuri che il mattone avrebbe tenuto. Purtroppo, l’analisi degli anni successivi ha evidenziato una serie di criticità ormai croniche.
Prima di analizzare la situazione, occorre anche sottolineare come la crisi del mattone abbia ulteriormente aggravato la situazione economica del nostro Paese. In Italia il 73% degli italiani possiedono almeno una casa di proprietà, molti hanno investito tutti i loro risparmi in case, di fatto non considerando il principio cardine della diversificazione e finendo per perdere in pochi anni mediamente almeno la metà del proprio patrimonio.
L’inflazione – L’azzerarsi dell’inflazione ha nascosto uno dei fattori che illudevano chi acquistava immobili di fare un affare. I dati sull’inflazione in Italia (nell’articolo proprio l’esempio di un colossale bagno di sangue per chi ha acquistato nel 1990 e rivenduto circa 25 anni dopo) mostrano che gran parte dell’ottimismo sul rialzo dei prezzi era dovuto all’inflazione, sempre significativa fino a qualche anno fa. Scorporando l’inflazione, i dati diventano molto più realistici.
La crescita della popolazione – Sono anni che ormai la popolazione si è fermata e, automaticamente, si è fermato l’aumento della domanda di casa a fronte dell’incremento demografico. Ancora oggi c’è chi costruisce ottimisticamente, fornendo un’offerta esagerata che tende a diminuire ulteriormente i prezzi delle abitazioni esistenti.
Il decentramento – Si può dimostrare che il decentramento è inversamente proporzionale alla ricchezza di un Paese (il semplice buon senso ci dice che il costo di servizi decentrati è altissimo). Finalmente gli italiani lo hanno capito e, anziché sognare la villetta in campagna, ora tornano verso le grandi città, anche per contrastare un fenomeno, il pendolarismo, che abbassa notevolmente la qualità della vita. Così il prezzo degli immobili è rimasto costante o è addirittura in ascesa a Milano o a Roma, ma è crollato in zone decentrate del Paese. Sotto i grafici per tre province del Nord, del Centro e del Sud del mercato immobiliare negli ultimi due anni (fonte borsinoimmobiliare.it) con perdite nell’ultimo anno che non possono soddisfare nessun investitore (a queste deve sommarsi l’inflazione, modesta, ma pur sempre positiva).
Si noti che le vendite sono in deciso aumento, cosa che è sfruttata dal settore per perorare ancora l’acquisto del mattone. Le vendite sono in aumento perché c’è chi scappa dall’investimento, avendo ormai capito che non rende, perché molti si sono resi conto che una casa vecchia non può certo essere competitiva e infine perché molte sono case comprate all’asta, ultimo episodio di una crisi non ancora conclusa.
Le tasse – Ormai tutti hanno capito che farsi una seconda casa al mare o in montagna è un suicidio fiscale, senza contare che, a livello di qualità della vita, si è vincolati a passare le proprie vacanze sempre nello stesso posto.
Insomma, le crepe nel mattone sono evidenti…