Gli esseri umani sono da sempre alla ricerca della felicità, il che ha alimentato miti e leggende attraverso i secoli. A questo si accompagna un acceso dibattito sulla vera esistenza della felicità, che vede contrapporsi coloro che credono fermamente che si possa raggiungere uno stato di felicità e quelli che ritengono impossibile avere la felicità in modo duraturo. Oggi sempre più persone si stanno avvicinando al concetto di “decrescita felice” per ritrovare la felicità, modificando lo stile di vita in modo da migliorare consapevolezza e sostenibilità.
Le origini del termine
Negli anni ’70 l’accento era posto sui limiti delle risorse. Il termine francese “décroissance” (successivamente tradotto in inglese come “decrescita”) fu usato per la prima volta dall’intellettuale francese André Gorz. Nel suo libro “Ecology and Freedom”, edito nel 1977, scrisse che “la mancanza di realismo consiste nell’immaginare che la crescita economica può ancora portare a un aumento del benessere umano, e in effetti è ancora fisicamente possibile”.
Come spiegano gli autori del libro “Degrowth: A Vocabulary for a New Era”, Gorz è stato ispirato dal lavoro del pioniere intellettuale dell’economia ecologica Nicholas Georgescu-Roegen, che ha sostenuto che tutte le risorse naturali vengono compromesse in maniera irreversibile quando vengono sfruttate per l’attività economica a causa del meccanismo di entropia.
La disciplina dell’economia ecologica ha successivamente teorizzato che il sistema economico è incorporato nel sistema ecologica, da qui le preoccupazioni per l’eccessivo sfruttamento economico delle risorse disponibili, senza riguardo allo squilibrio che produce sull’intero ecosistema.
La decrescita felice nel nuovo millennio
È apparso chiaro che per ridurre l’impatto dello sfruttamento delle risorse disponibili fosse necessario un cambiamento radicale, che coinvolgesse lo stile di vita e di conseguenza la produzione ad esso collegata. Allora ecco nascere l’area di ricerca internazionale sulla decrescita, intesa da un punto di vista economico e produttivo, che può essere fatta risalire alla prima conferenza internazionale organizzata a Parigi nel 2008 dal collettivo accademico “Research & Degrowth”, con sede presso l’Università Autonoma di Barcellona.
In quell’occasione la decrescita è stata definita come una “transizione volontaria verso una società giusta, partecipativa ed ecologicamente sostenibile” e proposto come il processo che i Paesi ricchi dovrebbero attuare per raggiungere un “giusto dimensionamento” delle economie nazionali e di quella globale. Non è un caso che il primo sguardo critico si è rivolto verso il consumismo, che ha fatto perdere il concetto di indispensabilità: sono tanti i gesti quotidiani quasi dimenticati che possono ridurre lo spreco di denaro e risorse, come limitare il consumo di acqua, preferire il trasporto pubblico all’auto per abbassare il consumo di combustibili fossili, sfruttare in maniera intelligente il sole e il vento per produrre energia anche per dispositivi alimentati da power bank solare senza costi di approvvigionamento.
Come conseguire la decrescita felice
Per conseguire l’obiettivo di una decrescita felice e sostenibile per i Paesi ricchi, si ritiene necessario il trasferimento di alcune attività dall’economia professionale all’economia amatoriale produttiva meno “lavorativa”. Ciò tenderebbe a ridurre la produttività complessiva del lavoro e quindi la produzione di risorse, ma aumenterà la soddisfazione e la felicità. Riducendo consumi e produzione calerebbe l’orario di lavoro o la produttività, trasformando parte del tempo libero in attività di volontariato.