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Come cambia la politica

23 settembre 2019 di Roberto Albanesi

Salvini che stacca la spina, Renzi che se ne va dal PD… Chi giudica negativamente queste operazioni probabilmente è ancora troppo legato alla vecchia politica, da Prima Repubblica, dove il compromesso era l’arma migliore per fare andare avanti le cose. Non c’entrano il personaggio o le sue idee, quanto il fatto che oggi con la globalizzazione che ha accorciato i tempi delle decisioni il compromesso è stato superato dalla decisione. Il decisionismo è l’anima della nuova politica. Ne sa qualcosa Teresa May, massacrata dall’opposizione, dai suoi, dall’Europa per aver cercato un compromesso sull’uscita della Gran Bretagna dalla UE. Il sostituto B. Johnson è un decisionista, dello stesso partito, ma con stile totalmente diverso. Non importa se è antipatico, se porterà la Gran Bretagna verso il baratro ecc. Il punto è che cerca di operare “subito”. Non a caso i due Paesi più importanti delle UE sono retti da decisionisti (Macron e Merkel) che possono portare avanti la “loro” politica, giusta o sbagliata che sia.

Con buona pace di chi ritiene Salvini un violento o Renzi un arrogante, quella è la strada per evitare di rimanere indietro: decidere. Cosa non compresa a livello europeo, dove domina ancora il compromesso fra i vari schieramenti, nonostante alcuni importanti organismi siano decisionisti (vedasi la BCE, retta da Draghi e prossimamente dalla Lagarde). Cosa non compresa in Italia, dove il partito maggioritario in parlamento non ha compreso che, senza un uomo forte, a poco a poco poi si dovrà ricorrere a quel compromesso che rosicchia i voti faticosamente guadagnati: chi dirige il M5S? Grillo, Casaleggio, Di Maio, Conte? Una gran confusione che il continuo richiamo alla democrazia diretta seduce ormai solo quelli che sognano di contare qualcosa e di essere loro gli “uomini forti”.

E che ne sarà della democrazia? In un regime “presidenzialista” (qui la valenza del termine è allargata a governo dove decide praticamente un uomo solo) lo scopo dell’opposizione non è quello di ottenere compromessi sulle decisioni, ma verificare il rispetto delle regole democratiche basilari (si noti il termine “praticamente” accanto al “decide”) e che al prossimo turno elettorale la gente abbia ancora possibilità di cambiare. Vedasi quello che accade negli Stati Uniti con Trump e l’opposizione democratica. Certo, gli amanti del compromesso ci diranno che, stando al comando il popolo si può pilotare (“il potere logora chi non ce l’ha”, Andreotti), ma oggi è molto meno vero che decenni fa quando non c’era la Rete. La Rete non serve per votare, ma per diffondere il proprio pensiero e, quindi, fare anche opposizione.

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