Il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie statunitense (Centers for Disease Control and Prevention, CDC) ha reso noto che un uomo del Michigan ha contratto la tubercolosi da un cervo infetto, in una zona in cui erano stati segnalati altri due casi di infezione alcuni anni prima. La tubercolosi bovina è una patologia causata da un batterio, il Mycobacterium bovis, appartenente al complesso del Mycobacterium tubercolosis. Mentre i controlli sui bovini da allevamento e la pratica di pastorizzazione del latte hanno reso praticamente nulla la possibilità d’infezione, ben diverso è il discorso per gli animali selvatici.
Le persone contagiate praticavano la caccia e gli esperti ipotizzano che abbiano inalato i batteri mentre rimuovevano gli organi infetti di un cervo morto. Potrebbe sembrare un evento isolato e di poca importanza, ma in un mese il CDC ha già diramato due avvisi sui potenziali contagi da animali, compresi i casi di salmonella trasmessa dai polli.
La tubercolosi bovina è piuttosto rara e la maggior parte dei casi sono dovuti al consumo di latte crudo o di prodotti lattiero-caseari non pastorizzati (pratica considerata non salutare). Più raramente, la malattia può essere trasmessa attraverso il contatto diretto con la carne dell’animale, di solito durante la caccia o la macellazione.
I sintomi sembrano abbastanza simili alla tipica tubercolosi “umana”: tosse grave, febbre, perdita di peso, dolore toracico. Anche il trattamento è per lo più lo stesso, tranne per il fatto che la tubercolosi bovina resiste alla pirazinamide, uno degli antibiotici più usati per trattare la malattia.
L’Italia è uno dei Paesi europei a bassa incidenza per quanto riguarda la tubercolosi (meno di 20 casi ogni 10.000 abitanti), attestandosi attorno ai 6,5 casi ogni 10.000 abitanti (i dati si riferiscono al 2017, anno in cui si sono registrati 3.944 casi), con una percentuale del 66,2% di pazienti di origine straniera (dati Epicentro, Istituto Superiore della Sanità Italiano).