Il sistema immunitario è il nostro sistema di difesa dagli agenti estranei all’organismo.
Fra le tante domande che l’epidemia da Coronavirus (febbraio 2020) ha portato con sé ci sono quelle sorte a causa del fatto che il cosiddetto paziente 1 è finito in rianimazione per le complicazioni polmonari pur essendo un giovane runner di 38 anni, quindi, apparentemente, una persona giovane e sana.
In realtà, anche considerando la fascia fra i 20 e i 40 anni, il sistema immunitario ha una grande variabilità di prestazioni (ecco come migliorarle): c’è chi non fa un’influenza e chi ne fa due o tre all’anno, anche quelle meno aggressive; c’è chi va tranquillamente a lavorare e chi deve stare a letto una settimana.
Riguardo allo sport, le domande più frequenti sono:
- Che relazione esiste fra le nostre difese immunitarie e la pratica sportiva?
- Lo sport fa bene o fa male al sistema immunitario?
Le risposte sono molto facili e si possono riassumere in una sola frase:
lo sport migliora il sistema immunitario se fatto bene.
In seguito alla vicenda del paziente 1, il quotidiano la Repubblica ha pubblicato un pezzo che, se da un lato dà informazioni esatte, dall’altro può essere fuorviante perché poco dettagliato. Ecco quanto riportato dal quotidiano:
Sforzi molto intensi causano una temporanea depressione del sistema immunitario. Il fenomeno si chiama “open window”. Un allenamento molto intenso può causare nell’immediato un abbassamento delle difese immunitarie” spiega Attilio Parisi, rettore dell’università dello sport di Roma Foro Italico. “Parliamo di sforzi importanti, di quelli in cui alla fine sei esaurito” spiega. “Non della pratica sportiva normale”. Ma correre due mezze maratone in otto giorni, come ha fatto Mattia il 2 e il 9 febbraio, può mettere l’organismo in una situazione di stress. La settimana dopo, già con la febbre, il 38enne di Codogno ha poi giocato una partita di calcio a 11.
Prima del commento, alcuni dati numerici per inquadrare il problema. Consideriamo, per semplicità, il record mondiale maschile dei 100 m di 10″ netti. Se ci aggiungiamo un 50% otteniamo 15″. Consideriamo ora un insieme di diciottenni maschi, per esempio gli appartenenti all’ultima classe delle superiori. Testiamoli sui 100 m. Con nostra sorpresa difficilmente troveremo un soggetto che corre la distanza in più di 15″, anzi, la maggior parte si situerà fra 13 e 14″. Non sarà anche difficile scoprire visivamente che chi li corre “lentamente” o è in sovrappeso oppure, al contrario, appare molto gracile. Insomma, non fa una bella impressione. In ogni caso, si direbbe che “non è ben allenato alla distanza”. Questo concetto è molto importante. La cosa continua a essere valida praticamente fino ai 40 anni, anche se diminuirà drasticamente la percentuale di quelli che corrono sotto ai 15″, non tanto perché sono invecchiati, quanto perché hanno “vissuto male” con sedentarietà e sovrappeso che hanno ridotto drasticamente le loro prestazioni rispetto a quando “erano giovani”.
Passiamo ora alle mezze maratone corse da Mattia. Innanzitutto, cominciamo con il dire che alla sua età ci sono stati atleti capaci di vincere la maratona olimpica (come Lopez a Los Angeles 1984 con tanto di record olimpico), quindi l’alibi dell’età non regge circa il decadimento delle prestazioni. Poi sommiamo il 50% al tempo dell’attuale record mondiale sulla mezza maratona e scopriamo, arrotondando, che
un qualunque under 40 ben allenato e in buone condizioni dovrebbe correre la mezza maratona in meno di 1h27′.
Torniamo ora al pezzo de la Repubblica ed evidenziamo le lacune.
Da un lato è vero che sforzi molto intensi deprimono il sistema immunitario; per esempio dopo una 100 km anche atleti professionisti si trovano in condizione di immunodepressione. Il punto è che la locuzione “molto intensi” è imprecisa perché anche correre 100 m al massimo è uno sforzo a intensità massimale. Correttamente, Parisi precisa che si tratta di sforzi dove alla fine si è “esauriti”. Purtroppo, il giornalista non approfondisce il concetto e il profano può prendere lucciole per lanterne e capire che quando si arriva stanchi si è esauriti e rischiamo infezioni terribili. Se così fosse, ogni atleta professionista e ogni amatore che fanno 2 o 3 allenamenti duri alla settimana sarebbero sempre in corsia di ospedale, cosa che non è vera.
Per esaurimento si intende la mancata disponibilità di ulteriori risorse energetiche che provoca nell’organismo una specie di collasso delle difese, un po’ come se finissero le munizioni in chi difende il fortino da virus e batteri. Quando questa mancata disponibilità si verifica? Quando l’atleta non è ben allenato! Considerare sportivo un soggetto solo perché conclude una maratona è un grave errore perché il vero sportivo è ben allenato per quello che fa (vedasi Quando lo sport fa male).
Le situazioni di esaurimento si verificano nei professionisti solo nelle ultramaratone proprio perché in allenamento il soggetto, pur professionista, non corre mai l’intera distanza che viene affrontata solo in gara. Ormai nelle maratone è molto difficile trovare un professionista che crolla negli ultimi chilometri, cosa invece ancora molto, troppo comune in atleti amatori che affrontano la maratona solo per accrescere la propria autostima sportiva (“ho corso la maratona“), ma senza essere veramente preparati (vedasi il muro in maratona). Non a caso, la seconda parte della gara di un amatore è spesso più lenta della prima, segno evidente di un esaurimento delle risorse.
Accorciando la distanza aumenta la probabilità che il soggetto amatore sia allenato a correrla; se in maratona solo il 10% degli amatori è ben allenato, sulla mezza almeno la metà lo è, con una percentuale che sale al 90% per corse sui 10 km.
Essere mal allenati significa in sostanza allenarsi poco o, paradossalmente, allenarsi troppo. Questa seconda eventualità è molto poco comune in atleti professionisti, ormai seguitissimi; paradossalmente è molto comune in atleti amatori che si allenano troppo e senza criterio per:
- sperare di diventare campioni
- colmare vuoti esistenziali (la corsa diventa tutto).
Torniamo a Mattia e alle sue mezze maratone (fra l’altro, non è dato sapere se Mattia le ha corse al massimo o semplicemente per divertirsi). Da quanto detto, correre due mezze maratone in otto giorni è una situazione che può compromettere il sistema immunitario, solo se:
- il soggetto non è ben allenato (cioè è poco allenato alla distanza oppure è un fissato della corsa)
- il soggetto non ha un buon stile di vita (per cui parte già con un sistema compromesso, è l’analogo del 35-enne che non riesce più a correre i 100 m in meno di 15″, è invecchiato male, magari è in sovrappeso, fuma ecc.)
Non sappiamo come inquadrare Mattia, forse basterebbe conoscere il suo personale sulla mezza per capirci qualcosa di più, ma l’esperienza di questi ultimi 20 anni ci dice che solo gli atleti che ricadono in uno dei punti 1 e 2 hanno episodi di polmonite.