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Shopping compulsivo: Amazon e l’e-commerce aggravano il problema

13 febbraio 2020 di Roberto Albanesi

SHOPPING COMPULSIVO

Lo shopping compulsivo è una vera e propria dipendenza; esiste già una locuzione tutta italiana, acquisto compulsivo, ma in genere si preferisce la locuzione con il termine inglese perché il concetto di shopping porta già con sé qualcosa di non strettamente necessario.

Descritto per la prima volta dallo psichiatra tedesco Emil Kraepelin nel 1915 (oniomania), oggi è ancora controverso il ritenerlo una vera e propria dipendenza, in quanto mancano diversi tratti caratteristici:

  1. Manca l’assunzione di sostanze esterne (come nel caso di fumo, droghe o alcol).
  2. La vita del paziente non è in pericolo.
  3. È molto rara la compromissione dello stato economico (come accade invece nel gioco d’azzardo), in quanto il più delle volte il soggetto, pur soffrendo, si limita prima di un crollo delle finanze.
  4. L’aspetto compulsivo passa il più delle volte inosservato, a differenza di altre compulsioni in cui il comportamento ripetitivo (lavarsi le mani, ordinare e pulire la casa ecc.) appare del tutto forzato a un osservatore esterno.
  5. Non è legato a particolari comportamenti depressivi.

In realtà, alcuni di questi cinque punti sono comunque discutibili.

Una compromissione dello stato economico, anche se marginale, c’è sempre e comunque; il soggetto investe piccole somme di denaro (la stessa differenza che c’è fra chi ogni settimana butta 50 euro al SuperEnalotto e chi si gioca la casa a poker); ovviamente l’economia ne è comunque penalizzata, ma non ci sono crolli.

L’aspetto compulsivo passa inosservato agli occhi di un profano, ma, come vedremo nel test, è abbastanza facile rilevare chi è affetto da questa dipendenza.

L’ultimo punto è solo in parte vero perché lo shopping, tipico della personalità del sopravvivente, è sostanzialmente una medicina che si prende contro insoddisfazioni esistenziali che possono celare una depressione.

Shopping compulsivo: i sintomi

Come abbiamo, visto una definizione scientifica del problema ancora non esiste e si preferisce definirlo in base al comportamento del soggetto. Quattro infatti sono le motivazioni alla base dello shopping compulsivo (Albanesi 2020):

  • il falso bisogno; si tratta della motivazione più comune: il soggetto pensa di avere un assoluto bisogno della cosa acquistata. Infatti, associa alla mancanza dell’oggetto del desiderio sentimenti negativi, di inadeguatezza ecc.
  • il doppione; la motivazione risiede nella necessità di fronteggiare eventuali mancanze dell’oggetto da acquistare (rottura, guasto, smarrimento ecc.) tanto che si può parlare di bisogno di riserva (la “scorta”).
  • l’occasione; la motivazione in apparenza più logica: un forte sconto che ci fa fare il buon affare.
  • il miglioramento; l’oggetto acquistato viene reputato migliore di quello posseduto in base a svariati criteri (per esempio, un vestito non è più alla moda).

Shopping compulsivo: il test di Albanesi

Per definire lo “shopping compulsivo” si possono usare indicatori caratteristici; Partiremo da quello di Lorrin Koran (Stanford University) che definisce lo shopping un disturbo del comportamento quando:

  1. Il denaro investito per lo shopping è troppo elevato rispetto alle proprie possibilità economiche.
  2. Gli acquisti hanno una frequenza alta (più volte alla settimana).
  3. Gli acquisti non sono motivati.
  4. L’attenzione agli acquisti non faceva parte delle abitudini precedenti del soggetto.

Alcune critiche. Dal punto di vista medico, il punto 1 non ha senso perché non è razionale associare una patologia alle “possibilità economiche” del soggetto! Come vedremo, il punto 2 è l’unico sensato, ma non è sufficientemente definito. Il punto 3 è proprio quello che qualunque compratore compulsivo contesterebbe (la motivazione lui la trova sempre!) e comunque il concetto di “acquisto motivato” non è oggettivo. L’ultimo punto è ininfluente perché non si può definire una patologia in base a un cambiamento se non si mostra che tale cambiamento ha effetti negativi e potenzialmente devastanti: non è detto che chi non beveva alcolici, se inizia a farlo da adulto, diventi un alcolizzato!

Il test di Albanesi è molto semplice e si basa sulla frequenza di acquisto: lo shopping compulsivo si distingue da situazioni magari border line (sindrome del compratore, si veda l’articolo sullo shopping), ma non patologiche, per la frequenza degli acquisti:

quando la frequenza di acquisti non vitali (il cibo) supera quella di due acquisti al giorno in modo sufficientemente continuato si può parlare di shopping compulsivo.

Ovviamente il numero 2 è discutibile, ma quello che conta è aver relazionato lo shopping compulsivo alla frequenza di acquisto; i più rigidi potrebbero parlare di un acquisto al giorno (il che è ragionevole, visto che si parla di 365 acquisti all’anno), altri potrebbero portarla a tre. Si noti che per acquisto non s’intende il numero di oggetti acquistati, ma il numero di transazioni effettuate in negozi differenti. Così acquistare tre paia di scarpe nello stesso negozio è un solo acquisto, anche se la cosa può apparire esagerata.

Non conta l’importo economico dei beni acquistati (chi per esempio cambia auto ogni anno solo per averla nuova non è afflitto da shopping compulsivo), non conta il numero di oggetti di un certo tipo (chi per esempio in un anno “colleziona” 30 paia di scarpe; il collezionismo non è necessariamente una forma di shopping compulsivo).

Quello che conta è il numero di acquisti: spesso chi è afflitto da shopping compulsivo compra anche gadget completamente inutili, di poco costo: il pelouche per il cane, il soprammobile per il salotto, un paio di guanti più morbidi ecc.; presi singolarmente questi acquisti appaiono giustificati, ma, visti nell’ottica della frequenza d’acquisto, rivelano una propensione eccessiva all’acquisto.

Dal test, per semplicità, è escluso il cibo, anche se a volte il compratore compulsivo acquista cibo che poi va regolarmente buttato. Non vengono esclusi altri generi comuni (come per esempio l’abbigliamento) perché per essi una normale frequenza di acquisto non è tale da far superare la soglia critica citata nel test in modo continuativo.

Shopping compulsivo ed e-commerce

L’e-commerce ha decisamente aggravato il problema dell’acquisto compulsivo perché il soggetto può comprare facilmente da casa propria.

Alcune strutture come Amazon (l’equivalente di un centro commerciale tradizionale) hanno ulteriormente facilitato la dipendenza perché si possono effettuare tante transazioni rimanendo all’interno dello stesso sito, con funzioni di ricerca sofisticatissime e strumenti di invito all’acquisto formidabili.

Il rischio reale è di trasformare la sindrome del compratore in una dipendenza acclarata, cioè in una migrazione verso lo shopping compulsivo.

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