Da diversi giorni sui media, si sente sempre più spesso parlare di ozonoterapia come possibile opzione di cura per il COVID-19. È una delle tante proposte che sono uscite dall’inizio dell’emergenza Coronavirus, emergenza che ha determinato ricoveri ospedalieri, in molti casi anche nei reparti di rianimazione e, purtroppo, anche molti prematuri decessi. Per approfondimenti di carattere generale sull’ozonoterapia si rimanda alla scheda che la tratta nel dettaglio Ozonoterapia.
Al momento attuale non esistono né un vaccino (anche se le sperimentazioni sono partite) né una cura farmacologica che può dirisi del tutto risolutiva. Le sperimentazioni tentate sono molte (farmaci antivirali, anticorpi monoclonali, combinazioni di vari principi attivi ecc.).
Fra i vari tentativi c’è da registrare anche quello proposto dal prof. Amato De Monte, direttore del Dipartimento di anestesia e rianimazione dell’Azienda sanitaria universitaria “Friuli centrale” (Udine).
De Monte, in collaborazione con Carlo Tascini, infettivologo, e altri colleghi ha messo a punto una procedura che prevede il ricorso all’ozonoterapia in associazione a farmaci ad azione antivirale (quelli che sono attualmente usati per combattere l’infezione da Coronavirus).
La sperimentazione è stata fatta su 36 pazienti ricoverati in ospedale, con polmonite e dispnea, ma non ancora sottoposti al regime di terapia intensiva.
In un’intervista alla rivista Wired De Monte ha dichiarato a tale proposito: “Su 36 persone, 35 sono riuscite a evitare il ricovero in terapia intensiva con ventilazione o addirittura intubazione. Di questi, già 25 sono stati dimessi la settimana scorsa. I casi studiati sono ancora pochi, ma sicuramente senza l’ozonoterapia un numero maggiore di persone sarebbe andato incontro a problematiche più gravi e trattamenti più invasivi”.
In seguito a questa sperimentazione, è stata richiesta un’autorizzazione all’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) e al Comitato Etico dell’Istituto Spallanzani (Roma) per effettuare un nuovo studio su 200 persone affette da COVID-19, così da poter avere, a seconda dei risultati ottenuti, il riconoscimento scientifico di tale metodo a livello internazionale.
La procedura ideata da De Monte e colleghi consta sostanzialmente nel prelievo di 200 ml di sangue dal paziente affetto da COVID-19, nell’interazione di questo sangue con ozono per un tempo di circa 10 minuti e nella successiva reinfusione. Tutto questo viene poi ripetuto tre o quattro volte al massimo.
De Monte ha spiegato che dopo tre sedute è stato osservato un netto miglioramento delle condizioni dei pazienti con notevole riduzione del bisogno del supporto di ossigeno. Sembra che la terapia non comporti effetti collaterali.
Resta da stabilire se il metodo sarà o no validato.
Nel frattempo alcuni ospedali hanno iniziato la sperimentazione, ma alcuni medici si lamentano che i loro appelli per accelerare le decisioni sul metodo restano inascoltati.
Svantaggi del metodo
Quando si propone un nuovo farmaco o una nuova strategia di cura sono in genere necessari studi per verificare gli effetti negativi (effetti collaterali, controindicazioni, interazioni negative ecc.), non è possibile “provarlo e basta”. Per questo la disponibilità di un vaccino spesso richiede ben più di un anno.
Attualmente l’ozonoterapia è perorata soprattutto da chi la pratica già e il lamento “nessuno ci prende in considerazione”, di fatto non tiene conto delle cautele sopraddette.
Quali sono i potenziali effetti negativi dell’ozonoterapia? Da Ozone therapy: A clinical review – A. M. Elvis and J. S. Ekta – J Nat Sci Biol Med. 2011 Jan-Jun; 2(1): 66–70.
Una serie di effetti negativi si osserva a causa della reattività di O3, cioè ossidazione, perossidazione o generazione di radicali liberi, dando origine a una cascata di reazioni come la perossidazione dei lipidi che porta a cambiamenti nella permeabilità della membrana… Ciò causa la presenza di acidi grassi insaturi sia nel fluido di rivestimento polmonare che nei doppi strati di cellule polmonari, O3 reagisce con acidi grassi insaturi per fornire i loro prodotti specifici, ovvero LOP (prodotti di ozonazione lipidica), che attiva le lipasi innescando il rilascio di mediatori endogeni dell’infiammazione (Pryor WA, Squadrito GL, Friedman M. A new mechanism for the toxicity of ozone. Toxicol Lett. 1995;82-83:287–93).
La perdita di gruppi funzionali negli enzimi porta all’inattivazione degli enzimi (Pryor WA, Squadrito GL, Friedman M. The cascade mechanism to explain ozone toxicity: The role of lipid ozonation products. Free Radical Biol Med. 1995;19:935–41). Queste reazioni si traducono ulteriormente in lesioni cellulari o eventuale morte cellulare. Le combinazioni di O3 e NO2 si verificano nello smog fotochimico, hanno effetti pericolosi sugli alveoli polmonari e agiscono in modo additivo o sinergico. Gli antiossidanti dietetici o gli spazzini dei radicali liberi come la vitamina E, C, ecc. possono prevenire gli effetti di O3 sopra menzionati (Donovan DH, Williams SJ, Charles JM, Menzel DB. Ozone toxicity: Effect of dietary vitamin E and polyunsaturated fatty acids. Toxicol Lett. 1977;1:135–9 e 45. Mustafa MG. Biochemical basis of ozone toxicity. Free Radical Biol Med. 1990;9:245–65).
Del resto, una domanda sorge spontanea. C’è già stata la SARS e, inoltre, le polmoniti, anche da esiti influenzali, sono sempre state presenti negli ultimi anni. Come mai non è mai stata usata l’ozonoterapia dagli stessi medici che ora la perorano?
Certo l’ozonoterapia può essere fra le terapie studiate per il COVID-19, ma dovrà seguire i normali protocolli di validazione.