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Ti trovi qui: Home / Salute / Comportamento alimentare anomalo nei bambini e autismo

Comportamento alimentare anomalo nei bambini e autismo

26 agosto 2019 di Massimiliano Tucci

autismo e alimentazione

I disturbi dello spettro autistico rappresentano sicuramente un problema per l’individuo che ne soffre a causa delle ripercussioni che tali disturbi possono causare nell’ambito relazionale e per le patologie che possono esservi associate, una fra tutte l’epilessia.

Per queste ragioni diventa particolarmente importante diagnosticare il prima possibile tali disturbi in modo da avviare il trattamento comportamentale e gestire al meglio la situazione. Nonostante queste premesse la diagnosi di autismo non è immediata e spesso richiede la valutazione di più specialisti.

Una nuova ricerca sembra accentuare l’importanza della valutazione dei comportamenti alimentari dei bambini nell’ottica di permettere una diagnosi di autismo in fase precoce.

Più precisamente la ricerca, pubblicata a maggio e realizzata da Susan Dickerson Mayes, professoressa di psichiatria presso l’università della Pennsylvania, è un’analisi dei dati clinici di più di 2.000 bambini e ragazzi aventi un’età compresa fra 1 e 18 anni, di cui 1.462 con diagnosi di autismo. Confrontando tali dati è emerso che circa il 70% dei bambini autistici mostravano comportamenti alimentari insoliti, contro al 5% dei bambini non autistici, cioè tali disturbi sono circa 15 volte più frequenti nei bambini autistici rispetto ai bambini non autistici.

Fra questi comportamenti alimentari anomali si riscontrano principalmente una forte predilezione verso pochissimi alimenti (presente nell’89% dei bambini autistici considerati), che, peraltro, mostravano spesso anche di avere una discreta avversione verso consistenze uniformi, morbide e dal colore neutro. I cibi in questione spesso sono stati riportati essere polpettine di pollo (nuggets), pasta (maccheroni al formaggio, ma ricordiamo che la ricerca è americana quindi ragionevolmente si fa riferimento a qualche piatto pronto probabilmente dissimile dalle preparazioni nostrane), patatine fritte, pancakes ecc.

Circa la metà (46%) dei bambini autistici mostrava invece ipersensibilità alla consistenza, intesa come avversione a determinate consistenze (per esempio cibi molto cremosi, oppure al contrario che richiedono masticazione prolungata, oppure contenenti grumi).

Più insolitamente l’11,6 %mostrava il disturbo noto come “picacismo”, ovvero la propensione a ingerire materiali non edibili quali pastelli, sapone, carta o pongo.

Infine, i ricercatori hanno rilevato che la maggior parte dei bambini autistici mostrano contemporaneamente più disturbi fra quelli citati e fino al 25% percento degli stessi ne mostrano 3 o più. Questa è un’altra differenza che li contraddistingue rispetto a bambini non autistici che pure possono avere questi comportamenti alimentari anomali, ma difficilmente più di uno o due contemporaneamente (nessuno nel campione preso in considerazione della ricerca).

Questi comportamenti insoliti, ha dichiarato la professoressa Mayes, sono spesso presenti già dai primissimi anni di vita dei bambini interessati e come tali possono rappresentare un indizio utile al personale sanitario per ipotizzare la possibile presenza di autismo e indirizzare alla sua diagnosi in fase precoce.

Questi dati quindi sembrerebbero secondo, i ricercatori, indicare agli specialisti che trattano con i bambini di fare caso a segnalazioni di questo tipo da parte dei genitori poiché esse potrebbero essere per l’appunto indice della possibilità di soffrire di un disturbo dello spettro autistico. Nonostante queste informazioni non è il caso di allarmarsi in quanto è comunque normale riscontrare comportamenti alimentari simili a quelli descritti nei bambini, in particolare una certa avversione nel provare alimenti e prodotti nuovi, il rifiuto di certe consistenze (magari banalmente per l’oggettiva difficoltà di masticazione da parte di bambini piccoli!) o la predilezione verso alimenti morbidi e palatabili come le patatine fritte dei fast food. La ricerca corre quindi il rischio di essere un po’ vaga nella descrizione dei comportamenti alimentari anomali in questione. La differenza evidentemente risiede nell’intensità di tale avversione, la contemporanea presenza di altri comportamenti insoliti e la cronicità degli stessi. Elementi la cui valutazione rimane comunque appannaggio dello specialista. Come indicato nella ricerca i bambini autistici tendono a mantenere tali comportamenti nel tempo rispetto ai bambini non autistici, col rischio, tra le altre problematiche, di avere un’alimentazione non adeguata.

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