Zingaretti straccia sia Martina sia Giachetti e vince con circa il 70% dei voti le primarie del Pd, evento che ha portato ai gazebo oltre 1,7 milione di votanti. La partecipazione è stata sottolineata come un “grande successo”, senza comprendere che è circa il 25% di quei (pochi) che votarono il Pd nel marzo 2018.
Zingaretti usa una fallacia molto comune nella popolazione, la fallacia ad novitatem: il nuovo è meglio del vecchio. Sicuramente è meno arrogante e più simpatico di Renzi, più equilibrato di un Martina, capace solo di vedere gli sfaceli in casa degli altri. Resta da vedere quale sarà la percentuale degli elettori del M5S in fuga da un movimento che si sta affossando con le sue stesse mani, vittima di posizioni di principio a volte incomprensibili. Sicuramente torneranno al Pd tutti quegli elettori cinquestelle che hanno della politica una visione vecchia e superata, dove conta più un’ideologia di base che si sposa fin dall’adolescenza, quasi fosse la squadra del cuore, rispetto al buonsenso che permette di valutare i veloci cambiamenti della società in cui si vive.
Data la chiusura al M5S del nuovo leader, non si capisce comunque come il Pd possa governare l’Italia e Zingaretti sembra l’ennesima rivisitazione del politico che ha a cuore il successo della sua parte prima di quello del Paese: anche se il Pd risalisse a un 25%, senza accordi (impossibili dopo la valanga di insulti gettati sia sul M5S sia sulla Lega), certo Zingaretti potrebbe gridare a una grande vittoria, ma sarebbe una vittoria di Pirro.
Per approfondire: Destrorso o sinistrorso