Micah Herndon ha terminato la maratona di Boston letteralmente carponi (per motivi di copyright non possiamo mostrarvi il video, ma lo trovate facilmente in Rete), rifiutando anche le cure mediche dopo il traguardo. Sembra che fosse entrato in crisi al 35-esimo chilometro.
La motivazione può emozionare: Herndon ha corso con i nomi di tre commilitoni uccisi in Afghanistan nel 2010 applicati a speciali targhette fra i lacci delle scarpe: “corro per onorare la loro memoria, non ci sono più, mentre io sono qui e posso farlo”. Sembra tutto molto bello, ma sono leciti i sospetti di protagonismo perché, sinceramente, che un marine finisca in queste condizioni è preoccupante.
Anche chi incontra il muro può tranquillamente camminare piano per gli ultimi 6-7 km. Evidentemente più che coraggio, Micah deve essere partito con il chiaro intento di farsi male, pochissimo allenato; anche quando ha trovato il muro, ha continuato a spingere e la maratona è diventata un suicidio atletico che nulla ha di eroico. Del resto, ormai nessuno finisce la maratona così; basta guardare i runner che lo circondano al traguardo, gente da circa 4 ore o poco meno, quindi non campioni, ma ancora piuttosto freschi.
Che nel finire una maratona non ci sia nulla di eroico è dimostrato dai tanti over 60 che la terminano senza particolari problemi. Il giudizio sull’impresa di Micah può sembrare molto duro, ma il motivo deve essere chiaro: anziché promuoverla, queste immagini fanno male alla corsa perché un qualunque sedentario incallito potrebbe sostenere la tesi che, se un marine finisce così, la corsa, e lo sport in generale, tanto bene non fanno!
La realtà è invece un’altra: come in tutte le cose ci vogliono conoscenza e preparazione: anche chi non sa guidare va a sbattere e magari perde la vita, ma guidare un’utilitaria è cosa del tutto banale.
Per approfondimenti: Quando lo sport fa male – Maratona: sei pronto?