Una sentenza del tribunale di Rimini riporta l’Italia indietro al 1981, offendendo nuovamente la vittima di un femminicidio
Si parla spesso di malasanità, ma pochi hanno il coraggio di parlare di malagiustizia; anzi, spesso, anche quando i giudici sbagliano, un certo perbenismo politico invita sempre e comunque ad avere fiducia nell’operato della magistratura e nella legge.
Dal tribunale d’appello di Bologna arriva la sentenza choc che ha dimezzato (da 30 a 16) la pena di un uomo che ha ucciso la compagna perché “in preda a una tempesta emotiva provocata dalla gelosia”. Di fatto viene in qualche modo ripristinato il delitto d’onore, che “giustificava” (fino al 1981) una motivazione soggettiva di chi lo commette, volta a salvaguardare (nella sua intenzione) una particolare forma di onore, o, comunque, di reputazione. Che la gelosia sia un’attenuante è una forma medievale di interpretazione della giustizia, visto che, se così fosse, qualunque forma di ira potrebbe diventarla.
Di fronte a tanti femminicidi, i giudici riconoscono una certa validità all’ipotesi che la donna sia di proprietà dell’uomo e che la perdita o la paura di perdere questa proprietà possano essere delle giustificazioni dell’atto criminale.
La cosa gravissima è che i giudici avrebbero potuto giustificare lo sconto di pena in tanti altri modi, per esempio con la confessione immediata dell’uomo, con il suo pentimento ecc. No, c’era proprio bisogno di citare quel termine “gelosia” per far sapere a tutti che una parte della peggior Italia è ancora viva.
Per approfondire: La gelosia – Il test: sei geloso?