La Corte costituzionale ha deciso in merito alle questioni sulla legge Merlin sollevate dalla Corte d’appello di Bari e discusse nell’udienza pubblica del 5 febbraio 2019. In attesa del deposito della sentenza, l’ufficio stampa della Corte ha comunicato che le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici di Bari sono state dichiarate non fondate.
Si tratta di una delle tante sentenze che dimostrano come la legge sia interpretabile a seconda dei costumi e della mentalità di chi giudica, con buona pace di chi ritiene che si devono sempre “rispettare” le sentenze degli organi supremi (rispettare non vuol dire condividere).
Il ragionamento dei giudici baresi è basato sul puro buonsenso che il bigottismo alla base della legge Merlin affossa. Infatti:
- la prostituzione è reato e allora lo è anche il favoreggiamento (come in molti Paesi proibizionisti);
- oppure, se, come è attualmente in Italia (fra i Paesi abolizionisti dove, con la classica ipocrisia cattolica, non si punisce la prostituzione, ma nemmeno la si regolamenta!), la prostituzione è un’espressione della libertà sessuale tutelata dalla Costituzione e quindi punire chi svolge un’attività di intermediazione tra prostituta e cliente o di favoreggiamento della prostituzione equivarrebbe a compromettere l’esercizio tanto della libertà sessuale quanto della libertà di iniziativa economica della prostituta, colpendo condotte di terzi non lesive di alcun bene giuridico. Ineccepibile, tranne per gli attempati giudici della Corte costituzionale.
Per la cronaca, a dimostrazione che le sentenze non sono mai di un’oggettività assoluta e che sono lo specchio della società in cui si vive, in sette Paesi europei (Paesi Bassi, Germania, Austria, Svizzera, Grecia, Ungheria e Lettonia) la prostituzione è legalizzata e regolamentata.