Simbolo della lotta per il clima, Greta Thunberg è stata proposta per il Nobel per la pace.
Venerdì 15 marzo ragazzi di 150 Paesi sono scesi in piazza per manifestare contro i cambiamenti climatici, seguendo l’esempio di Greta Thunberg, la sedicenne svedese (fra l’altro pochi sanno che Greta è affetta dalla sindrome di Asperger, un disturbo pervasivo dello sviluppo, imparentato con l’autismo, tanto che molti giornalisti continuano a chiamarla “bimba”, anche se in realtà è ormai adolescente) che ha lanciato il movimento Youth for Climate. A Milano secondo la questura erano almeno 20.000 anche se l’ottimismo dei ragazzi parlava di 100.000. Tutti oggi parlano di clima, quando ormai le prime denunce risalgono a decenni fa. Tutti cercano di salire sul carro: energie rinnovabili, automobili meno inquinanti, riduzione della plastica ecc. Il vero problema è che i risultati sono semplicemente deludenti.
Partiamo dai ragazzi. Qual è il problema della loro protesta? L’ingenuità. Esattamente come nel ’68 i figli dei fiori e i figli di Mao volevano cambiare il mondo. La situazione è però peggiore perché allora, almeno un’ideologia di fondo c’era, sbagliata o utopistica poco importa. Oggi i giovani chiedono ai potenti della Terra di fare qualcosa, ma non propongono soluzioni. Inutile usare locuzioni in politichese come “occorre ridurre il consumo di plastica”, quando poi i giovani alle manifestazioni, magari per proteggersi dalla pioggia, indossano abiti dove le materie plastiche sono materiali essenziali.
Questi giovani attualmente sono usati dai politici per apparire comunque attenti ai problemi, quando di fatto le soluzioni vengono bloccate dai soliti accordi economici che non possono essere disillusi, a meno di non crearne di più vantaggiosi (come per esempio la continua rincorsa di auto meno inquinanti che di fatto serve all’industria automobilistica per rinnovare il parco circolante e fare nuovi affari: ve lo ricordate quando la “benzina verde” doveva salvare il pianeta?). A volte ai giovani ambientalisti viene concesso qualcosa, il blocco di una centrale che metteva in pericolo un piccolo ecosistema oppure una leggina per modificare dell’1% questo o quello: la stessa strategia con cui si concedevano le riserve ai pellerossa per poi togliere loro tutto il resto in modo “legale”.
Dicevamo nessuna soluzione: non una riduzione della popolazione mondiale, una messa al bando dei motori più inquinanti (benzina compresa) nel giro di 5 anni, stop alle importazioni di petrolio oltre una certa quantità pro-capite ecc. Anche i giovani si rendono conto di quanto sarebbero impopolari queste misure presso gli adulti e allora è meglio continuare a esporre cartelli, a dipingersi il volto come appunto facevano i pellerossa prima dell’ultima battaglia senza speranza, suonare e ballare in strada, forse per non sentire il grido delle Terra che muore.