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Genetica e obesità: facciamo il punto del reale rapporto

15 maggio 2019 di Massimiliano Tucci

È possibile determinare la propria predisposizione ad aumentare di peso? Qual è l’effettivo impatto della propria genetica? Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Cells, ha trattato in modo innovativo la questione, proponendo un punteggio che permetterebbe di stabilire la propria suscettibilità a ingrassare in base alle proprie caratteristiche genetiche. A dire il vero, si tratta di una di quelle ricerche che, anziché promuovere l’obiettivo della ricerca, ne riducono significativamente la portata. Del resto, il buon senso riduce drasticamente la relazione fra genetica e obesità osservando che negli ultimi 20 anni l’obesità nel mondo occidentale è cresciuta moltissimo e quindi la genetica non può essere la causa principale. La ricerca stessa del resto sottolinea come negli ultimi decenni la problematica sia in rapido aumento persino in nazioni come Cina e India, a riprova di quanto appena affermato. Interessante comunque indagare quale percentuale degli obesi sia riportabile a fattori genetici.

Lo studio indica che è possibile nascere con alterazioni importanti su specifici geni che possono causare notevoli aumenti di peso. È per esempio riportato che in circa lo 0,14% della popolazione si riscontrano alterazioni nel gene MC4R che conducono un’elevata percentuale di coloro che ne sono portatori all’obesità. In questi casi l’aumento di peso deve essere trattato come una vera e propria patologia derivante da alterazioni consistenti del metabolismo, ovvero la reale obesità.

La domanda successiva è: per tutti gli altri individui, ovvero la stragrande maggioranza della popolazione, esiste una maggiore o minore predisposizione all’aumento di peso che non dipende da singoli geni alterati, ma da dalle caratteristiche complessive di numerosissimi geni il cui impatto finale sul peso è più sfumato e di difficile valutazione?

Per lo sviluppo del loro test, i ricercatori si sono basati su un altro studio, pubblicato nel 2015, in cui sono state determinate più di due milioni di caratteristiche genetiche associate al peso corporeo.

Partendo da questi dati i ricercatori hanno messo a punto un test genetico che permette di calcolare, fornendo un punteggio, quanto si sarebbe suscettibili all’aumento di peso in base alle caratteristiche complessive di tutti i geni coinvolti attualmente conosciuti. Questo metodo, ribattezzato GPS (acronimo di Genome-wide Polygenic Score) dai ricercatori, è stato quindi messo alla prova su 300.000 soggetti al fine di valutarne l’efficacia in termini predittivi. Vediamo i risultati, tenendo conto che, per semplicità, i ricercatori hanno considerato “punteggio alto” quello ottenuto da almeno il 10% del campione (analogamente è stato fatto per il punteggio basso). La distribuzione è risultata una gaussiana piuttosto stretta.

  1. Nella popolazione ci sono pochi soggetti che hanno punteggi bassi (e che quindi sono poco predisposti all’aumento di peso),
  2. così come sono pochi i soggetti in cui si riscontrano alti punteggi (hanno una predisposizione all’aumento di peso).
  3. La stragrande maggioranza della popolazione mostra un punteggio medio.

Il test funziona?

In realtà la ricerca è un punto di partenza per studi successivi, ma il test così definito è poco utile, avendo un 57% di falsi positivi (cioè di soggetti che hanno un punteggio alto, ma non risultano obesi) e un 10% di falsi negativi (cioè di soggetti con punteggio basso che sono però obesi).

Inoltre, nello studio c’è una certa confusione fra tendenza al sovrappeso e tendenza all’obesità. Si evidenzia come la differenza media di peso fra soggetti ad alto punteggio e soggetti a basso punteggio sia di 3,5 kg a otto anni e di 13 kg da adulti. Significa che fra l’essere geneticamente sfortunati o normali (e cioè avendo un punteggio intermedio, senza considerare i fortunati che invece hanno un basso punteggio) ci sono pochi kg di differenza da adulti e che comunque l’obesità infantile è ben poco correlabile con fattori genetici.

Forse il test sarebbe stato più attendibile se i ricercatori avessero confrontato insiemi ad alto e basso punteggio più piccoli (definendo per esempio le due aree al 3% anziché al 10%), così facendo i falsi positivi/negativi si sarebbero ridotti notevolmente, anche se ciò avrebbe decisamente ridimensionato la portata del test in quanto sarebbe stata palese la sua utilità solo per una parte marginale della popolazione.

Al netto di queste informazioni occorre anche prendere atto che nello studio non viene indicato quale sia l’attuale costo di un test di questo tipo, o di quanto tempo e quali strumentazioni esso necessiti per essere realizzato. Ne consegue che, per quanto molto interessante, lo studio potrebbe non avere particolari risvolti pratici, soprattutto in considerazione del fatto che per la maggior parte dei soggetti l’impatto della propria genetica, come indicato dai numeri in questione, è limitato.

 

Per approfondire: L’obesità – Il sovrappeso

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