Uno dei difetti maggiori della politica è di non aderire alla realtà, partendo per la tangente verso utopie ideologiche o, peggio, interessi di parte.
Il fisco in Italia è da decenni un problema; per gli under 50 che criticano il limite sociale di profitto della democrazia del benessere, basti ricordare che nel 1974 l’aliquota sopra i 600.000 euro era del 72%. Da allora la riforma fiscale del 1973 (Prima Repubblica) è stata trasformata in peggio durante la Seconda Repubblica. Particolarmente vergognosa la modifica del 1993 che abbassò in un colpo solo l’aliquota massima dal 72 al 52%. In sostanza, senza che si salvi nessuna forza politica, le varie riforme hanno avuto in comune il fatto di alzare le aliquote fiscali dei redditi bassi e abbassare le aliquote fiscali dei redditi alti.
Chi ci ha perso? Probabilmente tutti, tranne i superricchi. Gli autonomi dei ceti medio-bassi strangolati dalle tasse, i lavoratori dipendenti le cui buste paghe sono alleggerite in modo eccessivo, le aziende con un costo del lavoro sempre più alto. Tutti hanno cercato di fuggire da questa soluzione utilizzando chi uno strumento illegale (l’evasione), chi uno strumento legale (l’elusione). Il fisco ha reagito combattendo l’evasione e sanzionando certe forme di elusione. Il costo di questa battaglia ha accresciuto la burocrazia fiscale con altri costi. Concludendo, uno spreco di denaro enorme.
Molti osteggiano la flat tax con l’errato appunto di incostituzionalità perché le aliquote fiscali devono essere progressive. Dimenticano che la progressività riguarda la globalità dei redditi e sostenere una flat tax fino a X non vuol dire negare la progressività, ma farla partire dopo X.
Accademico anche il discorso che la flat tax aiuti i ricchi, visto che l’attuale politica fiscale uccide innegabilmente il ceto medio.
Che la flat tax in Italia esista già è ampiamente dimostrato dal fatto che il reddito lordo degli italiani che lavorano sia di 21.000 euro. Tutti evasori incalliti? No, quello che la gente non sa è che la flat tax è già “attiva”. Con buona pace di chi la ritiene socialmente ingiusta, in pratica c’è già e su 21.000 euro lordi, si paga circa un 33% fra INPS e tasse. Poiché tale reddito lordo è quasi sempre diminuito dalle mosse che il consulente fiscale (o il singolo) ha messo (legalmente) in atto si può ragionevolmente supporre che su un reddito di 50.000 euro lordi si paghi un 15-20% di tasse (la flat tax). Il vero problema è che noi stiamo parlando di medie: l’autonomo (o l’azienda) che non ha una buona coscienza fiscale (e non ha un consulente fiscale a disposizione) o il dipendente alzano la media per cui c’è chi arriva a carichi fiscali del 50% e chi si ferma a un 10%.
Con una flat tax legalizzata nessuno di chi attualmente paga poco farebbe i salti mortali per pagare un 5-10% in meno con il rischio di accertamenti, sanzioni ecc., i dipendenti e le aziende ne avrebbero sicuramente un beneficio e chi è strangolato da aliquote troppo alte respirerebbe. Diventerebbe meno appetibile anche l’evasione. In sostanza, facendo i giusti conti, tutti potrebbero guadagnarci.
Per approfondire: L’IRPEF