Il calo demografico è veramente un problema?
La popolazione italiana è aumentata progressivamente dall’unità d’Italia (1861). Nel 1861 era di poco superiore ai 20 milioni per passare poi a circa 32 milioni nel 1900, a 48 milioni nel 1950 assestandosi poi attorno ai 57 milioni nel 1981; è rimasta poi stabile fino al 2001, quando per effetto delle immigrazioni è tornata a salire, toccando i 60 milioni.
Negli ultimi anni però si è tornati a una situazione di stabilità e, anzi, in alcuni anni di leggero calo.
Fonti: Eurostat, INSEE
Calo demografico: i dati
L’ultimo rapporto ISTAT ci dice che la stima per il 2018 del tasso di fecondità totale è in media di 1,32 figli per donna (un valore analogo si era avuto nel 2017). I media hanno diffuso l’informazione che tale “valore è sensibilmente inferiore alla soglia di sostituzione che garantirebbe il ricambio generazionale”. La notizia così data è fuorviante (si tratta di seminformazione) perché fa credere che la soglia di sostituzione (altri la chiamano “di rimpiazzo”) sia quella che mantenga costante la popolazione, cosa che non è vera.
Alcuni spiegano la soglia di sostituzione in termini molto semplici: poiché i genitori sono due, ogni donna dovrebbe fare due figli. Questo ragionamento sembra molto logico, ma non ha nessun fondamento statistico; un po’ come quello che, dato che io domani ho due possibilità (o vivo o muoio), ho il 50% di probabilità di morire. Un’analisi corretta del complesso modello della popolazione, mostra che la soglia di sostituzione è di 2,1 figli per donna.
Tale soglia non mantiene il numero totale della popolazione, mantiene costante il ricambio generazionale, cioè l’età media della popolazione (indice di vecchiaia). Se si è sotto ai 2,1 l’età media aumenta (la popolazione “invecchia”, come in realtà avviene in Italia). Un modo approssimato, ma molto semplice per capire che nulla c’entra con il numero degli abitanti, è di considerare un campione “semplificato” di 64 coppie di 20 anni (50% uomini, 50% donne) che figlia una sola volta a 20 anni (quindi quando inizia la simulazione); analogamente i loro figli (che si suppone in parti uguali fra uomini e donne) figliano a 20 anni e così via. Dopo 60 anni, i genitori “primitivi” hanno 80 anni (vita media supposta) e muoiono. Se si analizza la popolazione alla loro morte, sarà composta da 120 soggetti (diminuzione del 6% circa), ma l’età media della popolazione sarà aumentata a circa 45 anni (rispetto ai 20 iniziali)!
Ovviamente, le cose vanno molto meglio se la media per donna non è un figlio, ma 1,32. Il vero problema a breve termine è l’invecchiamento della popolazione; a lungo termine, anche con 1,32 figli per donna si potrebbe avere un sensibile calo della popolazione semplicemente perché mancherebbero nella popolazione coppie sterili. Ma con i valori attuali si parla di secoli (con la natalità attuale secondo l’ISTAT fra 50 anni gli italiani saranno 7 milioni in meno, quindi a livello di popolazione un calo di circa il 12%).
Che fare? Premesso che la stabilità della popolazione (se non un decremento) è fondamentale per la sostenibilità dell’ambiente, è abbastanza inutile parlare di sostegno alle famiglie: con la situazione economica attuale lo Stato può dare solo un contributo marginale alla crescita di un figlio (che portato all’università costa 250.000 euro alla famiglia); quello che si può fare è prendere atto della situazione e insegnare alle persone più avanti con gli anni a invecchiare bene: c’è una grande differenza fra essere anziani ed essere vecchi.
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