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La sepoltura “green” ovvero la morte ecosostenibile

17 luglio 2019 di Daniele Lucarelli

morte ecosostenibile

Sembra che nel giro di 5 anni, nel Regno Unito, lo spazio a disposizione nei cimiteri sarà finito; dal momento che, per adesso, la gente continuerà a morire, si cerca disperatamente una soluzione al sovraffollamento cimiteriale.

Una proposta, che molti giudicheranno probabilmente sopra le righe, è quella di John Ashton, consulente per le tematiche di salute pubblica: corridoi verdi di sepoltura lungo marciapiedi, strade e ferrovie e sfruttando anche quelle ampie parti di terreno fra campagna e città che non hanno alcuna destinazione d’uso. Non è una fake news, l’articolo di Ashton, che è stato presidente della Faculty of Public Health, l’associazione inglese di medici e specialisti di medicina, è stato pubblicato sull’autorevole rivista britannica Journal of the Royal Society of Medicine, una testata scientifica di notevole importanza nel Regno Unito. La proposta di Ashton strizza l’occhio anche all’eco-compatibilità (le sepolture tradizionali, in effetti, aumentano il consumo di suolo e sono inquinanti).

Qualcuno potrebbe obiettare che i problemi di spazio potrebbero essere facilmente risolti aumentando il ricorso a un’opzione già esistente e in parte sfruttata: la cremazione. Vero, anche se il problema dell’inquinamento non sarebbe del tutto risolto (occorre un certo quantitativo di energia per bruciare le salme e i prodotti della combustione vengono rilasciati in atmosfera); il consumo di suolo sarebbe sicuramente ridotto, anche se, a onor del vero, sono molte le urne che vengono seppellite.

Ma il problema principale è che, nel mondo Occidentale, la cremazione non è ancora del tutto digerita dalla maggior parte della popolazione, vuoi per motivi culturali, vuoi per motivi religiosi. Insomma, occorre prendere il toro per le corna ed ecco che Ashton ha tirato fuori l’idea dei viali di sepoltura “verdi”. Per facilitare il processo, Ashton ha proposto di bloccare la cementificazione dei terreni agricoli che si trovano ai margini delle città e destinarli a “cuscinetti verdi” ospitanti i cari estinti. Ovviamente, bando alle bare, che occupano spazio e inquinano, meglio ricorrere a metodi più soft come i teli di cotone naturale dove rinvolgere la salma. Il consulente britannico si dice convinto della bontà della sua proposta: “In Inghilterra e Galles ci sono tra i 500mila e i 600 mila morti all’anno. Se tutti scegliessero una sepoltura green – non sto dicendo che succederà – ma se tutti lo facessero, potremmo piantare mezzo milione di alberi all’anno”.

Vedremo come fa a finire. Intanto in negli Stati Uniti si sono dati già da fare: lo stato di Washington è stato il primo ad approvare il compostaggio umano: la legge, che entrerà in vigore nel 2020, è stata firmata dal governatore democratico Jay Inslee. Il processo è noto come “recomposition”. Di fatto, la salma viene collocata all’interno di un contenitore per farla decomporre in un terreno ricco di nutrienti e restituirla eventualmente alle famiglie. Il caro estinto viene praticamente viene trasformato in concime. Secondo i promotori del metodo, si tratta di una procedura che ha un positivo impatto sull’ambiente dal momento che ci sono più tracce di resti umani che rilasciano sostanze chimiche nel terreno (sepoltura) o carbonica in aria (cremazione).

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