Albanesi.it

La voce degli italiani moderni

Menu principale
  • home_icon
  • Tu
    • Felicità
    • Raziologia
    • Manuale della cultura
    • Il gioco della vita
    • Test e quiz
    • Gocce di vita
    • Un po’ di…
    • Close
  • Società
    • Ambiente
    • Diritto
    • Economia
    • Lavoro
    • Politica
    • Religione
    • Close
  • Salute
    • Medicina
    • Sintomi
    • Farmaci ed esami
    • Benessere
    • Medicina alternativa
    • Close
  • Sport e giochi
    • Corsa
    • Running
    • Maratona
    • Altri sport
    • Integratori
    • Medicina sportiva
    • Close
  • Scacchi
  • Nutrizione
    • Alimentazione
    • Dieta
    • Cucina e ricette
    • Cucina ASI
    • Alimenti (cibi)
    • Qualità dei cibi
    • Close
  • Casa
    • Casa
    • Giardino
    • Orto
    • Close
  • Cani
    • Patologie e sintomi
    • Dal veterinario
    • Consigli
    • Razze
    • Gatti e altri amici
    • Close
  • Chi siamo
    • Chi siamo
    • I nostri libri
    • Video
    • Pubblicità
    • Rassegna stampa
    • Contatti
    • Close

Come farsi un’eccellente cultura in pochissimo tempo

Ricchezza

Ultimi aggiornamenti: 2018

Per il Well-being la ricchezza è una condizione facilitante. Anche comunemente si suole dire che

(1) i soldi non fanno la felicità, ma aiutano.

La saggezza insita nella frase si scontra prepotentemente con il comportamento di

  1. chi è ricco, ma non sa godersi la ricchezza e continua a lavorare e accumulare denaro, immerso in un mare di problemi e preoccupazioni;
  2. chi ricco non è, ma vive nella perenne invidia, per non dire odio, di chi lo è;
  3. chi sta economicamente bene, ma vorrebbe sempre di più.

Per capire questi comportamenti, arrivando a scoprire la relazione fra ricchezza e qualità della vita, è necessario affrontare il problema dal punto di vista teorico.

Un po’ di teoria

Negli ultimi due secoli molte dottrine economiche (capitalismo, socialismo, liberismo ecc.) hanno dovuto scontrarsi con il concetto di ricchezza; oggi in molti Paesi occidentali esiste un’innegabile corsa alla ricchezza, vista come condizione sufficiente al benessere; in alcune nazioni, come gli Stati Uniti, questa corsa è addirittura quasi un dovere civico di supporto al Paese. Di fatto, proprio la realtà americana ci insegna che la corsa alla ricchezza non è affatto condizione sufficiente alla felicità, anzi solo chi ha subito un deciso lavaggio del cervello può ormai crederlo.

La negazione della ricchezza

Per combattere queste degenerazioni del concetto di ricchezza, in particolare l’idea romantica che essa sia un valore assolutamente positivo, si sono via via proposte diverse strade, tutte più o meno confluenti in quella della negazione della ricchezza come condizione facilitante.

In questa negazione, ciò che cambia è la giustificazione: il mistico nega il valore della ricchezza perché convinto che non serva per la vita ultraterrena, il contemplativo la nega in nome della cultura e dei valori dello spirito che sono per lui “i veri valori”, la “vera ricchezza”, il romantico la sostituisce con idee dominanti diverse (per esempio l’etica o l’amore). Quest’ultimo caso è interessante perché dimostra come soggetti con personalità critica identica (romantici) possano comportarsi in maniera diversa: il romantico lavoratore avrà come idea dominante la ricchezza, la carriera, il successo nel lavoro ecc.; il romantico sognatore riterrà tali idee “inutili” e si concentrerà sull’amore o sull’etica.

Più motivata la negazione della ricchezza per motivi politici e sociali, tipica delle dottrine comuniste (dal punto di vista psicologico fatta propria da molti arrabbiati sociali).

La posizione della democrazia del benessere – Nella popolazione la ricchezza ha una distribuzione (si pensi a una gaussiana, anche se nella realtà la forma non è proprio questa) che deriva dalle condizioni iniziali del singolo, dalle sue capacità, dalle sue scelte, dal caso ecc. Del resto, se diamo 1 milione di euro a un folto campione di persone, dopo dieci anni ci sarà chi ne avrà 100 e chi ne avrà 0!

La ridistribuzione della ricchezza deve passare attraverso la ridistribuzione del reddito, realizzata in altri modi è solo una prevaricazione: quando un soggetto ha pagato le tasse, dei suoi soldi può farne quello che vuole, in particolare anche accumularli. Al limite, chi vuole ridistribuire la ricchezza, diminuendo la deviazione standard della gaussiana (cioè stringendola molto), potrà proporre l’innalzamento dell’aliquota fiscale massima individuale oltre un certo limite (per esempio un prelievo sul reddito del 90% dopo un milione di euro), ma non può intervenire ancora dopo che le tasse sono state correttamente pagate.

La ricchezza secondo il Well-being

D’altro canto la ricchezza è una condizione facilitante, l’abbiamo detto subito. Come conciliare queste riflessioni in una condotta pratica? L’impresa sembra ardua perché pochissimi sono indenni dal fascino della ricchezza. Si provi a chiedere a un campione di 100 persone che relazione c’è fra felicità e ricchezza. Alcuni risponderanno che la ricchezza è condizione necessaria per la felicità, altri che è sufficiente, altri che è facilitante, ma molto probabilmente nessuno risponderà che è una condizione penalizzante per la felicità. Nessuno! Eppure nel prossimo paragrafo scopriremo che può esserlo!

Penso che ogni modello economico che si rispetti, per essere compatibile con la massima qualità della vita di tutti i cittadini, debba rispettare il principio della curva RQ che vado a descrivervi (RQ sta per ricchezza vs. qualità della vita).

Per costruirla premettiamo qualche riflessione. Se guadagniamo 1.000 euro al mese probabilmente dovremo tirare la cinghia e di molto; con 10.000 sicuramente le cose andranno meglio, potremo addirittura mettere via un bel gruzzolo per il nostro futuro. Con 100.000 euro al mese, il risparmio salirà vertiginosamente e ben presto ci renderemo conto che non basterà la nostra vita per spenderlo. Ecco che incominceremo a crearci alibi per continuare ad arricchirci. Quello più comune è rappresentato dai figli: “lo faccio per lasciare qualcosa ai miei figli”. Che questo non sia che un alibi è sempre e comunque rappresentato dalle cifre in gioco, in genere ben più di “qualcosa”. L’alibi dei figli può essere smontato con due osservazioni:

  1. Se tutti usassero questa strategia, nessuno finirebbe mai per godersi i soldi che sarebbero accumulati in ricchezze sempre crescenti, destinate sempre a chi verrà.
  2. D’altro canto se i figli sono intelligenti, faranno come il padre e ci metteranno ben poco a crearsi la loro ricchezza; è già tanto che partano non con “tutto”, ma con un piccolo aiutino; se viceversa sono “economicamente inefficienti”, dato loro un cospicuo capitale, lo dilapideranno in poco tempo.

Il punto è che per guadagnare 100.000 euro al mese probabilmente la nostra vita sarà talmente stressata (il costo della ricchezza) che la qualità della vita scenderà. Se valutiamo questa penalizzazione 50.000 euro al mese ecco che il nostro reale guadagno mensile sarà dimezzato.

In realtà, il caso ora citato avviene a tutti i livelli di ricchezza: nessuno include il costo esistenziale della ricchezza che dovrebbe essere valutato analogamente alle spese più o meno nascoste di un normale investimento finanziario.

La curva RQ (ricchezza vs. qualità della vita)

Che senso ha guadagnare 6.000 euro al mese lavorando 12 stressantissime ore al giorno, quando potrei lavorare solo 8 ore tranquille guadagnando 4.500 euro? Chi fa la prima scelta non considera il costo della ricchezza, spesso illudendosi che “le cose cambieranno”, senza strategie a medio-lungo periodo (potrebbe essere sensato accettare una diminuzione della qualità della vita per 15 anni e poi vivere di rendita, strategia del traguardo).

Quello che esce da queste riflessioni è la curva RQ: la relazione fra la qualità della vita (in ordinata) e la ricchezza (in ascissa). Le unità di misura sono arbitrarie, ma la forma della curva resta, comunque si scelgano. Se vogliamo è una specie di elettrocardiogramma economico con diverse zone, ognuna delle quali ha un suo significato.

Come si nota, in un primo tratto (fino a X, che chiameremo punto di massima efficienza) si ha una brusca impennata: più si è ricchi e meglio mediamente si vive; ovvio che il discorso è fatto sulla media della popolazione: ci può essere un singolo soggetto felice con 1.000 euro al mese che contrasta nettamente con l’infelicità di un soggetto che ne guadagna 10.000: la ricchezza è una condizione facilitante come già abbiamo avuto occasione di ribadire.

Dopo X lo è ancora, ma di meno. Le cose migliorano fino a Y, ma da Y a Z restano invariate. Dopo il plateau, oltre Z, che chiameremo punto d’inversione, ci sono diverse pendenze con cui la qualità della vita tende a diminuire. Inutile discutere fin dove arriverà: per la teoria della ricchezza limitata, quel che conta è che diminuisce e non c’è inversione di tendenza.

Occorre subito dire che ci si riferisce non alla ricchezza globale del soggetto, ma a quella che lui gestisce con il lavoro (quindi con il suo tempo, quindi con una qualità della vita non completamente orientata a ciò che ama), essendo ovvio che una vincita stratosferica alla lotteria o un’enorme eredità non rientrano nel nostro discorso (a meno che poi non vengano investite in attività che producono comunque una degenerazione esistenziale).

Se vuole essere compatibile con la qualità della vita, qualunque modello economico moderno dovrebbe tener conto della curva RQ, in particolare favorendo tre condizioni:

  1. Ogni cittadino deve superare una certa soglia di sopravvivenza.
  2. Ogni cittadino deve poter esprimere le proprie potenzialità arrivando al punto di massima efficienza della società in cui vive.
  3. Ogni cittadino deve essere limitato nell’accumulo di ricchezze superiori al punto di inversione.

Qualche spiegazione.

Il primo punto è chiaro e probabilmente condiviso da tutti coloro che hanno una visione sociale sufficientemente altruistica da capire che in una società il fatto che una percentuale significativa di cittadini viva in condizioni di degrado è negativo per tutti. Quello che spesso manca a livello istituzionale è l’impegno reale e continuo, cioè la pratica di questo punto.

Il secondo punto è così importante che ogni società occidentale vorrebbe vantarsi di poterlo realizzare, mentre è incompatibile con visioni troppo critiche verso la ricchezza in generale.

Il terzo punto può generare facili incomprensioni. Non si vuole penalizzare la ricchezza, ma il fatto che un soggetto, arrivato al punto Z (per capacità o per fortuna), continui ad accumulare ricchezza impegnandosi direttamente nella sua attività. Potrà anche superare il punto Z, ma non rubando ad altri opportunità e risorse per la semplice soddisfazione di “diventare ancora più ricco”.

La curva RQ individuale

Si potrebbe pensare che il discorso che abbiamo fatto sulla curva RQ riguardi di fatto ben poche persone. Anche se una persona su 100 supera Z, certo, socialmente magari non è giustissimo, magari la sua qualità della vita decade, ma che senso hanno queste osservazioni per la stragrande maggioranza della popolazione?

La curva RQ globale che abbiamo descritto non è che una media sulla popolazione. In realtà, per ognuno di noi vale una curva individuale basata

  • sulle proprie capacità
  • sulla propria psicologia
  • sulle proprie condizioni di partenza
  • e, perché no, sulla fortuna.

Ognuno di noi ha un punto Z, un punto superato il quale la ricchezza ha un costo troppo elevato.

Se il mio punto Z è di soli 3.000 euro perché dovrei ammazzarmi di fatica e di stress per guadagnarne 4.000? Che senso ha?

Negli Stati Uniti questa banale domanda probabilmente spiazzerebbe gran parte della popolazione, nata e cresciuta con il mito della competitività nel lavoro e nello sport, sull’autostima da risultato e sul mito del successo individuale (il sogno americano è in fondo la visione romantica del punto Z per cui uno su mille ce la fa e, anziché fermarsi a Z, continua perché s’illude che la curva continui a salire); in Italia le cose vanno meglio, ma non tanto. Complice una certa acritica americanizzazione del nostro Paese (non scambiatela per una forma di antiamericanismo, gli USA per altri versi sono un Paese fantastico), penso che la maggioranza della popolazione viva oltre il proprio punto Z e quindi, di fatto, ha un costo della ricchezza troppo alto.

Ma c’è di più. Gran parte di coloro che sono oltre il loro punto Z, hanno punti Z tutto sommato modesti e, incapaci di accettarlo, che fanno? Si danno a speculazioni sbagliate, rischiose, ad affari dubbi.

Come fare per invertire questa tendenza? Che dire di un soggetto che si colloca oltre Z?

(2) Che è uno stupido, qualunque sia la sua ricchezza

perché sta sprecando una parte della sua vita, non la vive al meglio.

La (2) è una frase troppo forte? Beh, si pensi a come vengono visti i “secchioni” a scuola. Prendono il massimo dei voti, ma cosa si perdono della vita? L’ideale è prendere il massimo godendosi la vita, ma non è per tutti!

Chi è oltre il punto Z non è un manager rampante, un imprenditore di successo, un professionista affermato, è invece un secchione sociale.

La ricchezza esistenziale

Come è possibile descrivere la curva RQ in forma analitica, in modo da far capire ancora più chiaramente che

in senso moderno, qualità della vita e ricchezza sono manifestazioni di un valore più grande?

Semplicemente richiamando per analogia la relazione che esiste fra energia e massa. La teoria economica del Well-being è riassunta da una semplice formula:

(3) R=dQ2,

dove R è la ricchezza esistenziale (l’unica sempre in fase con la qualità della vita), d il patrimonio, il denaro, la ricchezza tradizionale, e Q l’indice di qualità della vita (compreso fra 0 e 1). Ovviamente la formula andrebbe dimensionata secondo opportune unità di misura, ma questo ognuno può farlo da sé, l’importante è capire il significato della relazione.

La (3) spiega per esempio:

  1. Perché non ha senso fare un mutuo per una casa più grande, dovendosi ammazzare di lavoro per pagarlo (apparenza)
  2. Perché non ha senso inve­stire in questo o quello per “farlo fruttare”, rinunciando a vivere (avarizia)
  3. Perché non ha senso immolarsi al lavoro per fare carriera e guadagnare di più senza avere il tempo di fare ciò che si ama.

Spiega che la ricchezza tradizionale (d) è una condizione facilitante, ma non certo sufficiente alla ricchezza esistenziale. I tre scenari sopraccitati non sono che l’esempio di come classicamente la gente non fa che limitarsi a considerare la grandezza d.

La (3) spiega tutto: perché non ha senso fare un mutuo per una casa più grande, dovendosi ammazzare di lavoro per pagarlo (apparenza), o perché non ha senso investire in questo o quello per “farlo fruttare”, rinunciando a vivere (avarizia), o perché non ha senso immolarsi al lavoro per fare carriera e guadagnare di più senza avere il tempo di fare ciò che si ama. Spiega che la ricchezza tradizionale (d) è una condizione facilitante, ma non certo sufficiente alla ricchezza esistenziale.

I tre esempi di inizio articolo non sono che l’esempio di come classicamente la gente non fa che limitarsi a considerare la grandezza d.

Il primo punto è tipico di coloro che vivono la ricchezza solo come mezzo di espressione della propria vanità, l’indice del successo nei confronti degli altri; l’accumulo del denaro dà loro preoccupazioni, stanchezza, stress e un sacco di altri indicatori negativi, ma non possono farne a meno perché hanno ingaggiato una lotta con il mondo: il loro valore dipende dal loro conto in banca (chi ragiona così è ovvio che non vale nulla). Non riescono a spendere i soldi che guadagnano, ma accumulano soldi e potere per sentirsi “migliori”. Spesso si tratta di soggetti romantici in cui il lavoro e il denaro hanno assunto l’idea del valore assoluto. Chi ha una bassa dose di romanticismo in genere è un soggetto violento che vede la sfida economica con gli altri come mezzo di superiorità e di dominio; addirittura però può essere anche un debole con bassa autostima che cerca nella ricchezza un modo di aumentarla o di consolidarla o un insoddisfatto, mai contento dei risultati raggiunti.

Il secondo punto è tipico di individui del tutto simili ai primi (anche se spesso c’è odio per il ricco), solo che manca l’attuazione del proprio desiderio, per incapacità o per oggettive difficoltà iniziali. In ogni caso, non hanno compreso che per essere felici nei Paesi occidentali è sufficiente un certo livello di agiatezza, facilmente raggiungibile da una fascia non certo marginale della popolazione che non abbia commesso grossi errori esistenziali e/o finanziari.

Il terzo punto spiega perché l’ultima frase del periodo precedente possa sembrare ottimistica. In realtà, molte persone non sono soddisfatte economicamente perché vogliono sempre di più, vittime del consumismo e di valori di scarso spessore etico. Si tratta di soggetti di ogni ceto sociale, da chi è nella soglia di povertà a chi sta decisamente bene, al ricco. Costoro fanno spesso parte dell’insieme degli apparenti e hanno dimenticato (o non hanno mai saputo) che

il vero saggio è colui che desidera solo ciò che può avere.

La spirale involutiva dal terzo punto al primo è chiara: chi ricerca la ricchezza perché è convinto che solo con essa sarà felice, avendo le cose che ora desidera, quando sarà ricco (ammesso che ci riesca) desidererà cose ancora più costose e sarà un insoddisfatto cronico.

La ricchezza del Paese

Quello che abbiamo detto per il singolo vale anche per una nazione e spiazzerà tutti quelli che vedono in una continua crescita economica il semplicistico e banale modo di fare economia.

Se consideriamo i primi 20-30 Paesi nel mondo relativamente alla ricchezza, ci accorgiamo che in essi si comincia a parlare di BIL (Benessere Interno Lordo), del benessere del cittadino, non semplicemente della sua ricchezza. Questo perché una larga fetta della popolazione non baratterebbe mai un ulteriore aumento di ricchezza se pagata con molti anni di lavoro in più (o con politiche del lavoro stressanti), servizi troppo cari ecc. In sostanza comprendono che aumentare la ricchezza va bene, ma solo se non diminuisce il benessere raggiunto. Poiché ovviamente tale discorso non avrebbe senso in un Paese dove si muore ancora di fame, la possibilità di sostituire alla semplice crescita economica, il concetto di benessere del cittadino è una dimostrazione che il Paese è veramente evoluto!

I NOSTRI COMMENTI



Consiglia l'articolo su Google, clicca   Se vuoi condividerlo su Twitter, clicca Tweet


NANDIDA


I NOSTRI LIBRI

Grazie all'accordo con Tecniche Nuove, le nuove edizioni delle nostre opere saranno disponibili anche per chi non vuole ordinare via Internet, comodamente in libreria. Sono già disponibili:

Il manuale completo della maratona - Il manuale completo della corsa - La felicità è possibile - Il metodo Albanesi - Capire gli scacchi - Correre per vivere meglio



In alternativa, gli altri nostri testi sono acquistabili in formato e-book su Amazon. Scopri come leggere i nostri e-book, oltre che da Kindle, anche da cellulare, PC e tablet

I NOSTRI SOCIAL NETWORK

Twitter FacebookYouTubegplusFeed

Per gli amici più affezionati, il gruppo dei nostri amici



Per fare sempre meglio...

- Archivio ultimi articoli pubblicati

- Alcuni modi per sostenere il sito

- Le schede dei testimonial. Se il sito ti ha aiutato nella qualità della vita, nello sport, nell'alimentazione ecc., puoi aiutarci a fare sempre meglio mandando la tua scheda testimonial. Inviala a ufficiostampa@albanesi.it

- Fai di albanesi.it la tua pagina iniziale (come cambiare la pagina principale del nostro browser)


Thea – Travacò Siccomario (PV) © 2000 - 2018 | P.IVA 01527800187 | Tutti i diritti riservati | di Roberto Albanesi