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La Repubblica romana

Il testo sottoriportato è protetto dal diritto d’autore e ogni riproduzione (cartacea, elettronica, in Internet) deve essere esplicitamente autorizzata per evitare di incorrere nelle sanzioni previste dalla legge.

Le maggiori cariche della Repubblica romana avevano carattere elettivo ed erano collegiali, cioè vi erano almeno due magistrati per ogni carica. I due consoli, che restavano in carica un anno, comandavano l’esercito, convocavano il senato e i comizi e giudicavano i reati più gravi. I questori furono introdotti successivamente per occuparsi della finanza. Nei momenti di grande pericolo per lo stato, poteva essere nominato un dittatore che, in carica per sei mesi, sostituiva i consoli. Altri magistrati erano i pretori e i censori; questi ultimi avevano il compito di vigilare sulla condotta morale dei cittadini. Il senato, originariamente di tipo consultivo, era composto da coloro che avevano già esercitato una delle magistrature superiori; il suo potere andò sempre più crescendo.

I comizi curiati e centuriati costituivano le assemblee popolari. La popolazione fu divisa in quasi 200 centurie.

Le tensioni sociali fra le due classi (patrizi e plebei) furono presenti fin dal nascere della repubblica. Dopo quindici anni dalla nascita della repubblica, la prima protesta vide i plebei ritirarsi sul Monte Sacro o, secondo un’altra tradizione, sull’Aventino. Solo l’intervento del patrizio Menenio Agrippa riuscì a convincerli a tornare, promettendo riforme. Venne creata la figura del tribuno della plebe, che difendeva gli interessi dei plebei e aveva alcuni diritto di veto. A metà del V sec. a.C., alcuni patrizi redassero un corpo scritto di leggi penali e civili, la Legge delle XII tavole, con cui i plebei ottenevano diritti pari ai patrizi. Più tardi i plebei ottennero l’abolizione del divieto dei matrimoni misti, l’accesso alla questura, al consolato (leggi Licinie Sestie) e ai collegi sacerdotali e il riconoscimento giuridico delle assemblee della plebe.

Le prime guerre repubblicane

Pochi anni dopo la nascita della repubblica, iniziarono le guerre con i latini, i volsci e gli equi. Diverse leggende ricordano il periodo, come quella di Coriolano, che passò dalla parte dei volsci, ma poi si ritirò andando incontro alla morte, e di Cincinnato, che ritornò all’attività di agricoltore dopo aver sconfitto valorosamente i volsci, senza pretendere alcun tributo di ringraziamento (secondo alcuni storici, Cincinnato venne richiamato all’età di ottant’anni e rieletto dittatore). Motivi economici all’inizio del IV sec. a.C. spinsero Roma alla guerra contro la città etrusca di Veio che, dopo un lungo assedio, fu espugnata da Furio Camillo.

Nel 390 a.C. la città fu invasa e distrutta dai galli senoni guidati da Brenno che, provenienti dalla città di Chiusi che avevano invano cinto d’assedio, ebbero ragione della scarsa resistenza opposta dai latini sul fiume Allia. L’occupazione dei galli senoni durò solo sette mesi, che furono però di distruzione e rovina e segnarono un momento di arresto nell’espansione dei domini di Roma. Solo il Campidoglio resistette all’assedio e diverse sono le leggende riguardanti il periodo. Una racconta che le oche, unici animali superstiti alla fame degli assediati perché sacre a Giunone, cominciarono a starnazzare avvertendo di un attacco dei galli; un’altra racconta che i galli proposero un tributo pari a mille libbre d’oro per togliere l’assedio. Al momento del pagamento, i romani si accorsero che le bilance erano truccate e protestarono, ma Brenno aggiunse la sua spada alla bilancia pretendendo un maggiore peso d’oro e pronunciò la frase “Guai ai vinti!“. Mentre i romani chiedevano tempo per procurarsi l’oro mancante, Furio Camillo raggiunse Roma con il suo esercito e, di fronte a Brenno, mostrò la sua spada e gli urlò: “non con l’oro, ma con il ferro, si riscatta la patria“.

A metà del IV sec. a.C. iniziarono le tre guerre sannitiche che durarono quasi 50 anni; dopo la terribile sconfitta delle Forche Caudine (321 a.C.), Roma riuscì a cancellare per sempre l’indipendenza dei sanniti nella battaglia di Boviano e poi in quella decisiva di Sentino (295 a.C.). La vittoria portò al consolidamento del dominio di Roma su gran parte dell’Italia centrale. Sconfitti i sanniti, Roma scese in guerra contro Taranto e Pirro, re dell’Epiro. Le sorti della guerra contro Pirro furono alterne e Roma subì anche dure sconfitte a Eraclea e Ascoli Satriano (ma Pirro ebbe perdite così pesanti da condannare il proprio esercito a perdere la guerra; da qui l’espressione vittoria di Pirro). La vittoria a Maleventum (divenuto poi Benevento) convinse definitivamente Pirro a lasciare l’Italia e ad abbandonare le sue mire espansionistiche. I confini del dominio romano si estesero all’Italia meridionale. Roma era pronta per espandersi oltre mare.

 

Manuale di cultura generale – Storia – La Repubblica romana – Continua

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