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La pedagogia del Novecento

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Il filosofo americano John Dewey è il principale pensatore del Novecento in campo pedagogico. Egli sviluppò una “pedagogia democratica” secondo cui l’educazione è funzionale alla sopravvivenza e al continuo avanzamento della società, e deve essere intesa come strumento per organizzare l’esperienza, perciò non ha un termine o uno scopo, deve stimolare sempre altre esperienze e altro apprendimento dalle nuove esperienze (motivo per cui non può essere concepita come esclusivamente interna all’ambiente scolastico).

Il pedagogista scozzese Alexander Sutherland Neill, invece, diede avvio alle pedagogie dello sviluppo spontaneo che, rifacendosi a Rousseau, ritenevano la natura umana originariamente buona e perciò suggerivano di lasciarla libera di autoregolarsi nel bambino, per evitare di corromperla, sempre nei limiti del rispetto della libertà altrui. Le idee di Rousseau furono accolte anche dalla pedagogia marxista, che le unì a una concezione che dava molta importanza al rapporto con la realtà concreta e al lavoro, con l’obiettivo di formare combattenti a supporto della collettività e del regime. Allo stesso modo, le ideologie nazifasciste concepirono l’educazione come formazione di cittadini-soldati che rispecchiassero le idee del regime.

La pedagogia umanistica di Sergej Hessen, invece, pone al centro della riflessione i valori culturali, considerandoli il fulcro dell’educazione, che deve condurre il bambino a comprendere il concetto di norma morale e a sviluppare spontaneamente i propri valori sotto la guida dell’insegnante, fino alla conquista dell’autonomia, cioè della capacità di autoregolarsi con i propri valori.

Dall’interazione tra pedagogia e psicologia deriva poi l’opera di Maria Montessori, che sostenne innanzitutto la necessità di modificare l’ambiente scolastico, troppo costrittivo e incapace quindi di mostrare la vera natura del bambino, che se inserito in un ambiente libero e allo stesso tempo stimolante sarebbe in grado già dalla prima infanzia di sviluppare una struttura mentale capace di concentrazione, disciplina, svolgimento di attività pratiche e di compiti relativamente complessi.

Negli anni Duemila, infine, emerge la concezione pedagogica dell’americano Jerome Bruner che ritiene il fine dell’educazione l’apprendimento della capacità di comprendere il mondo ordinandolo in strutture di significato che sono culturalmente determinate. Il possesso di queste strutture permette di applicarle a più ambiti, per questo l’educazione deve sempre fare riferimento all’esperienza per rendere più utile a livello pratico l’apprendimento. Bruner sottolinea però come nei processi di organizzazione della realtà intervengano anche elementi soggettivi e irrazionali.

 

Manuale di cultura generale – Pedagogia – La pedagogia del Novecento

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